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L’inquietudine dell’ “io” e l’incontro con la ricerca dialettica del “noi”

L’ “io”, espressione simbolica del pensiero occidentale, conserva la centralità dell’esistenzialismo e, in chiave etica, antropologica e sociologica, vede l’uomo come modello. Le filosofie dell’esistenza valutano l’“io” come l’espressione radicale dell’“essere nel mondo” e, non potendo uscire dalla sfera della soggettività, si riferiscono all’ente IO come “io sono in quanto io”..

Io e NOI. Da una parte opera l’“io”, ossia il conflitto per l’emancipazione intellettuale, spirituale e concreta nella realtà sociale dell’essere umano; dall’altra parte opera il “Noi”, attraverso un paradigma che dovrà accordare la creatività e la partecipazione. 

È in questo che bisogna muovere l’‘‘io” nella capacità di intendere, percepire, avvertire, distinguere, sapendo che solo l’IO può segnare l’inizio di una prima dimensione del “noi” (un inizio biologico istintivo), un presupposto tanto importante quanto immobile poiché inadatto per ora a trasformare la percezione del “sé” in un impulso verso una dimensione plurale. 

Passare dalla cultura dell’io al noi non è facile; nella civiltà della competitività, viviamo e ci atteniamo all’ “io” per vantaggi individuali, continuamente esortati a inseguire convenienze 

Passare dall’io al noi richiede un salto culturale e di condivisione, non basta la risolutezza del soggetto. Stiamo all’interno di un meccanismo importante e influente, è indispensabile averne consapevolezza.

Il sistema tecnologico e finanziario non permette eccezioni: gli algoritmi muovono in senso del profitto, con indicatori in cui l’umanità insegue l’espansione del potere economico smarrendo il suo stesso senso di umanità. In tali condizioni di presunzione, diviene indispensabile manifestarsi: il successo è grandezza della capacità umana, concorre e si seleziona chi appare produttivo, c’è paura di essere giudicati per l’insuccesso professionale.

E’ assente la solidarietà, ciascuno pensa al proprio “io”, i rapporti si basano sugli andamenti economici e si attua una competizione eccessiva, subendo le conseguenze del paradigma così come assunto.  

La strada del superamento delle nostre specifiche inquietudini passa per l’identificazione del carattere condizionato dell’essere umano e della sua posizione nel mondo. 

La politica, pratica sociale del “mondo in comune”, ci induce a riscoprire l’individuo come parte di una umanità più grande (identificata nel concetto della “polis/agorà”), estendendo capacità argomentative e dialettiche, di ascolto e di rispecchio sulle posizioni individuali ma soprattutto del prossimo. Tale concetto va inteso non solo come partecipazione alla dimensione politica, ma anche come coltivazione di pratiche quotidiane in direzione dell’avanzamento del “sé collettivo”. Riconosce, in definitiva, la comprensione della natura imperfetta e divisiva dell’uomo: individualità come tensione, divisione e conflitto, che alimenta così la consapevolezza dell’abisso tra   aspirazioni e limiti umani. 

La nostra identità è culturale, e contiene elementi fondamentali quali l’etnia, la classe sociale, l’età, la religione, il genere, l’orientamento sessuale e le dinamiche familiari e quotidiane. Gli elementi si combinano per fornire una necessità psicologica di base, del vivere il senso di appartenenza, definendo il nostro posto nella comunità. L’identità stessa è diversità e multiculturalità. L’Inconscio sociale dà l’opportunità di comprendere come le forze sociali e le relazioni di potere influenzino la nostra capacità di diventare pienamente consapevoli. Ciò che accade all’esterno e che sembra essere condiviso, influenza le nostre azioni e il nostro inconscio. Spesso mettiamo in atto comportamenti che non hanno a che fare solo con la nostra individualità e con il nostro inconscio individuale perché spinti dalle idee sociali radicate nel tempo e dettate dalle attuali condizioni condivise. 

Da qui il concetto dell’Io molteplice, il quale si basa sull’idea di identità come fenomeno in continua evoluzione per adattarsi all’ambiente circostante e per far sì che le esperienze che accadono possano essere motivo di apprendimento; legate alle parti più profonde dell’individuo, sono in continuo cambiamento.

