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Pastore, l’attualità dei capisaldi del suo pensiero

E’ un grande dolore la morte di Giovanni Avonto. Un sindacalista piemontese dalla forza morale e dalla competenza indiscussa. L’ una e l’ altra lo collocano nel Pantheon del gruppo dirigente della CISL degli anni ruggenti del sindacalismo italiano. Un vero amico. Oltre che collaboratore, lettore e censore di questa newsletter. 

Riportiamo un suo ultimo contributo.

A partire dal 6 giugno di quest’anno al Centro studi di Firenze è iniziata una serie di convegni storici, preparati anche rapidamente, per ricordare l’opera di Giulio Pastore in occasione del 50mo della sua scomparsa. Questa risposta, che include anche un’iniziativa della sua città di adozione, Varallo, sembra volere recuperare rispetto a una quasi desueta conservazione, valorizzazione e conoscenza della nostra storia.

Vincenzo Saba nel suo “Giulio Pastore sindacalista” (Edizioni Lavoro, 1983) lamenta il “blocco storiografico” su Pastore e cerca di individuarne le motivazioni. Tra i motivi di questo ‘blocco’ si limita a citare l’egemonia dei socialisti nel primo dopoguerra anche nella storiografia; mentre non approfondisce la questione dell’apporto nuovo del movimento di lotta al fascismo, che nel pluralismo rappresentato dalla Resistenza ha registrato significative scelte del partito comunista a favore della democrazia e della rinuncia alla via rivoluzionaria, che hanno aumentato la sua egemonia.

Ma in effetti anche la ricerca storica nella Cisl ha lasciato molto vuoto nel suo retroterra.  Mario Romani, mancato nel ’69, è lo storico che aveva cercato di produrre una saldatura tra il sindacalismo bianco del primo dopoguerra e la sua proiezione, di rinascita e rinnovamento, con Grandi e Pastore.

La creazione dell’Archivio storico del movimento sociale cattolico in Italia e i numerosi convegni di ricerca e accumulazione storica delle esperienze di inizio secolo, organizzati da Romani, definiscono i valori coltivati e le esperienze prodotte, insieme all’elaborazione culturale.

In particolare il sindacalismo bianco consegue l’autonomia politica e l’aconfessionalità del sindacato, inteso come strumento associativo di difesa e promozione dei lavoratori di un determinato settore o territorio. La contrattazione ed i concordati (cioè contratti) nazionali costituivano la strumentazione con cui risolvere i conflitti di classe, superando l’ideologia della permanente “lotta di classe”.

Infine c’era un’elaborazione non trascurabile sul cambio del rapporto fra capitale e lavoro, con l’introduzione dei nuovi diritti di partecipazione all’interno dell’impresa. 

Dunque, studiare la Cisl come nascita del “nuovo sindacalismo” di ispirazione cattolica, ma laico e pluralista costruito da Pastore, senza richiamare le acquisizioni già consolidate, significa tarpare la conoscenza della nostra storia: ed è il rischio della nostra dirigenza che parte come formazione dal Patto di Roma del ’44 e avanti….

Pastore era un “garzone” della Manifattura Borgosesia nel 1918 quando nasce la confederazione bianca CIL, ma poi vi partecipa attivamente come segretario dell’Ufficio del Popolo di Varallo, e soprattutto poi a Monza con Grandi impara l’arte del sindacalismo libero… da gerarchia clericale e partito.

Grandi gli fu grande maestro, perché vive un’esperienza non minoritaria del Sindacato tessile italiano, che stipula il primo contratto collettivo nazionale nel maggio 1919, avendo dietro di sé l’esperienza veneto-lombarda dei Comitati regionali di mobilitazione produttiva per la guerra, in cui era stata sperimentata la produttività.

Inoltre il Novarese ha conosciuto le lotte contadine diffuse al Nord, capeggiate dal sindacalista cattolico Guido Miglioli.

Conclusione: bisogna allargare la storia della nostra organizzazione sindacale attraverso una formazione che includa il periodo di concepimento e di parto del sindacalismo bianco, anche come contributo a un riequilibrio storiografico.

 

Vorrei ora ricordare qualche aspetto particolare dei rapporti di Pastore con realtà significative del secondo dopoguerra che normalmente non vengono toccate. Pastore si interessò dello sviluppo del movimento dei Consigli di Gestione dalla Liberazione ai primi anni Cinquanta, e in particolare riservò la sua attenzione a quello della Caproni che concedeva poteri deliberativi abbastanza estesi sull’organizzazione e retribuzione del lavoro. Vi dedicò un suo scritto (Orientamenti sul problema dei Consigli di Gestione, Editrice Libraria Italiana, Roma, 1947). Quindi i poteri assegnati al Cdg per la gestione della manodopera, che avevano rappresentato un obiettivo del sindacalismo riformista nell’ultima età liberale, ma non condotto a termine dal giolittismo, restavano nell’ interesse dei sindacalisti di tradizione cattolico sociale.

