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Nuove misure anti-caporalato, contro la #FilieraSporca

Il 4 settembre scorso i Ministri Maurizio Martina e Andrea Orlando (rispettivamente alle Politiche Agricole e alla Giustizia) hanno annunciato gli interventi normativi del Governo per fronteggiare il fenomeno del caporalato. “Qualcosa si muove, dopo le drammatiche morti di sfinimento di tre lavoratori nei campi del sud, nel contrasto al caporalato e alla schiavitù nelle campagne italiane. Tra le misure annunciate […] siamo contenti di apprendere che è stata accolta una delle proposte contenute nel rapporto Filiera Sporca: la “responsabilità in solido” dei soggetti che traggono vantaggio dallo sfruttamento del lavoro. Tuttavia è necessario che la responsabilità in solido valga per tutti i soggetti coinvolti nella produzione agroalimentare, altrimenti il piano rischia di fallire”.

 

È questo il commento delle associazioni Terra!Onlus, daSud e Terrelibere.org, promotrici della campagna #FilieraSporca. Entrando nel dettaglio dei meccanismi di funzionamento del modello produttivo che genera sfruttamento e caporalato, le promotrici avevano pubblicato il rapporto Filiera Sporca. Gli invisibili dell’arancia e lo sfruttamento in agricoltura nell’anno dell’Expo (Terra Onlus, 2015), cui aveva fatto seguito una attività di moral suasion presso il Ministero con hashtag #martinarispondi

Alla campagna, tra gli altri, aderiscono Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Emergency, Medu e Flai Cgil. Proprio Flai Cgil aveva già quantificato il fenomeno nel rapporto Agromafie e Caporalato (2014) dell’Osservatorio Placido Rizzotto. Il sommerso occupazionale nel settore agricolo, è pari al 43%, con un valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa pari al 36% per gli imprenditori disonesti che falsano la concorrenza e agiscono in un regime di mercato falsato. Secondo le stime di Flai Cgil, sono circa 400mila coloro che trovano un impiego tramite i caporali, di cui circa 100mila presentano forme di grave assoggettamento dovuto a condizioni abitative e ambientali considerate para-schiavistiche.

Solo in termini di mancato gettito contributivo il caporalato ci costa più di 600 milioni di euro l’anno. I lavoratori impiegati dai caporali percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50% di quello previsto dai contratti nazionali e provinciali di lavoro, cioè circa 25/30 € per una giornata di lavoro che dura fino a 12 ore continuative.

Per far comprendere i meccanismi di funzionamento del modello produttivo che genera sfruttamento e caporalato, il report Filiera Sporca ricostruisce l’intera filiera delle arance raccolte in Sicilia e in Calabria, dal campo allo scaffale, per individuare i veri invisibili dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Un percorso gestito e diretto dai grandi commercianti locali che organizzano le squadre di raccolta, prendono accordi con le aziende di trasporto e con le multinazionali. Ed è proprio in questi passaggi che si inseriscono gli interessi dei caporali e della criminalità organizzata. 

La manodopera nelle campagne viene organizzata in squadre e capisquadra, che diventano gli interlocutori unici per pagamenti e dispiegamento dei lavoratori nei campi. Mentre i medi produttori ricorrono direttamente ai caporali, le realtà più grandi preferiscono rivolgersi a strutture formalmente legali come le “cooperative senza terra”. Sono formate sia da italiani che stranieri, non producono ma offrono servizi come la potatura e raccolta. 

Spesso sono aziende serie, altre volte forme di caporalato mascherato. Dietro un contratto formale con l’azienda committente, infatti, possono nascondersi lavoro nero, decurtazione delle buste paga, evasione contributiva. Secondo Filiera Sporca,il cuore del problema sono i grandi commercianti: comprano a prezzi irrisori la frutta dai piccoli agricoltori che non hanno alcun potere contrattuale e la rivendono a supermercati e multinazionali. Spesso sono ditte a conduzione familiare, ma capaci di esportare nel mondo. Talvolta sono coinvolti nelle raccolte, il passaggio cruciale dello sfruttamento: sono proprio loro a rivolgersi ai caporali locali.  

Nelle campagne di Paternò, vicino Catania, sono arruolati anche i minori per la raccolta delle arance: prezzo a giornata 15 euro. A denunciarlo a febbraio 2014 è stata la Cgil di Catania con un esposto presentato alle autorità. Gli aguzzini sono romeni “in stretta collaborazione con altrettanti mafiosi della zona che impongono un ‘prezzo’ su ogni bracciante che lavora nelle terre”, afferma la Cgil. Formalmente i braccianti non superano mai i cinque giorni di lavoro a settimana. Oltre questo limite, infatti, scattano i controlli. 

