Un richiamo alla responsabilità di ciascuno di noi come cittadini del mondo e ai politici come attori di un cambiamento possibile per salvaguardare la casa comune dalla distruzione.
Una chiamata all’azione, anche controcorrente, abbandonando in nome dalla fede e dell’insegnamento del Vangelo, oltre che della razionalità, l’ignavia verso poteri e idee dominanti, il comodo barcamenarsi in attesa che altri si espongano, rischino e risolvano problemi che riguardano il futuro di tutti noi.
E, insieme, il disvelamento delle contraddizioni, delle ingiustizie e delle ipocrisie che si nascondono nell’ideologia, cioè in quella visione assoluta del mondo, secondo la quale il mercato è l’unico metro di giudizio per valutare la bontà delle azioni umane e la crescita materiale, a qualsiasi costo, è l’unica soluzione capace di risolvere i problemi dell’uomo.
Questo in estrema sintesi ho letto nell’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco: un testo scomodo che invita tutti, credenti e non credenti, a non restare in disparte; un invito esplicito a seguire l’esempio del santo di Assisi non solo nell’amore, in nome del Signore, “per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et
produce diversi fructi con coloriti flori et herba”, ma anche nell’abbandonare i compromessi, nell’agire in modo radicale.
San Francesco ha abbandonato i panni della comoda ricchezza, pur di fronte all’incomprensione e allo stupore di molti, anche tra le gerarchie ecclesiatiche, per salvare la Chiesa e riportare la fede alla limpidezza dell’insegnamento evangelico.
Allo stesso modo tocca all’umanità di oggi rompere il circolo vizioso che impedisce di cambiare decisamente direzione. “Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici”, scrive Bergoglio.
Ma bisogna far presto. I danni che l’umanità ha provocato con il modello di sviluppo degli ultimi due secoli all’ambiente naturale e alla struttura della società, due facce della stessa medaglia secondo Papa Francesco, hanno già oltrepassato la soglia oltre la quale si innescano meccanismi distruttivi.
Non ho trovato invece in questo testo straordinario il “posizionamento politico” che maliziosamente alcuni, in particolare negli Stati Uniti, hanno voluto intravedere nelle parole del Papa venuto dal Sud America, forse anche per tentare di depotenziarne l’effetto, timorosi che un richiamo in nome della fede possa risvegliare le coscienze: un conto è la politicità inevitabile di un intervento su temi, problemi e iniziative che riguardano il futuro del pianeta e della collettività umana; un altro è prendere parte a favore di un gruppo o di un altro.
Piuttosto ho trovato nell’enciclica la riproposizione forte del discorso sulla fede e sui rapporti tra gli uomini, che prende le mosse dai Vangeli, in particolare di Matteo e Luca, e arriva fino alle encicliche sempre più preoccupate e sempre più incisive, degli ultimi Papi, da Giovanni XXIII a Paolo VI, da Giovanni Paolo II a BenedettoXVI. Di fronte alla logica esclusiva del mercato e del profitto come unica fonte di legittimazione, il messaggio di fondo è lo stesso: non si può essere servitori di due padroni.
Da qui l’intervento scandalosamente disvelatore delle contraddizioni di oggi: lo sviluppo economico e tecnologico non significa di per sé benessere per gli uomini, né progresso per tutti; è necessario che vi sia un indirizzo in questo senso. “Gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile – scrive Bergoglio, smentendo chi lo vorrebbe descrivere come un antimodernista – ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità”.
Così, la crescita della potenza economicae tecnologica non significa di per sé giustizia e verità; è necessario che vada a favore della collettività e non solo all’accumulazione di pochi.
Il profitto non genera automaticamente qualità, soprattutto se il perseguimento del valore assoluto del profitto genera disuguaglianze sociali, inquinamento del pianeta, ingiustizie. “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti” scrive Bergoglio.
Tantomeno la produzione giustifica l’avvelenamento della casa comune solo perché la si sposta nei Paesi più poveri. “L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta” scrive Papa Francesco.
E ancora: la quantità di dati a disposizione di tutti non significa di per sé sapienza. Né si può giustificare in alcun modo lo scontro che già si intravede per conquistare il controllo di ricchezze, materie prime, derrate alimentari decisive per il futuro: “È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni”.
In estrema sintesi, non c’è progresso se l’economia pesa sull’esistenza dei poveri e dei più deboli, se la produzione e lo stile di vita producono un cambiamento climatico capace di sconvolgere la vita di milioni di persone, di togliere lavoro, di limitare a milioni di persone l’accesso a beni collettivi come l’acqua potabile, di cancellare l’esistenza di diverse forme di vita, fino a rendere pensabile addirittura l’estinzione dell’umanità.
E’ lo stesso Bergoglioa indicare che questi temi sono il cuore della enciclica:
“L’intima relazione trai poverie la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigmae alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”.
Ma nonè solo un’analisi concreta, né solo un pur convincente invito all’azione.
Nelle parole diPapa Bergoglio non bisogna dimenticare che vive il magistero della guida spirituale del mondo cattolico.C’è il richiamo alla fede, alla coerenza dei cristiani con gli insegnamenti del vecchioe del nuovo testamento.
Papa Francesco parla di creato e Creatore, parla a tutti, ma in modo diretto ai fedeli: “I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede”. Cita la Genesi (Caino e Abele e Noè) per ricordare che in quei racconti “così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri”.
“Oggi – scrive Bergoglio – credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terraè essenzialmente una eredità comune,i cui frutti devono andarea beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati”.
“L’ambiente– ricorda Bergoglio–è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sonochiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando “un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere”.
Si può avere fede o no. Maè ben difficile essere in disaccordo con il sensoe le indicazioni delle riflessioni che laChiesa da tempo sta presentando attraverso gli interventi dei ponteficie che ha trovato piena rappresentazione in quest’ultima enciclica di Francesco: nessuno può più far finta di non capire che il modello di sviluppo adottato, la concentrazione del potere nelle grandi centrali della finanza, la direzione di uno sviluppo tecnologico che può portare a forme strutturali di disoccupazione di massa e, appunto, l’effetto dell’inquinamento e le possibili ripercussioni del cambiamento climatico sono non opinioni, ma dati di fatto con cui bisogna fare i conti.
Il tempo dei rinvii, degli accodamenti e del quieto vivere è scaduto. Le ipocrite rappresentazioni di comodo per giustificare privilegi e posizioni di potere sono disvelate. E ognuno è giustamente messo di fronte alle proprie responsabilità e chiamato a fare la propria parte.
(*) già Segretario Cgil e Pd, Parlamentare