Mentre questo tipo di cultura ed esperienza diventa patrimonio nelle realtà europee (e per l’Italia rimane l’esperienza del Cdg Olivetti), Pastore dopo la separazione dalla Cgil e la realizzazione della Cisl come confederazione plurale, con il supporto di Mario Romani e altri studiosi dedicati all’ufficio studi e alla formazione, rivolge la propria attenzione all’esperienza dell’unionismo delle grandi organizzazioni sindacali dei paesi anglosassoni, ove la contrattazione è l’evoluzione del sindacalismo moderno. Questo in presenza di una disponibilità dell’economia americana a espandere il volume degli scambi verso l’Europa ma anche una liberalizzazione degli scambi in aree economiche di sviluppo.

A questo proposito bisogna registrare nei primi anni ’50 gli attacchi di Adriano Olivetti al modello di sviluppo affermatosi nel dopoguerra, e al tipo di sindacalismo sviluppato dalla Cisl, a cui Giulio Pastore deve replicare polemicamente. Olivetti  rimprovera che gli aiuti americani siano serviti solo a rafforzare il potere tradizionale, i suoi profitti e non le condizioni di vita dei lavoratori e al mondo cattolico l’incapacità di affrontare efficacemente il problema della disoccupazione e al sindacalismo cattolico di esercitare un’influenza conservatrice sulla struttura sociale, perché subalterno alla Dc e dunque parte del blocco dominante.

 

Mi soffermo su questo conflitto politico culturale perché avrebbe potuto rappresentare successivamente una integrazione di culture partecipative dopo l’introduzione da parte di Pastore della contrattazione aziendale che portava il sindacato a negoziare sui posti di lavoro, facendo maturare nei gruppi dirigenti la coscienza dell’insufficienza dell’unionismo di mestiere di fronte alla nuova situazione. I rappresentanti sindacali all’interno dell’unità e dei settori produttivi cominciano a interessarsi del loro andamento economico nonché dell’economia nel suo complesso, divenendo consapevoli che ai problemi dello sviluppo deve accompagnarsi la presenza sindacale accanto al piano produttivo aziendale.

 

Ma se questa avrebbe potuto essere una ipotesi su cui lavorare per dare sostegno e contenuto all’idea “partecipazionista”, le scelte operate da Olivetti nel 1955 con Comunità di fabbrica e la creazione di un nuovo sindacato aziendalista (sotto l’ispirazione anche del sociologo Franco Ferrarotti), determinarono un violento scontro tra Pastore e Olivetti, al quale il primo rimproverava di aver scelto finalità politiche per il Movimento di Comunità e concorrenzialità elettoralistiche sindacali. 

Queste posizioni polemiche di Pastore contro Olivetti sono raccolte in “I lavoratori nello stato”, Vallecchi Firenze, 1963.

Dunque, accennato a quanto auspicabile, ma che gli attori storici non sono stati in grado di costruire, merita mettere in evidenza gli aspetti nuovi di politica sindacale creati e rielaborati da Giulio Pastore, con il supporto di Mario Romani, che è giusto ricordare e sottolineare, anche per il loro rapporto con l’attualità.

Sinteticamente ne individuo quattro: produttività; contrattazione aziendale, e rapporto tra contrattazione e legislazione; pluralismo di opinione e rappresentanza.

Produttività: richiede l’impegno delle parti sociali per ottenere un risultato complessivo nell’azienda. Per lungo tempo è stato considerato solo sfruttamento del lavoro dipendente e collaborazionismo per spegnere la conflittualità aziendale. Il primo vero accordo sul tema della produttività è quello del luglio 1993 officiato dal Governo, come criterio per la contrattazione aziendale. Questa elaborazione si può considerare una premessa per arrivare alla partecipazione con due canali o livelli di rappresentanza (anche il diritto di sorveglianza e interferenza sulla gestione aziendale). 

Contrattazione integrativa: è un secondo livello che viene proposto nell’elaborazione di Pastore per portare il sindacato e le sue rappresentanze a negoziare sui posti di lavoro, al fine di ridistribuire al lavoro i profitti delle aziende, e di disciplinare concordemente i comportamenti delle parti sociali verso un obiettivo predefinito.

– Contrattazione/legislazione: si tratta di una rielaborazione della questione autonomia, che parte dall’opposizione al riconoscimento giuridico del sindacato (art. 39 Cost.) e porta al valore giuridico della contrattazione e degli accordi sindacali; fino ad arrivare alla convinzione che tutto possa essere regolato per negoziato tra le parti sociali (Luigi Macario….).

Oggi richiede una sistemazione equilibrata anche per l’importanza dell’intervento pubblico nella soluzione di nuovi problemi (es. le riconversioni delle imprese, ma anche contrattare l’ambiente…).

– Pluralismo di espressione e rappresentanza nell’organizzazione: c’era stata una prima esperienza nel sindacalismo bianco, ma con Pastore lo statuto disciplina il pluralismo nelle sue possibilità di manifestazione e rappresentanza: dai congressi agli organismi collegiali che hanno potere di sintesi e decisione. Oggi prevale l’idea del pensiero unico, della gestione sovranista fino alle espulsioni.

Il pluralismo era e rimane importante se lo si usa per la riflessione e per la discussione ai fini della crescita sociale e politica cui siamo sollecitati oggi. Cioè la dialettica democratica nell’organizzazione può svolgersi solo se c’è un confronto esplicito di posizioni.

 

*Già Segretario Generale della Cisl Piemonte, 15. 11. 2019

 

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