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Per migliorare la P.A. occorrono tempo e selettivita’

Sebbene i dipendenti pubblici siano stati già ampiamente colpiti dal congelamento degli stipendi nonché dalla generale riduzione dei fondi necessari all’espletamento delle loro funzioni e, a livello aggregato, dal blocco del turn-over, il processo di revisione della spesa pubblica punta decisamente a conseguire ulteriori risparmi significativi nella voce relativa al pubblico impiego. Ciò è giusto, perché sicuramente esistono ancora nel settore sprechi che devono  essere eliminati e possibili razionalizzazioni generatrici di risparmi; ma grande attenzione deve essere posta perché il processo non si risolva in un peggioramento della qualità e della quantità dei servizi (lasciando peraltro inalterate, come spesso succede, inefficienze e talvolta malaffare) e in una poco accorta gestione del personale.

Per evitare questi rischi e raggiungere i risultati desiderati sono necessarie due condizioni preliminari. La prima è che si segua un corretto percorso di diagnosi e di progettazione degli interventi e la seconda è che il personale stesso, nei diversi livelli e con diverse responsabilità, sia coinvolto in tale percorso. I “blocchi del turnover”, i blocchi degli stipendi e i “tagli lineari” cui siamo abituati sono molto lontani da queste premesse.

Bisogna poi prendere atto che il numero complessivo dei dipendenti e il livello medio delle retribuzioni non sono le uniche (e forse neanche le più importanti) voci di spesa  da aggredire per realizzare risparmi nella pubblica amministrazione. Ci sono altre voci (come per esempio l’acquisto di beni e servizi – dai beni strumentali fino agli affitti e alla manutenzione degli immobili; la proliferazione di consulenze; la partenogenesi  di commissioni, etc.) che offrono ampie opportunità di razionalizzazioni e di risparmi. La revisione della spesa non dovrebbe trascurare simili voci, anzi dovrebbe assumerle come oggetto fondamentale di revisione.

Ma tuttavia, per limitarci in questa sede a considerare le questioni più direttamente legate al personale (le quali più da vicino coinvolgono le organizzazioni dei lavoratori del pubblico impiego) cerchiamo di vedere brevemente quali siano i principali aspetti da affrontare. Essi corrispondono sostanzialmente a due fondamentali problemi da risolvere: 1. la (ri)determinazione dei fabbisogni di personale; 2. la gestione della mobilità. Sono tutti problemi che richiedono la massima attenzione e in cui una semplicistica ossessione di fretta potrebbe provocare errori.

Per determinare i fabbisogni di personale diversi metodi sono disponibili (peraltro variamente utilizzati nel settore privato) ma molti di essi rappresentano scorciatoie che nel settore pubblico non portano a risultati soddisfacenti. Una prima scorciatoia sarebbe quella di acquisire in proposito le proiezioni fatte dai responsabili stessi delle unità amministrative. E’ ovvio che non essendo i servizi pubblici venduti sul mercato ed essendo strutturale la tendenza dei dirigenti a massimizzare il numero dei dipendenti, questo metodo non è attendibile. 

Una seconda scorciatoia consisterebbe nel raffrontare per le diverse aree territoriali la domanda di servizi con i costi sostenuti dalle amministrazioni. Anche questo metodo costituisce una scorciatoia inadeguata perché omette di considerare due variabili: le trasformazioni dei fabbisogni di servizi della Pubblica Amministrazione e le innovazioni da introdurre nella produzione di tali servizi. 

Per giungere a valutazioni appropriate occorrerebbe sviluppare, in sequenza, le seguenti tappe. Primo: determinare (per ciascuna area territoriale) la tipologia e la quantità di servizi da produrre nonché gli enti e le articolazioni amministrative che a tale scopo si rendono necessari. Non essendoci domanda pagante per tali servizi occorre utilizzare indicatori ed analisi georeferenziate per individuare i fabbisogni delle comunità e le funzioni dell’amministrazione. Senza tale verifica è forte il rischio di computare fabbisogni di personale per lo svolgimento di funzioni non più necessarie e viceversa ignorare i fabbisogni per nuove funzioni e nuovi servizi. Secondo: ridisegnare i processi di produzione dei servizi e l’organizzazione delle unità amministrative  tenendo conto delle innovazioni tecnologiche (ICT da non usare solo per fare col computer il lavoro delle vecchie macchine da scrivere), delle innovazioni organizzative, dei necessari riassetti istituzionali e dei confronti internazionali (benchmark). 