Se siamo in grado di accettare tale mutazione, puntellando l’incertezza dei cambiamenti per entrare in contatto con le diverse parti dell’io e le parti dell’altro diverse da noi, abbiamo le possibilità di creare non solo una rete di comunicazioni, ma anche le attitudini ad abbracciare culture diverse, a dialogarci, accogliendo e apprezzando la diversità e le peculiarità insite in ognuna di esse.

Per conoscere l’altro dobbiamo comprendere, confrontarci con l’altro “diverso da noi”.

Riflettere sull’identità e l’appartenenza, ravvicina considerazioni e confronti scientifici su come la mente, il cervello e le nostre relazioni riconsegnino forma a ciò che siamo, tessendo l’interno e l’esterno, il soggettivo e l’oggettivo, attribuendo alla nostra cultura improntata sulla separazione e sull’isolamento di un io solitario, una visione più estesa che scopre di poter essere molto più di questo, così da trasformare la propria esperienza di isolamento in un vissuto di connessione.

Sono l’identità interiore dell’”io” e l’identità relazionale del “noi” che si uniscono in una forma in cui il tutto è superiore alla somma delle singole parti e in cui ognuna delle parti mantiene le sue caratteristiche di unicità.

L’evoluzione culturale dell’essere umano può orientarsi quindi verso l’integrazione, che consente di vivere in un mondo più inclusivo.

La “Rete” della globalità, ridefinendo gli spazi del sapere, può e deve creare un nuovo ecosistema della formazione partendo dalla complessità, dal pensiero critico e dalla visione sistemica, congiungendoli all’ecosistema comunicativo e sociale.

Dall’antica Grecia all’IA, la filosofia ha cercato di restituire valore, centralità e primato alla dimensione plurale dell’essere umano, per arrivare alla consapevolezza del plurale che prevale sul singolo, senza mai perdere di vista l’essenza dell’essere umano, del suo essere individuo, comunque e sempre plurale, e il suo essere specie.

Dalla civiltà Greca al futuro del pianeta e dell’uomo nell’era dell’Intelligenza Artificiale, il riferimento va alle nuove generazioni, che con fatica riescono a dare un senso alla vita e al rapporto con la realtà, nell’evidenza che il loro non è più un disagio esistenziale o evolutivo, ma piuttosto culturale e di risultato della perdita totale di tutti i valori.

La tensione di correlazione tra l’io e il noi ci induce alla riflessione che esistono se non altro due libertà: quella «degli antichi» e quella «dei moderni».

La prima designa la possibilità dell’individuo di partecipare alla vita della comunità; la seconda indica la difesa della sua sfera privata dalle intromissioni del potere pubblico, libertà di e libertà da (Fromm). 

Per uscire dalle frasi rituali, possiamo dire che nella prima percezione l’uomo è libero di partecipare all’orizzonte del “noi”; nella seconda l’uomo è libero da costrizioni e interferenze altrui, nello spazio privato del suo “io”.

La questione della libertà si colloca nella tensione dialettica dei due pronomi “io e noi”, e nella possibilità di una loro sintesi (la verità che rende liberi). La libertà va declinata intendendo che le nostre filosofie sono precarie, che lo sono le nostre psicologie, le nostre ragioni, le capacità di analisi e i metodi con i quali tentiamo di indagare. Impariamo che sono temporanei gli strumenti che abbiamo, il nostro tempo, la nostra memoria e che la nostra esistenza è transitoria. Vorremmo che non lo fossero i nostri sentimenti, però anche questi sono provvisori, si trasformano e scompaiono.

Nasce l’esigenza di riflettere in senso globale sulle pratiche formative operate dalle tecnologie della formazione e della piattaforma che funge da strato intermedio tra un sistema operativo e il software che lo utilizza, quindi relativo al sapere di riferimento per gli studi educativi, con conseguenze non sempre esplicite, e che le une e gli altri hanno nei confronti dei comportamenti e dei valori.

Di qui, il tentativo di chiarire la relazione fra valori della conoscenza e valori etici, sullo sfondo di una esigenza di concretezza istruttiva.

Occorre chiarire quando i comportamenti e i valori sono evidenze, per ricostruire una circolarità interpretativa fra modelli e le evidenze stesse. Occorre riflettere da un lato e in modo critico sui paradigmi e sulla loro circolazione diffusa, e dall’altro lato interrogare i fatti e le prassi, nella concretezza della formazione nell’era delle Tecnologie.

