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Le tre mosse di Putin che dobbiamo contrastare

I commenti della stampa russa sugli sviluppi della guerra in Ucraina permettono di riconoscere le tre mosse che Putin, sulle orme dei peggiori regimi del passato, sta adottando per fondare e legittimare di fronte all’opinione pubblica interna e internazionale quella che definisce «operazione speciale».

La prima mossa è la deumanizzazione del nemico, cioè la negazione dell’umanità stessa degli ucraini, assimilati alla categoria generale di «nazista», intesa come forma abietta di umanità e come tale da distruggere. Denazificare è un’espressione che ricorda «la soluzione finale del problema ebraico» (per paradosso espressione usata dal nazista Hitler negli anni 30) e che autorizza esecuzioni di massa, stupri, deportazioni. Lo scopo è creare una cesura netta tra due popoli strettamente intrecciati: in quanto (tutti) nazisti, e dunque radicalmente diversi dai russi, gli ucraini vanno sterminati, secondo le più orribili forme di violenza etnocida. Il riconoscimento militare attribuito dallo stesso capo supremo al reggimento che si è macchiato degli orribili massacri di Bucha, acquista così un significato ben preciso.

La seconda mossa è la vittimizzazione della Russia, secondo un copione che ritroviamo tale e quale in altre epoche storiche. La narrazione è di essere il bersaglio innocente di un Occidente che non fa altro che umiliare una nazione ricca di storia e di cultura. Insistentemente, il regime parla di «russofobia». Ad attaccare non sono dunque i russi, ma gli occidentali. Per cui l’azione militare si configura nei termini di legittima difesa. Con Putin che è l’eroico difensore di una tradizione che rischia di essere cancellata dall’arroganza della Nato. In questo disegno, il compito dell’esercito è quello di dimostrare che la Russia, stanca di subire angherie, d’ora in avanti non si farà più mettere i piedi in testa. Il tutto in uno sfondo storico che rimane segnato da un trauma non elaborato: si tratta, infatti, di vendicare l’umiliazione del 1991 quando, dopo la caduta dell’impero sovietico, la Russia ha perso il suo status di superpotenza mondiale.

La terza mossa è l’internazionalizzazione del conflitto, che passa dalla costruzione di una rete di alleanze in chiave anti-occidentale. Putin sa bene che sarebbe fatale rimanere solo. E per questo lavora assiduamente sul piano diplomatico per allargare il consenso all’azione in Ucraina, con lo scopo dichiarato di fare vedere che a essere isolato è in realtà l’Occidente. Così, ad esempio, nel riportare la decisione dell’Onu di sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, la Pravda ha parlato di una decisione ingiusta, fondamentalmente imposta dagli Usa. E per sostenere la sua tesi, il giornale russo sottolinea che «a favore della Russia rimane la maggioranza della popolazione mondiale». Affermazione basata sul fatto che Cina e India (che da sole fanno più di 2 miliardi e mezzo di persone) non hanno appoggiato la decisione. Mentre bombarda le città ucraine, Putin invia i suoi ministri in giro per il mondo, presentando l’invasione Ucraina come l’occasione per ribellarsi al dominio occidentale.

Queste tre mosse delineano un discorso bellico tutt’altro che improvvisato, messo a punto in vista di un conflitto duraturo che, pur senza alcun rispetto della verità, sembra fino ad oggi capace di trascinare gran parte della società russa all’interno di un disegno di distruzione.

E se è vero che le guerre si vincono sul campo, è altrettanto vero che ugualmente importanti sono gli argomenti che legittimano (o delegittimano) il senso del conflitto. Per questo è necessario chiedersi come disinnescare queste tre mosse.

Per quanto riguarda il primo punto pare logico pensare di chiedere l’invio da parte dell’Onu di un gruppo di osservatori internazionali super partes per verificare le accuse di crimini di guerra lanciate dagli ucraini. Si tratta, come è evidente, di un passaggio difficile, ma forse non impossibile. Solo a partire dalla ricostruzione della verità su quanto sta effettivamente accadendo sul campo si potrà forse arrivare a sottrarre ogni legittimazione all’idea di denazificazione.

Sulla questione della vittimizzazione c’è poco da fare. Ma sarebbe comunque importante che i leader occidentali, nel condannare l’invasione, decidere le sanzioni e sostenere la resistenza ucraina, non dimenticassero mai di sottolineare che la Russia è un grande Paese, fondamentale per gli equilibri mondiali e che, al di là di quanto sta accadendo, c’è il pieno rispetto per una cultura che costituisce una parte importante della storia mondiale. Occorre fare di tutto per sminare l’accusa di russofobia che Putin utilizza per eccitare gli animi alla guerra.

Infine, occorre dedicare una rinnovata determinazione al difficile e delicato lavoro diplomatico con tutti i soggetti che, a livello mondiale, hanno una posizione incerta o anche solo ambigua nei confronti di quanto sta accadendo. Sarebbe un errore fatale accettare lo schema delle alleanze che Putin si sforza di accreditare. Cina, India, ma anche Turchia, Pakistan, Brasile, Sudafrica e tanti altri Paesi sono importantissimi in questo momento. E se anche il dialogo con il presidente russo è, ad oggi, impossibile, rimane aperta (anche se impervia) la via del dialogo con gli altri grandi soggetti planetari. Se si vuole evitare l’escalation che porterebbe il mondo verso la catastrofe nucleare, questa terza strada non va assolutamente abbandonata.

*da Corriere della Sera 21/04/2022

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