L’orientamento professionale dei giovani deve fare i conti oggi con la cultura diffusa nella nostra società su che cosa è il lavoro e su che cosa sono gli ambienti di lavoro e i ruoli che le persone vi occupano.
Questa cultura diffusa comprende, tra le altre cose, anche alcuni profondi stereotipi e giudizi precostituiti che si sono formati nel passato e che poi si sono via via consolidati nel pensiero collettivo sino a diventare veri e propri assunti sociali e tratti caratteristici della cultura dominante. Essi condizionano in grande misura le scelte delle famiglie italiane. Per rendersene conto basta sfogliare i giornali più letti o seguire i programmi televisivi e radiofonici più noti.
Un primo stereotipo culturale è descrivibile così: il lavoro di fabbrica è tra i peggiori lavori possibili perché è sporco, faticoso, pericoloso, mal pagato, monotono e senza prospettive. Quindi qualsiasi altro lavoro, è preferibile , con l’unica eccezione dei lavori a contatto diretto con i rifiuti e la spazzatura.
Un secondo stereotipo culturale ad esso collegato è il seguente: i lavori di fabbrica e in agricoltura sono tutti lavori esclusivamente manuali, stupidi, faticosi e ottusi: quindi qualsiasi altro lavoro anche semplice, ma con aspetti di relazione interpersonale, è preferibile; come ad esempio lavorare in un bar, una pizzeria, un ristorante. L’ideale sarebbe in una “reception” dove centrale è il dialogo con il cliente, ma in ogni caso sarebbero preferibili lavori non manuali ma basati sul “parlare”.
Un terzo stereotipo molto diffuso nelle famiglie italiane riguarda il tipo di formazione preferibile per i propri figli. Questo è uno stereotipo di lungo periodo che si è formato a lungo nel corso del ‘900, e riguarda il fatto che la formazione classica basata sul liceo sia in ogni caso e per tutte le carriere, preferibile a ogni altro tipo di formazione, soprattutto a quelle di carattere tecnico.
Lo stereotipo si è creato per la tipica imitazione che le classi popolari e povere hanno verso le classi superiori e più elevate come accaduto spesso in passato. Questo stereotipo profondo e dominante ha a lungo condizionato sia le politiche scolastiche sia le sorti della formazione tecnica e dei vari tipi di Istituti Tecnici e professionali attivati nel nostro Paese. Infatti questo stereotipo tende a vedere come ideale la formazione basata sul liceo e sulla storia del passato, e al contrario a svalorizzare qualsiasi tipo di formazione basata sull’esperienza pratica o che semplicemente comprende momenti basati sull’empiria tecnica.
Bisogna prendere atto che qualsiasi attività di orientamento professionale deve fare i conti con questi stereotipi profondi, che condizionano i comportamenti delle famiglie e di conseguenza anche dei giovani.
Spesso naturalmente gli esiti sono diversi dalle aspettative e talora chi ha intrapreso un percorso formativo centrato sul liceo classico, la laurea in lettere o in giurisprudenza si trova a vivere una carriera professionale molto più modesta di chi invece ha optato per una formazione tecnico-scientifica. Ma, come noto, le interazioni tra aspettative, scelte formative, scelte di lavoro ed esiti di carriera sono molto complesse e difficilmente prevedibili.
La questione fondamentale è a mio avviso allora il superamento degli stereotipi, sia a livello sociale e collettivo, sia a livello individuale e della singola famiglia.
In primo luogo bisogna combattere l’idea che le fabbriche oggi siano ancora le stesse di 50 anni fa. Esse invece sono cambiate profondamente, sono ricche di tecnologie di supporto che riducono la fatica fisica e di tecnologie di automazione che sostituiscono il lavoro manuale. La sicurezza è aumentata, e spesso l’ambiente di fabbrica è più pulito delle nostre case e delle cucine di molti ristoranti.
Il lavoro, anche operaio ha molti contenuti tecnici di controllo, regolazione e manutenzione delle macchine. Inoltre nelle fabbriche si stanno sviluppando comunità professionali che usano i social network e le tecnologie di rete, come nelle aziende di avanguardia di Internet.
Allo stesso modo molti lavori in agricoltura, hanno perso le caratteristiche del contadino tradizionale e presentano contenuti innovativi, scientifici e di relazione internazionali inimmaginabili solo pochi anni fa.
Anche il pregiudizio della formazione tecnica e pratica come formazione inferiore e di serie B, deve essere combattuto. Non solo le fabbriche oggi sono “più intelligenti”, ma anche il saper fare tecnico-pratico, misto a conoscenze teoriche e scientifiche, è sempre più importante. La tecnicalità e il saper fare è un arricchimento della dimensione astratta e teorica e non invece un suo impoverimento. Anche le professioni al “top” come lo scienziato, il ricercatore, il grande chirurgo e il top manager, hanno bisogno della dimensione del saper fare.
Infine il pregiudizio sulla superiorità del liceo rispetto alle altre scuole, è un classico lascito del passato legato indissolubilmente al secolo scorso. E’ vero che la dimensione storica è essenziale per una formazione completa sia dal punto di vista culturale che scientifico, ma è meglio che la dimensione storica dell’apprendimento sia orientata al futuro piuttosto che a una sterile contemplazione del passato.
Credo che si debba combattere questi stereotipi con l’obiettivo di condurre le famiglie e i giovani italiani a scelte più ragionevoli e a carriere di maggior successo. A loro volta queste scelte potrebbero aiutare le scuole e le Università, con la forza dei numeri degli iscritti, a migliorare i percorsi formativi nel senso di una maggiore coerenza con lo sviluppo dei moderni sistemi di produzione sia manifatturiera, che in agricoltura e nei servizi. A sua volta il miglioramento del sistema formativo potrebbe avere positivi effetti sui sistemi produttivi.
Penso che un buon modo per combattere gli stereotipi errati sia quello di far conoscere diffusamente le nuove realtà produttive industriali, in agricoltura e nei servizi e soprattutto di portare esempi concreti delle nuove professioni e dei nuovi ruoli professionali in questi settori.
(*) Docente di organizzazione aziendale al Politecnico di Milano