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Ma cos’è la precarietà nel 2023?

La Segretaria del PD, Elly Schlein ripete continuamente che nelle priorità del partito che guida, c’è la lotta alla precarietà. Lo ha ribadito anche nella relazione e nella conclusione del Direzione nazionale del 19 giugno scorso. Entrando nel merito, ha contestato i provvedimenti sul lavoro del Governo Meloni e ha ribadito che su questo punto ci sono assonanze con il Movimento 5 Stelle. A questo proposito ha citato il salario minimo per legge. Francamente, a me sembra troppo poco per costruire una strategia di ricomposizione del mondo del lavoro, condizione necessaria per allargare un consenso alternativo alle scelte del centrodestra.

Il salario minimo è misura che, se diventerà legge, rappresenterà un livello sotto al quale nessuna azienda, nessuna amministrazione, nessun magistrato potrà dire che si può remunerare una persona. Un deterrente molto simbolico per un Paese che ha un sistema contrattuale molto diffuso su tutto lo scacchiere delle professioni e i mestieri vecchi e nuovi. Di tutela automatica, la definizione del salario minimo, non ha niente. E’ un’arma in più in mano al malcapitato, se e quando si rivolgerà al sindacato o a un giudice per farlo rispettare. Ma in quell’istante, scoprirà che forse gli conviene chiedere che sia applicato il contratto di lavoro di riferimento al settore in cui lavora.

In altre parole, il salario minimo non risolve la questione della precarietà. Che nel 2023 è fenomeno inquietante e complesso nello stesso tempo. La frantumazione del mercato del lavoro è ampia, si dipana dal lavoro nero spesso nelle mani della malavita, al lavoro a tempo determinato che coinvolge soprattutto i giovani, passando attraverso le partite IVA fasulle, le collaborazioni continuate all’infinito, i part time forzati specie nei confronti delle donne, gli apprendistati reiterati a piene mani, i tirocini gratuiti, ridotti a volontariato. 

Inoltre, la precarietà è figlia di un sistema formativo privo di un permanente ausilio dell’orientamento agli studi. Con il risultato che persiste un gap tra domanda ed offerta di lavoro endemica e che non ancora trova una via di soluzione ragionevole. E’ ingenua se non scellerata la scelta del Ministro della Pubblica Istruzione di assegnare al volonteroso professore il mestiere di orientatore. Lo chiama tutor. Un insegnante, contemporaneamente, non può fare ambedue le funzioni. Una delle due la farà male. L’esperienza dell’alternanza scuola lavoro, improntata allo stesso criterio, evidentemente non ha insegnato niente. Certo, ci sono state best practices, ma nell’insieme si è sviluppata a macchia di leopardo, a singhiozzo e non sempre con modalità onorevoli.

Infine, la precarietà tocca anche chi già lavora. Man mano che ci si inoltrerà nella transizione ecologica e digitale, per stare al passo delle indicazioni europee di politica economica e fatte proprie dal PNRR italiano e mentre l’Intelligenza Artificiale comincerà ad insidiare e stravolgere l’organizzazione del lavoro, si scoprirà che l’obsolescenza di vecchi lavori verrà accelerata. Ci saranno sicuramente nuove professionalità che emergeranno. 

Ma perché queste possano interessare anche quelli che perdono i lavori esistenti, occorrerà non solo rafforzare il sostegno al reddito, ma alimentare un programma di riqualificazione che non può essere affidato al fai da te del singolo lavoratore. In assenza di un minimo di costruzione di questo paracadute, sarà inevitabile assistere a duri tentativi di allungamento dei tempi della transizione, con tutte le conseguenze negative che si possono immaginare.

Per ciascuno di questi blocchi di questioni, c’è bisogno di individuare soluzioni operative e risorse adeguate. Sbaglia chi ritiene che si possa disporre con facilità di una cassetta degli attrezzi che vada oltre gli slogan da manifestazione. Beppe Grillo è tornato sulla scena politica evocando “brigate” e “passamontagne” di funesta memoria. Ma fa addirittura sbalordire quando urla la richiesta del reddito minimo universale a tutela di tutti i disoccupati. 

Siamo alla improvvisazione, ma così non si va oltre l’assistenzialismo. Se invece, si vuole fare sul serio, bisogna mettere intorno al tavolo tutti i protagonisti istituzionali, economici, sindacali, che con l’aiuto dei centri di ricerca universitari ma anche privati, potranno delineare indirizzi e proposte praticabili, adeguate alla ricomposizione del mondo del lavoro. E’ questo l’obiettivo che deve fare da faro alle forze progressiste.

Un partito temporaneamente all’opposizione deve coltivare una cultura di governo, comunque. Non può soltanto contestare, rinviando al momento del successo, la scelta delle misure del buongoverno. Il consenso per ritornare a governare, si costruisce elaborando strategie comprensibili da tutti e che molti le considerino migliori di quelle del Governo in carica. 

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