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Meno abitata, più vecchia, più povera

Meno abitata, più vecchia e con buona approssimazione, pure più povera. Certamente meno dinamica “perché una popolazione che invecchia perde anche dinamismo”. È la fotografia dell’Italia in cui tra venti, trent’anni si ritroveranno, da adulti, i bambini di oggi, “che vivranno più a lungo, ma saranno circondati da anziani”, spiega Massimo Livi Bacci. Per il demografo più ascoltato d’Europa i segnali di quel che il Paese sarà domani sono nei dati diffusi oggi dall’Istat: 116 mila italiani in meno, poche nascite, il “ricambio naturale” più basso dal 1918, l’età media innalzata a 45,7 anni, la speranza di vita allungata fino a quasi 81 anni per gli uomini e a 85,3 per le donne. E per invertire la tendenza di quella che definisce “una situazione di grave depressione demografica” serve anche “una maggiore parità di genere nella gestione delle famiglie”. 

La situazione, commenta il docente e studioso fiorentino, “non è esclusiva dell’Italia, perché un tale stato di cose si verifica anche in Giappone, Spagna, Corea del Sud, e tuttavia è preoccupante”. Lui, tiene a precisare, non è “più preoccupato di quanto non lo fossi già cinque o sei anni fa”. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito l’ennesima contrazione della popolazione registrata dall’Istat “un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese”. “Di certo, l’Italia non scomparirà – fa notare Livi Bacci – Può avvenire che nei prossimi venti, trent’anni la popolazione continui a diminuire, a meno che non aumenti fortemente l’immigrazione, fenomeno per il quale, però, nel Paese non c’è di certo un grande consenso”. Il trend è negativo: “con questa tendenza, che già è in corso, l’Italia si rimpicciolirà, come d’altra parte è avvenuto negli ultimi anni”, prosegue il demografo. 

La popolazione italiana, insomma, continuerà a diminuire “e di per sé non è un fenomeno tragico, se non fosse che è il risultato di un continuo accrescimento dei molto anziani e una diminuzione dei giovani”. Anche sul fronte della denatalità il nostro si conferma un Paese diseguale, a doppia velocità, con la popolazione del Nord che cresce e quella del Centro e del Sud che diminuisce. Inevitabile evocare la correlazione tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite dal maggiore sviluppo economico e sociale dei territori e delle varie zone. “In realtà la natalità è bassissima anche al Nord – sospira Livi Bacci – il Sud, per anni più prolifico, lo è sempre meno. La disparità economica tra Settentrione e Meridione persiste tuttora. A 160 anni dall’Unita d’Italia, il Sud è lontano dal Nord come lo era ai tempi di Cavour. Quanto alla correlazione tra denatalità e crisi economica è evidente che in una fase di crisi economica, le coppie sono più caute nel mettere al mondo un figlio. Mi pare anche una questione di buon senso”. 

Di fatto, stando le cose come ha mostrato l’Istat – per ogni 100 persone che muoiono ne nascono solo 67 – oggi il rimpiazzo generazionale non è garantito: un figlio non è sufficiente per sostituire i due genitori che l’hanno generato. Di qui la domanda: che Italia sarà quella in cui diventeranno adulti i bambini di oggi? “Uno scienziato diceva che l’unico modo di vedere il futuro è quello di campare a lungo”, risponde il demografo, che, però, qualche idea su come si trasformerà nei prossimi anni la popolazione italiana ce l’ha. “Ci saranno sicuramente più immigrati, il Paese diventerà più piccolo dal punto di vista demografico, i giovani saranno pochi e camperanno più a lungo. Poi bisogna vedere se ci sarà una ripresa economica”. Le previsioni sul Pil non sono confortanti. “La stagnazione economica è anche conseguenza della nostra debolezza demografica perché anche la popolazione attiva invecchia, prova ne è che oggi nella forza lavoro ci sono molte più persone over 50 rispetto a trenta anni fa. E una forza lavoro che comprende pochi giovani, a parità di condizioni, è meno produttiva. Le start up si creano a 25-30 anni, non a 70”. Una situazione, quella del calo delle nascite e del sostegno alle famiglie e per il ricambio della forza lavoro, cui negli anni vari Governi hanno provato a far fronte con altrettante varie misure: e quindi, per citarne tre tra le più vicine nel tempo, bonus bebè, reddito di cittadinanza, quota 100. “Tutto questo va benissimo – spiega Livi Bacci – purché non sia fatto in modo estemporaneo e in maniera disordinata. Le famiglie che decidono di avere figli devono sapere di poter contare su provvedimenti che valgono nel tempo e non siano temporanei. Perché questo genera sfiducia e non serve a raggiungere l’obiettivo”. 

E qui arriva la strigliata. “I Paesi che hanno buone politiche nel campo della famiglia – scandisce il demografo – se le tengono, non le cambiano a ogni cambio di Governo o ad ogni elezione”. Il che, visti i precedenti, sembra rendere più difficile un’effettiva inversione di tendenza. Quest’ultima, a volerla effettivamente avviare, secondo Livi Bacci, dovrebbe passare attraverso tre step: una maggiore presenza di donne al lavoro, più autonomia ai giovani – che ancora oggi finiscono gli studi tardi, cominciano a lavorare da “relativamente vecchi” e dunque ritardano la scelta di avere un figlio – incrementata anche dalle famiglie e una maggiore parità di genere nella gestione familiare. “L’Italia è un Paese in cui c’è ancora troppa disparità di genere sul fronte della gestione della famiglia che, purtroppo troppo spesso, ricade sulle spalle delle donne”, sottolinea il demografo. La bassa natalità è dunque una delle emergenze italiane? Livi Bacci sospira di nuovo. Poi risponde: “Il nostro è il Paese delle emergenze. Certo, la denatalità è un grande problema che non si risolve dall’oggi al domani. Per affrontare veramente la questione occorrerebbero, come ho detto, non provvedimenti una tantum, ma un paio di decenni di buone politiche familiari, attuate con concordia tra le forze politiche e, ripeto, senza cambi di rotta al cambio di un Governo o a una tornata elettorale”. 

*Da CITTADINI 11/02/2020 

 

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