Forse il processo di conoscenza comincia proprio quando avvertiamo l’insufficienza, la povertà e la mediocrità di quello che sappiamo. Conoscenza vuol dire informazione, consapevolezza, cognizione, idea, intuizione pratica, competenza, abilità, cultura, istruzione, preparazione. Il percorso comincia quando siamo disponibili a separarci dalle certezze, da quelle che crediamo siano verità, dai sistemi che si organizzano come riferimento, per confrontarci non solo con il nuovo ma anche con la sua stessa idea e con i suoi concetti.

Il nostro penetrare è l’esito della coesistenza delle due condizioni di necessità: quella di sentirci dentro un universo di cui abbiamo consapevolezza e quella di esplorare universi di cui non abbiamo conoscenza. Le certezze ci sono date da quello che conosciamo, sperimentiamo, apprendiamo.

Spesso le attrazioni arrivano da quello che non conosciamo.

Siamo sempre in una sospensione fra il margine e il campo aperto, tra un punto di arrivo che corrisponde con uno di partenza, tra l’esaltazione di essere lì dove siamo e il segnale incalzante del mistero. Forse non è solo la conoscenza a strutturarsi su questo comportamento. Accade anche nel nostro esistere quotidiano, nel mestiere che facciamo, nel rapporto con gli altri. Restiamo sull’orlo e simultaneamente ci stacchiamo da esso ogni giorno. Ci sentiamo tranquillizzati dalle nostre certezze e attirati da idee di realtà di cui non abbiamo certezze. Teniamo, ad un tempo, interesse e paura dell’ignoto ogni giorno. Ci domandiamo se i valori solidi e le autenticità si trovino nei territori conosciuti della cultura o in quelli sconosciuti.

Non è solo la scienza a procedere tra certezza e incertezza.

La dimensione cognitiva dell’essere vivente in quanto parte integrante della sua organizzazione in quanto vivente, ci pone di fronte al problema del soggetto e della sua relazione con il mondo. Siamo di fronte al quesito delle condizioni di esistenza e di conoscenza del mondo; ci prospettano un apparato neuro-cerebrale che si è innalzato ricostruendo il mondo esterno in sé stesso, rifacendo al proprio interno l’organizzazione dell’universo.  Il metodo complesso è così un itinerario attraverso i saperi (capire, comprendere, percepire, intuire, intendere) che richiede una modificazione dei princìpi organizzatori della conoscenza, con necessità di una “transdisciplinarietà” della conoscenza stessa, che permetta di connettere e far comunicare senza operare una semplificazione; la complessità concepisce molteplici piani di emergenza della realtà senza ridurli a unità elementari e a leggi generali.

Il pensiero complesso necessita di una riforma del nostro modo di pensare, possibile soltanto con una riforma dell’insegnamento.

La nostra civiltà ha privilegiato la separazione, l’analisi, l’accumulo a scapito invece dell’organizzazione che interconnette le conoscenze. È necessario interconnettere, contestualizzare, “ecologizzare” i saperi. Esiste la consapevolezza che non si può tornare a come eravamo, occorre individuare soluzioni inedite, compiute, partecipate per tracciare un mondo nuovo e fortemente inclusivo. Lo spirito di consapevolezza che è del “noi” si colloca in un assetto di una nuova prospettiva.

Si tratta di avviarsi verso una formazione sociale e politica il cui spirito sia il principio di responsabilità.

Organizzare conoscenze e saperi, significa educare una “testa ben fatta” ad attuare un’operazione di interconnessione (connessione e inclusione) e di aspettativa in un processo circolare, dall’analisi alla sintesi, dalla sintesi all’analisi. Quindi il processo della conoscenza comporta nello stesso tempo separazione e interconnessione, analisi e sintesi. 

Compare l’esigenza di elaborare una nuova struttura, che rispecchi il progetto di un’epistemologia che, includendola, superi quella tradizionale costruendo un dialogo con altri modi di organizzare i saperi; una nuova strategia di pensiero (un’arte) che favorisca il pensare con la propria testa per rispondere in modo indipendente e autonomo alle nuove sfide della contemporaneità.

Scaturisce il problema della conoscenza della natura e della natura della conoscenza, evidenziato dalla relazione tra ordine, disordine e organizzazione, e dal passaggio dell’oggetto al sistema e dall’individuo al plurale

*Architetto, libero docente Università

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