Con la nuova Commissione Europea e il recente Rapporto Draghi sulla competitività europea, ci troviamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti per il futuro del lavoro in Europa. Questi sviluppi sollevano preoccupazioni importanti sul fronte della tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare per quanto riguarda le politiche economiche e sociali che potrebbero influenzare negativamente la qualità del lavoro e le condizioni di vita.
In questo contesto, è fondamentale delineare una strategia sindacale capace di difendere e promuovere un’economia più equa e sostenibile, in cui il progresso sociale sia la pietra angolare della competitività europea.
Uno dei cambiamenti più significativi nel nuovo assetto della Commissione Europea è l’assenza di un commissario dedicato esclusivamente al lavoro e agli affari sociali, una decisione che desta forti preoccupazioni. Per decenni, il lavoro e i diritti sociali hanno occupato un ruolo centrale nelle politiche comunitarie. La scelta di eliminare questa posizione specifica invia un messaggio sbagliato ai milioni di lavoratori europei che oggi si trovano ad affrontare una crisi del lavoro, caratterizzata da disuguaglianze crescenti e precarietà occupazionale.
Questa scelta sembra minimizzare l’importanza del lavoro e dei diritti sociali, in un momento in cui la qualità dell’occupazione dovrebbe essere al centro dell’agenda politica europea. I lavoratori hanno bisogno di rassicurazioni concrete e di politiche che diano priorità ai loro diritti, piuttosto che di decisioni che sembrano mettere da parte le loro preoccupazioni in favore di obiettivi economici a breve termine.
Il Rapporto di Mario Draghi, che esplora il futuro della competitività europea, solleva questioni cruciali per il mondo del lavoro. Da un lato, si evidenziano alcuni aspetti positivi, come l’importanza di evitare che la competitività si basi sulla riduzione dei salari. Draghi afferma chiaramente che l’Europa deve puntare su una forza lavoro qualificata, non sulla repressione salariale. Questo approccio è cruciale per evitare una corsa al ribasso che colpisca i lavoratori più vulnerabili.
Tuttavia, nonostante queste affermazioni positive, il Rapporto manca di individuare misure legislative concrete che possano garantire posti di lavoro di qualità e una protezione sociale adeguata. L’enfasi posta sugli investimenti pubblici, con la richiesta di oltre 800 miliardi di euro all’anno, è senza dubbio un passo importante, ma si basa troppo sull’idea che il mercato finanziario possa risolvere da solo i problemi economici dell’UE.
Questo approccio potrebbe non essere sufficiente a garantire che gli investimenti raggiungano i settori e i lavoratori che ne hanno più bisogno.
Una delle principali preoccupazioni è che, affidandosi in gran parte al settore privato per stimolare la crescita, si rischia di accentuare le disuguaglianze e lasciare indietro molti lavoratori. Invece, la creazione di posti di lavoro di qualità deve essere al centro di qualsiasi strategia di investimento, e non possiamo permetterci di lasciare queste decisioni nelle sole mani delle forze di mercato.
Un ulteriore elemento di rischio è rappresentato dall’enfasi sulla deregolamentazione, che permea gran parte delle raccomandazioni del Rapporto Draghi. L’idea che l’Unione Europea debba “autolimitarsi” nell’introduzione di nuove normative per facilitare la vita delle imprese è preoccupante, soprattutto se queste iniziative rischiano di indebolire le tutele esistenti per i lavoratori.
La deregolamentazione non può essere la soluzione per migliorare la competitività europea. I diritti dei lavoratori, inclusi i salari dignitosi, le condizioni di lavoro sicure e la protezione sociale, sono parte integrante di un’economia sana e sostenibile. Ridurre queste tutele, in nome di una maggiore efficienza o di un’innovazione più rapida, potrebbe portare a conseguenze devastanti per milioni di lavoratori in Europa. La competitività non può essere costruita sulla precarietà del lavoro.
Per contrastare queste tendenze preoccupanti, è fondamentale promuovere una politica industriale europea ambiziosa che metta al centro non solo la crescita economica, ma anche la creazione di posti di lavoro di qualità. Un’economia veramente competitiva è un’economia che investe nel proprio futuro, nei propri lavoratori e nelle proprie infrastrutture sociali.