Tale ridisegno comporta sicuramente una riduzione dei coefficienti di lavoro per unità di “prodotto”. Questo è un passaggio complesso che va compiuto con una equilibrata  collaborazione tra livello centrale e livello periferico, ma è un passaggiO necessario perché calcolare i fabbisogni professionali facendo semplici proiezioni basate su invariati processi compromette sia l’efficienza sia l’efficacia della pubblica amministrazione. Qualunque operatore e forse anche qualunque cittadino si rende conto di quante assurdità burocratiche debbano essere rimosse dai processi adottati dalla pubblica amministrazione e quanto questi gravino sui costi per l’intera cittadinanza, e non solo per la PA in senso stretto. 

Infine, a questo punto, ma solo a questo punto, è possibile rideterminare i coefficienti di lavoro  e quindi i fabbisogni localizzati di personale della pubblica amministrazione non soltanto sotto il profilo quantitativo ma anche sotto quello qualitativo delle competenze e delle professionalità richieste.

Risolto questo problema attraverso i tre passaggi suddetti si giunge al secondo problema. Una volta composto il nuovo quadro dei fabbisogni, che sicuramente conduce a una revisione delle “dotazioni organiche”, il raffronto di queste con il quadro attuale consente di rilevare dove si evidenzino eccedenze di personale e dove lacune. E a questo punto si presenta il compito di conformare la realtà ai fabbisogni. Risulta evidente che: a) se le eccedenze risultassero pari alle  lacune, la mobilità e una perfetta riallocazione del personale potrebbero generare un miglioramento dell’azione della P.A., ma non un risparmio di spesa; b) se le eccedenze superassero le lacune, ciò comporterebbe invece una riduzione assoluta di personale, con conseguente risparmio di spesa. Le varie “tecniche” utilizzabili a questo scopo entrerebbero in campo: blocco del turnover, uscita graduale (part time), prepensionamento e così via.

Ma, sia nel caso di equivalenza quantitativa tra eccedenze e lacune, sia per la quota di eccedenze potenzialmente assorbibile nelle lacune  nascono problemi. Uno: mobilità geografico territoriale. Due: corrispondenza delle competenze (per esempio: sono attualmente disponibili competenze adeguate per i servizi per l’impiego?) In questo caso piani di formazione e riqualificazione diverrebbero necessari, ma potrebbero non essere sufficienti, e in quei casi nuove assunzioni mediante reclutamento si renderebbero necessarie, come per le casistiche di cui al punto b. Tre: limiti di bilancio e vincoli assunzionali; è evidente che se tutte le amministrazioni subissero un taglio delle dotazioni organiche il meccanismo della mobilità qui ipotizzato non potrebbe funzionare.

Possiamo concludere dicendo che quelli su esposti sono requisiti metodologici per realizzare una revisione della spesa che consenta contemporaneamente di migliorare l’offerta di servizi della PA e di realizzare risparmi di spesa (realizzare risparmi semplicemente riducendo i servizi sarebbe troppo facile!). Su queste linee dovrebbero impegnarsi sia il governo sia le organizzazioni dei lavoratori del pubblico impiego. Ma non si tratta di un “provvedimento” una tantum. E’ evidente che si tratta di un processo permanente, continuo e graduale, che può anche richiedere tempi diversi da amministrazione a amministrazione e che quindi va avviato e proseguito nel tempo. Bisogna vigilare continuamente perché la “revisione della spesa” non si trasformi in un taglio di servizi utili per poter mantenere in vita servizi ed enti inutili.

 

 (*)  Professore di Economia politica, Facoltà di Economia Federico Caffè  dell’Università Roma 3

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