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Ninni El Rojo, “Magari!”*

Vado a trovare Ninni El Rojo dopo molto tempo; so che è tornato da un lungo viaggio di ricerca in aree di Agricoltura “povera” del Mediterraneo, dell’Africa sahariana e del Centro-Sud America.

(D) Come è andato il viaggio? So che avevi come obiettivo quello di verificare la disponibilità delle “economie povere” a intraprendere la via di un loro sviluppo, sorretto dall’energia prodotta da fonti rinnovabili.

(N) E’ andato bene, è stato un viaggio in parte “fisico” e in parte “virtuale”. Nelle aree povere la prospettiva di diventare contemporaneamente produttori e consumatori dell’energia necessaria all’azienda e alla casa, risveglia aspettative ed entusiasmo.

(D) Allora un “evviva!” alla prospettiva, sorretta anche dall’Associazione Internazionale dell’Energia, di favorire lo sviluppo sostenibile nelle aree “povere” disposte ad assumere come “motore” le energie pulite.

(N) Sì, questa prospettiva genera entusiasmo; dobbiamo però stare ben attenti a togliere qualsiasi alone di magia attorno alla data. Tutti sono contenti che le energie pulite siano assunte e sussunte come nuovo motore dello sviluppo. Tutti sappiamo che l’autonomia energetica sarà la condizione più efficace per rendere e garantire lo sviluppo locale né dipendenteomologato

(D) Vedi quindi solo vantaggi?

(N) Sicuramente sì, questo processo è utile per tante cose: favorirà la transizione vera di queste aree, diminuirà sensibilmente la polluzione aumentando la ricchezza delle aree oggi più povere; lascerà, a quelle contrassegnate dallo sviluppo maturo, più tempo per favorire, produrre e accettare progetti specifici e locali impiantati su sistemi di energia pulita.

(D) E sul piano delle culture locali?

(N) Li ricongiunge al loro passato di organizzatori di processi energetici virtuosi e di costruttori di tecnologie che, anche se semplici, erano efficaci e capaci di recuperare vento e acqua. Sul riciclo non ne parliamo. Nei deserti sahariani mi hanno ricordato che loro da sempre usano il letame degli erbivori per il fuoco, senza contare che la loro economia del riciclo è certificata dall’assenza di scarti (a meno della nostra plastica).

Ciò che più li attira è vedere superata la nostra ossessione per la loro omologazione, che li ha resi progressivamente estranei alla loro cultura e alle loro tradizioni senza far loro acquisire i valori di una nuova identità.

(D) Siamo ai soliti tre termini: cultura, omologazione, multiculturalità.

(N) Esatto; quello che hanno in più sono anche i valori del rispetto e della modestia come grande categoria del conoscere. Quando parli con questi uomini del deserto o delle grandi foreste pluviali, capisci che hanno ben chiaro qual è la differenza tra sapere e conoscenza. 

La conoscenza appartiene al mondo, il sapere all’individuo.

Il nostro sapere è una piccola parte della conoscenza che per arroganza e razzismo vogliamo imporre.

(D) Vuoi dirmi che loro non hanno bisogno di riscoprire vento e sole per avere l’energia necessaria da fonti rinnovabili.

(N) Proprio così; basta vedere un nostro e un loro bagaglio. Loro sono i loro luoghi e sanno sempre come avere energia alimentare o da riscaldamento. Quando vorrai, ti parlerò volentieri di come un Inuit si scalda con un po’ di grasso di foca o come gli Irochesi riuscivano a viaggiare per tutte le grandi distanze della regione dei grandi laghi (e fino alla terra di Baffin) portandosi dietro solo qualche pelle di castoro.

(D) Quindi, questa possibile nuova tendenza della cooperazione internazionale potrebbe essere una strada in discesa?

(N) Di più. Non a caso la reazione più immediata è stata “MAGARI!”. Tutti rivedevano i piccoli mulini a vento, l’irrigazione dei campi ordinata e costruita sull’uso dell’acqua e non sullo spreco.

(D) Questo dell’irrigazione è un vulnus anche da noi; mi ricordo l’irrigazione degli agrumeti per canalette con il contadino che chiudeva e apriva passaggi per i rigagnoli.

(N) Quanta cultura e quanta maestria abbiamo perso. Non abbiamo neanche l’onestà intellettuale di insegnare nelle nostre scuole che la produzione dell’energia dalle fonti rinnovabili è la cultura e la scienza del mondo da sempre, fatti salvi due piccoli secoli. L’anomalia è l’esclusività (non l’esistenza o l’uso) delle fonti fossili.

(D) Ma tutta la modernità ha tecnologie legate all’energia da fonti fossili.

(N) È naturale; i nuovi saperi si raggiungono con la ricerca e la ricerca è finanziata da chi è interessato ad avere quel risultato. Ed ecco che il cerchio si è chiuso.

(D) Vuoi dire che il mondo si è organizzato sulla comodità di accendere la luce da un interruttore, non importa dove collocato purché in rete?

(N) Sì. Voglio dire proprio questo: il mondo si è organizzato sulla comodità di avere l’energia prodotta in modo puntiforme e distribuita per grandi reti territoriali. Non importa la valutazione dei costi delle opere, delle dipendenze, delle gerarchie e del colpo micidiale alle teorie o alle pratiche dello sviluppo locale. L’obiettivo è stato quello di costruire un mondo dipendente usando produzioni puntiformi e distribuzione per grandi reti.

(D) Ripeto, oggi l’Agenzia Internazionale dell’Energia auspica che il nuovo sviluppo, soprattutto nelle aree “in ritardo”, trovi il suo innesco nelle fonti rinnovabili e quindi nello sviluppo locale.

(N) Ben venga e, ripeto quello che mi hanno detto in molti, MAGARI. Energia da fonti rinnovabili e sviluppo locale sono le due gambe della stessa persona. E vedrai, se saremo in grado di proporlo e praticarlo nelle aree periferiche anche dei Paesi primi, la partecipazione sociale allo sviluppo locale sarà molto più forte e accentuata.

(D) Pensi alle aree ancora periferiche del nostro Mezzogiorno? 

(N) Sì, proprio a loro. Ricordiamoci che con il sole Archimede ha vinto la grande flotta di Roma, che oggi nel Parco di Ecolandia ad Arghillà (Reggio Calabria) i bambini cuociono la pizza con il forno a sole, che è un imbuto che convoglia i raggi solari su una pietra e fa cuocere la pizza creando allegria, curiosità, storia e cultura.

*Ecologista di Toledo

** Pedagogista

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