Nelle campagne il lavoro nero è sostituito da quello “grigio”. Un contratto c’è, ma serve al datore di lavoro come scudo per le verifiche: è sufficiente segnare poche giornate e nessuno potrà contestare. Spesso è una tripla truffa: capita infatti che un piccolo proprietario non paga il lavoratore, non paga i contributi Inps dovuti e guadagna dalla disoccupazione come falso bracciante. C’è il rischio che le giuste indennità vengano tolte anche a chi le merita e c’è un danno erariale che colpisce tutta la collettività, anche chi non lavora in agricoltura. “Gli ispettori Inps sono dieci per tutta la provincia”, afferma la Cgil di Catania. “Dagli elenchi anagrafici si evince che a Paternò sono stati assunti meno di 300 lavoratori romeni con meno di 50 giornate l’anno, a fronte dei lavoratori italiani che hanno una media di 116 giornate lavorative”, denuncia il sindacato. 

Il report Filiera Sporca si conclude con una serie di proposte di intervento tra le quali:

  • uscire dall’emergenza: superando il sistema emergenziale e di deroga alle normative, con il quale si affronta l’immigrazione in Italia;
  • una filiera trasparente per fermare lo sfruttamento, necessaria non solo per la tutela, la salute dei consumatori e per salvaguardare il Made in Italy, ma anche come risposta allo sfruttamento del lavoro che passa attraverso: 
    • o    l’obbligo di tracciabilità dei fornitori e trasparenza, rendendo pubblico e consultabile l’elenco dei fornitori delle aziende della filiera;
    • o    una etichetta narrante che accompagni il consumatore verso una  scelta consapevole sull’origine del prodotto ma anche sui singoli fornitori (quali fornitori, quanti passaggi lungo la filiera)
    • o    dotarsi di misure legislative che prevedano la responsabilità solidale delle aziende committenti.
    • accorciare la filiera, verso un nuovo modello di produzione: valorizzando le organizzazioni dei produttori, come anelli di congiunzione tra il campo e lo scaffale, riducendo così i passaggi della filiera e rendendola più trasparente.
    • aumentare e razionalizzare i controlli e le ispezioni;
    • introdurre le liste di prenotazione, per cui le aziende devono assumere la manodopera;
    • necessaria tramite liste pubbliche a cui i braccianti si iscrivono a inizio raccolta.

In questo quadro, le proposte del Ministero delle Politiche Agricole sono un primo importante segnale, pur mantenendo alcuni punti critici. Le linee di intervento proposte possono essere così sintetizzate:

 

Sintesi delle misure normative del Governo contro il caporalato(04/09/2015)

Confisca

Obbligatoria la confisca del prodotto o del profitto del reato, oltre che delle cose utilizzate per la sua realizzazione, in modo che la decisione sulla destinazione di questi beni non sia più affidata alla valutazione discrezionale del giudice, caso per caso (come è attualmente secondo l’articolo 240 del codice penale). Se al momento della condanna tali il prodotto o il profitto siano occultati, la confisca toccherà beni di valore equivalente che siano ovviamente nella disponibilità del reo, in modo da inibire qualunque forma elusiva della futura confisca

Intermediazione illecita

Si aggiunge il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’articolo art. 603 bis c.p. all’elenco dei reati per i quali può operare la confisca. Misura patrimoniale introdotta per colpire le grandi ricchezze illecitamente accumulate, anche per interposta persona, dalla criminalità organizzata. 

Responsabilità in solido

Si aggiunge il reato di caporalato (di cui all’articolo 603 bis c.p.) tra quelli per i quali si determina la responsabilità amministrativa da reato da parte degli enti: accanto alla responsabilità individuale dei singoli soggetti autori del reato, è fondamentale prevedere specifiche sanzioni (pecuniarie, interdittive e di confisca) anche a carico delle aziende che ne traggono vantaggio.

Indennizzo alle vittime

Nell’ambito della predisposizione del disegno di legge per dare attuazione alla direttiva europea 2004/80/CE circa l’indennizzo in favore delle vittime di delitti intenzionali violenti, di prossima elaborazione, si programma di inserire il reato di c.d. caporalato nell’elenco di quelli per cui si debba riconoscersi il diritto della vittima all’indennizzo a carico dello Stato.

Fonte: rielaborazione dal comunicato stampa Mipaaf del 4 settembre 2015. 

 

Al comunicato stampa ha fatto seguito una lettera al Ministro Martina, nella quale le associazioni aderenti a #FilieraSporca chiedono di essere ascoltate sulle proposte elaborate nel rapporto. Secondo le associazioni infatti “non è sufficiente colpire il caporalato ma bisogna risalire alle cause che lo determinano”, cause che, continuano nella lettera “devono essere rintracciate lungo la filiera, arrivando alle imprese e alla grande distribuzione”.  L’obiettivo della campagna è di arrivare a una filiera dove si conoscano i nomi dei fornitori, i passaggi e le modalità di produzione. Questo attraverso un’etichetta narrante che metta in condizioni i cittadini di essere consapevoli e un elenco pubblico dei fornitori dell’intera filiera.

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