Giuseppe Sabella (direttore di Oikonova), con una conferenza stampa organizzata ieri a Bruxelles, il PPE chiede alla Commissione europea di rivedere il Green Deal, ovvero di intervenire in particolare sul divieto di produrre auto col motore endotermico dal 2035. Qual è la sua valutazione di questa richiesta dei popolari?
Anzitutto, non possiamo prescindere da una constatazione meramente politica: parliamo dello schieramento a cui appartiene Ursula von der Leyen. Sarebbe ingenuo pensare che la Presidente della Commissione europea sia all’oscuro di questa iniziativa. Questo è un elemento importante perché ci dice che il dossier dell’auto è una delle priorità a Bruxelles. Dopo la “Lettera all’Europa” del presidente dei costruttori Luca De Meo (aprile 2024) – in cui stakeholder e istituzioni venivano avvertiti del pericolo che arriva da Oriente – non poteva che essere così, anche se non si può mai dare nulla per scontato. Ci sta pensando il PPE ad aprire la discussione. Del resto, quando a suo tempo il pacchetto Fit for 55 è stato votato, il PPE si era in gran parte astenuto. La seconda valutazione che dobbiamo fare è più di merito: sbaglia chi pensa che la crisi dell’auto in Europa sia dovuta al motore elettrico e alle norme sbagliate. Magari fosse solo questo. Purtroppo, non sarà la revisione del quadro normativo a restituire competitività al prodotto europeo e a portare il settore fuori da una crisi molto complicata. Tuttavia, è opportuno rivedere quelle norme. Perché sono azzardate.
Perché è sbagliato ritenere quelle norme responsabili della crisi dell’auto?
Intanto, come ho già detto in altre occasioni, quel quadro normativo è stato voluto anche dai grandi costruttori europei che pensavano così di rivitalizzare il mercato. Quindi, a monte ci sono scelte strategiche sbagliate. In secondo luogo, ahimè, la crisi dell’auto europea ha radici più profonde.
E quali sarebbero le cause di questa crisi?
L’Europa non è più l’epicentro della produzione dell’auto. Questo ruolo è stato lasciato all’Asia, in particolare alla Cina che oggi produce un terzo delle auto prodotte in tutto il mondo. È vero che l’auto cinese è ancora poco presente in Europa ma Kia, Toyota, Nissan, Hyunday, Honda e Suzuky sono marchi ormai affermati nel nostro mercato. Sono prodotti molto competitivi, sia dal punto di vista dei costi sia dal punto di vista della qualità. Il propulsore è un altro discorso, il punto è l’auto nella sua evoluzione tecnologica. La differenza con la produzione europea è notevole. E il consumatore se n’è accorto, orientandosi sempre di più sul prodotto che arriva da Oriente. E adesso che BYD e Leapmotor avvieranno le loro produzioni in Europa – peraltro rendendo inutili le misure protezionistiche – la competizione sarà ancora più dura.
Tuttavia, perché l’auto elettrica non si è affermata sul mercato?
Il problema principale è che è stata sopravvalutata. Così si spiega l’azzardo di cui parlavo. Ragionevolmente, si tratta di una tecnologia che può riguardare una parte del mercato, anche perché l’auto elettrica si è rivelata più una city car che un veicolo per le lunghe percorrenze. Quindi, come dice l’ing. Toyoda, si presume potrà valere un 30% della produzione di auto. Certo, nei paesi nordici è molto affermata. Non lo è però nel centro-sud Europa. Questo, anche, perché conflitti e congiunture internazionali hanno molto rallentato la modernizzazione delle infrastrutture. E, di conseguenza, il consumatore non si è fidato. Del resto, come si poteva far partire un piano poderoso di trasformazione della mobilità con la crisi delle materie prime e con le spinte inflattive che si sono viste per due anni? Da questo punto di vista, diciamo che vi sono stati anche fattori del tutto incontrollabili che hanno reso molto complicata la transizione all’elettrico.
Quali sono le sue previsioni sul futuro dell’industria europea?
Non è semplice rispondere a questa domanda perché le incognite sono tante e diverse. Intanto, in Europa abbiamo tre grandi case costruttrici: Volkswagen, Stellantis e Renault. Quest’ultima è quella che sta meglio mentre la crisi delle altre due è evidente ormai da tempo. Però, tra la crisi di Volkswagen e quella di Stellantis ci sono differenze. Nel primo caso, a Wolfsburg sono consapevoli di avere tre anni di tempo per invertire la rotta, sanno che rischiano la chiusura. E la Germania, per non dire l’Europa – si pensi soltanto all’indotto italiano – non può perdere la sua industria più importante. Ma, lasciatemi dire, sono sicuro che i tedeschi salveranno la Volkswagen. Diciamo anche che il dieselgate per loro è stato un colpo durissimo che probabilmente ha avviato la crisi di un’azienda che ha fatto la storia del settore. Diverso è il caso di Stellantis: Tavares si è dimesso, l’azienda si è molto impoverita con tutti i dividendi che ha distribuito, negli ultimi anni si è più concentrata su questioni interne che di prodotto e di mercato. Stellantis è davvero un’incognita, soprattutto per ciò che concerne la produzione in Italia.
A questo proposito, il 17 è stato convocato un tavolo dal Ministero del made in Italy proprio per valutare la crisi Stellantis e per individuare risposte che possano sostenere l’industria in questa fase complicata. Cosa pensa possa produrre questo tavolo?
Il governo ha certamente fatto bene a convocare questo tavolo. Ma, per prima cosa, dobbiamo partire dal fatto che le scelte aziendali rispondono più agli interessi transalpini che a quelli nostrani, lo abbiamo già visto. Inoltre, in Italia si è sempre molto faticato nel reggere l’urto di crisi aziendali di questa portata. Situazioni come questa hanno bisogno di risposte di sistema, quelle che in Germania – sono convinto – governo, enti locali e sindacati riusciranno a dare a Volkswagen. E credo anche in Francia, perché sulle politiche industriali i francesi sono i più bravi. In Italia si è sempre troppo litigiosi e si finisce sempre col perdere le occasioni. Non voglio dare un alibi a Stellantis, dico solo che in Italia la situazione mi pare davvero molto complicata.
A Bruxelles, per il momento, le reazioni sembrano difendere le misure vigenti. In particolare, la vicepresidente della Commissione con delega alla Competitività e alla Transizione ecologica Teresa Ribera afferma che non ci sarà nessun passo indietro. Come pensa possa evolvere questa situazione?
Io credo che ci saranno novità. Da una parte, potrebbe prevalere il principio della neutralità tecnologica. Ovvero, vi sono più tecnologie che sono in grado di rispettare gli standard climatici. Non dimentichiamoci che, su questo punto, nel 2023 la Commissione europea ha dato il via libera agli e-fuels su richiesta della Germania e, secondo me, darà la stessa approvazione anche ai biocarburanti su richiesta dell’Italia. Sono due tecnologie che diversificano la funzione del motore endotermico migliorandone l’impatto ambientale. Questo solo per fare due esempi. Poi, può darsi pure che il quadro normativo vigente non sarà stravolto: potrebbero decidere di posticipare le scadenze dal 2035 al 2050. Ma, in questo modo, vorrebbe dire praticamente sterilizzare la norma, renderla innocua… 25 anni sono tanti: una nuova vita per il motore endotermico.