E’ stato necessario il rigore del Presidente Mattarella, durante la visita del Presidente tedesco Steinmeier, per riportare il problema dell’immigrazione alla sua reale dimensione di questione globale e strutturale. Formalmente l’inquilino del Quirinale ha criticato le scelte dell’Ue qualificando il trattato di Dublino come preistoria, e invitando Bruxelles a scelte coraggiose, ma, in realtà, dietro le sue parole appare esplicito il rilievo critico alle scelte attuali dell’Italia sui Cpr e i respingimenti, come deterrente inefficace per mantenere i migranti nei Paesi d’origine.
Gli ultimi drammatici sbarchi a Lampedusa certificano il cambiamento avvenuto nel processo migratorio che ora si sviluppa sull’intero quadro globale del pianeta e riguarda, con modalità e dimensioni diverse tutti i continenti, come lascito inevitabile del più grande processo della globalizzazione. La progressiva unificazione del pianeta ha reso evidenti tutti i problemi del sottosviluppo, di mostruose disuguaglianze, di guerre, violenze, privazioni della libertà in tante parti del mondo, per cui masse sempre più ampie di persone sono disponibili a mettere a repentaglio la vita, accettando l’ignoto della fuga, pur di uscire dalla disumana situazione attuale.
Mentre, sul piano economico, si è cercato, in vari modi, di ridurre l’impatto del turbo liberismo globalizzato, tanto che si è parlato anche di crisi e di probabile fine della globalizzazione, nella realtà umana e sociale essa ha continuato a produrre i suoi effetti di rottura dei fragili equilibri precedenti, per cui l’immigrazione è destinata a crescere a ritmi esponenziali. Di fronte a tali caratteri, la possibilità di affrontare il problema al livello di singolo Paese appare del tutto inadeguato, come tentativo fallito in partenza, frutto di un nazionalismo antistorico, e la stessa Ue manifesta una analoga inadeguatezza di fronte alla dimensione del problema.
La questione migranti è diventata una drammatica spia dell’attuale disordine mondiale e, nello stesso tempo, dati i limiti strutturali dell’Onu, dell’assenza di soggetti globali idonei a regolarlo. Quando le maggiori potenze mondiali, Usa e Cina in testa, decideranno di mettersi al lavoro per costruire intese finalizzate alla regolazione geopolitica globale, le migrazioni saranno in testa all’agenda dei lavori. Nel frattempo, i soggetti multinazionali come l’Europa possono dare un contributo significativo a soluzioni parziali del problema, ma, data la sua complessità, ogni risultato positivo può verificarsi alla condizione che tutti i soggetti interessati diano con contributo positivo senza remare contro.
Ricordiamo che l’Ue è ancora un progetto incompiuto, frutto della partecipazione di 27 Stati, provvista di un’identità in formazione e ancora fragile, specie in tema di sovranità quando deve affrontare questioni complesse e tendenzialmente divisive. Questo rimane il cuore del problema che rende difficile e spesso conflittuale il rapporto del governo italiano con l’Ue. Al di là delle impuntature contingenti, e delle propensioni propagandistiche del governo Meloni, il rapporto rimane difficile per un dissenso strategico sul futuro dell’Europa, che rende le reciproche posizioni pressoché inconciliabili.
Ridotto all’osso il dissenso riguarda la cessione di parti di sovranità dagli Stati all’Ue. Senza sovranità l’Europa come soggetto autonomo che esercita un ruolo sul piano globale, non esiste, mentre il governo italiano di destra, contrariamente a tutti i precedenti governi della Repubblica, non è disponibile a cedere parti di essa essendo rigidamente nazionalista. D’altro canto, senza cessione di sovranità l’Ue di oggi non avrebbe potuto fare alcuno dei progetti innovativi che hanno caratterizzato il suo ruolo, a cominciare dal Pnrr.
Il governo Meloni si è strumentalmente adattato a gestirlo pur negandolo nella sua genesi, e oggi pretende decisioni forti e autonome sui migranti mentre è contraria a concedere le condizioni che le possano realizzare. Alla fine, con i proclami contro i trafficanti di uomini, i Cpr e i restringimenti, aggravati dal più recente conflitto con la Germania circa il suo usuale finanziamento alle Ong, come se l’Italia fosse padrona del Mediterraneo, il governo ha deciso di fare da solo, scaricando, fin d’ora, sull’Europa ogni responsabilità del previsto insuccesso.
Una situazione di grave e innaturale isolamento politico che colloca l’Italia ai margini della politica europea. Quando Meloni, con scarso successo, ha cercato di circuire il Ppe per puntare e rovesciare la maggioranza che regge attualmente l’Ue, si proponeva proprio questo: ridurre l’Europa a una alleanza tra Stati sovrani, priva di identità e iniziativa autonoma. Arrivare a questo sarebbe la fine dell’Europa come da decenni si sta cercando di costruirla, e un disastro per le prospettive future dell’Italia.
Questo rimane il dissenso più forte con il governo sovranista e antieuropeo di Meloni, che, da presidente del gruppo europeo dei conservatori, cerca di perseguire con sostanziale coerenza, al netto delle ambiguità che è costretta ad assumere come presidente del Consiglio italiano. Le recenti posizioni di Germania e Francia rifiutano tale prospettiva per cui, alla fine, a pagare il prezzo di scelte sbagliate sarà soprattutto l’Italia.