Questa politica industriale deve essere basata su forti investimenti pubblici in settori chiave come l’innovazione, l’energia verde, la digitalizzazione e i servizi pubblici. Inoltre, è necessario garantire che le transizioni industriali, soprattutto quelle legate alla decarbonizzazione e alla digitalizzazione, siano gestite in modo giusto, coinvolgendo attivamente i sindacati e i lavoratori nella definizione delle strategie. Solo attraverso una transizione giusta possiamo evitare che interi settori e comunità vengano lasciati indietro.In questo contesto, i sindacati hanno un ruolo fondamentale da svolgere. Devono essere la voce dei lavoratori e agire come un baluardo contro le politiche che minano i diritti sociali. Negli ultimi anni, abbiamo visto un crescente attacco ai diritti sindacali in molte parti d’Europa, con politiche che cercano di ridurre la capacità dei sindacati di negoziare collettivamente o di organizzare mobilitazioni.
La lotta per la giustizia sociale ed economica deve continuare su diversi fronti. Da un lato, è necessario un impegno costante nei confronti delle istituzioni europee per influenzare le decisioni politiche e garantire che i lavoratori siano al centro del processo decisionale.
Dall’altro, è cruciale coinvolgere i lavoratori rendendoli consapevoli del loro ruolo attivo, come cittadini e come iscritti ai sindacati, a livello nazionale ed europeo, nel contrastare le politiche di austerità e deregolamentazione che potrebbero mettere a rischio la loro sicurezza economica.
Le proteste e le manifestazioni sindacali che si sono già svolte in vari paesi, come in Belgio e a Strasburgo, dimostrano che i lavoratori sono pronti a difendere i propri diritti e a chiedere che i decisori politici ascoltino le loro istanze.
Ma queste mobilitazioni non saranno sufficienti se nei prossimi anni i lavoratori non torneranno ad essere protagonisti anche delle scelte politiche, superando la deriva astensionista e concorrendo a indirizzare correttamente l’Europa dentro la fase di trasformazione economica che determinerà il futuro del lavoro per generazioni.
L’ulteriore estremizzazione della situazione politica dei singoli Paesi sarebbe distruttiva per l’Europa e per la realizzazione di un modello sociale basato su democrazia, libertà, giustizia sociale capace di convivere con la crescita economica e l’innovazione tecnologica.
Nel frattempo, per garantire che la competitività europea vada di pari passo con il progresso sociale, sarà necessario implementare una serie di misure concrete. Tra queste, spiccano:
- L’introduzione di una direttiva europea che assicuri una transizione giusta per i lavoratori, con la garanzia del loro coinvolgimento nei processi decisionali;
- La regolamentazione delle catene di subappalto e degli intermediari del lavoro per evitare lo sfruttamento e garantire responsabilità lungo tutta la filiera produttiva;
- L’adozione di una direttiva sul telelavoro e il diritto alla disconnessione, per proteggere i lavoratori dalle pressioni sempre crescenti dell’economia digitale;
- La promozione della contrattazione collettiva come strumento per garantire salari equi e condizioni di lavoro dignitose;
- La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, perché di lavoro si deve vivere e non morire, attraverso una nuova direttiva sui rischi psicosociali, una revisione della direttiva quadro per includere i lavoratori all’aperto, martoriati dagli effetti del cambiamento climatico e un’accelerazione nell’individuazione delle soglie di tolleranza per le sostanze dannose per la salute;
- Un cambio di passo nella gestione dei fenomeni migratori all’interno di una transizione demografica che non possiamo ignorare.
Queste misure sono fondamentali per costruire un’Europa che metta al centro i lavoratori e la giustizia sociale, garantendo che nessuno venga lasciato indietro.
Il futuro del lavoro in Europa è dunque incerto, ma ciò che è chiaro è che i diritti dei lavoratori devono essere una priorità. In un momento in cui le forze del mercato cercano di spingere verso una deregolamentazione selvaggia, è fondamentale che i sindacati continuino a lottare per una società più equa e inclusiva. L’Europa non può costruire il suo futuro sulla precarietà e sull’insicurezza dei lavoratori, ma deve puntare su un modello di sviluppo che garantisca posti di lavoro dignitosi e diritti sociali per tutti.
Solo attraverso un’azione sindacale forte e determinata potremo assicurare che la competitività economica vada di pari passo con il progresso sociale. Il futuro del lavoro in Europa dipende da questo equilibrio e forse la centralità di questo tema non è fino in fondo compresa dal Rapporto di Mario Draghi.
*Segretario della Confederazione Europea dei Sindacati