Al fine di una lettura sui bisogni reali della cittadinanza, da sempre i volontari e gli operatori delle Caritas diocesane si riconoscono attori importanti e particolarmente attenti a dare risposte concrete.
Il ruolo che essi assumono nelle singole realtà ecclesiali si pone di fondamentale importanza non solo in quanto ascoltatori pazienti delle persone in situazioni di disagio, ma anche quali animatori e promotori di solidarietà e di sensibilizzazione della comunità al fine di rompere il muro dell’indifferenza che è ancora presente in tante realtà cittadine.
Da sempre il volontariato, in generale, ha assunto ruoli importanti come quello di essere anticipatore di risposte ai bisogni esistenti non ancora percepiti dall’ente pubblico, dalle istituzioni private e dalla stessa comunità circostante
La costruzione di legami solidali
Oggi, più che mai, il volontariato integra l’azione dei servizi esistenti sul territorio rendendoli più efficaci e si muove come stimolo e promozione della solidarietà di base costruendo reti di collaborazione con i diversi enti e associazioni, curando i legami di prossimità a beneficio delle tante persone in situazione di disagio.
I Centri di Ascolto Caritas, oltre ad essere spazi in cui i volontari tessono relazioni con persone che vivono in situazioni di precarietà economica e relazionale, sono anche luogo privilegiato di osservazione. Questi interpretano al meglio non solo le caratteristiche demografiche e le problematiche sociali delle persone che ad essi si rivolgono, ma anche le cause che danno origine all’aumento delle disuguaglianze sociali, determinando lo stato di povertà e di esclusione.
La crisi pandemica, a partire dal febbraio del 2020, ha rotto molti degli schemi nei quali i volontari dei centri di ascolto sono soliti operare, a seguito di formazione permanente alla quale partecipano, volta a sempre meglio supportare il cambiamento culturale e favorire il passaggio dall’approccio assistenziale a quello promozionale.
L’impatto violento della pandemia
L’irruzione dell’emergenza portata dal Covid ha visto scombinare gli equilibri precari all’interno delle famiglie. Inoltre ha messo in crisi persone che mai prima si sono trovate in situazione di bisogno tale da indurre richieste di aiuto alla Caritas.
La sospensione forzata delle attività lavorative a seguito del primo lockdown ha comportato un aumento considerevole di famiglie che si sono rivolte alle Caritas per avere aiuti di natura soprattutto alimentare, ma anche di pagamento delle utenze, non più sostenibili senza un introito mensile.
La rete cittadina si è prontamente organizzata, sono aumentate le donazioni di privati e tutti gli enti, ecclesiali e non, hanno costruito una rete solidale capace di raggiungere chiunque manifestasse un bisogno.
I cambiamenti prodotti dalla crisi pandemica
Da un lato è aumentato il numero delle persone che spontaneamente si sono offerte di dare un contributo in termini di volontariato. Dall’altro i centri di ascolto parrocchiali si sono scontrati con la dura realtà. Molti volontari sono stati costretti per questioni d’età, di salute o per il nuovo assetto organizzativo famigliare a fare un passo indietro nel servizio operativo.
La maggior parte dei centri ha chiuso al pubblico e attivato modalità di ascolto telefonico e telematico. Dopo una prima percezione comune di “non essere pronti” a un’emergenza di questo tipo e di non avere gli strumenti per farvi fronte, le motivazioni personali che sostengono il servizio dei volontari ha prevalso e sul territorio sono nate esperienze innovative.
L’Osservatorio diocesano ha attivato un’attenta rilevazione dei dati che vengono registrati sul sistema informativo della rete Caritas, utilizzata da 14 Diocesi del Piemonte, ponendo, così, in evidenza le differenti fasi che si sono succedute in questo lungo anno di pandemia. Un apposito questionario che i volontari compilano tuttora supporta l’Osservatorio che meglio comprende l’impatto che la pandemia sta avendo sulle persone.
L’obiettivo è quello di evidenziare quanti si rivolgono alle Caritas per la prima volta e quanti, invece, ritornano a seguito delle conseguenze della pandemia. Tanti, anche grazie agli interventi di accompagnamento nel tempo da parte dei centri di ascolto, avevano migliorato o addirittura stabilizzato la propria condizione di vita tanto da affrancarsi da aiuti materiali strutturati ma sono nuovamente tornati a chiedere aiuto. Questo è conseguente al fatto che le persone che si rivolgono alle Caritas per lo più appartengono a categorie molto fragili e pertanto, in generale, registriamo da parte loro difficoltà oggettive a “stare” in equilibrio.
Le nuove categorie di bisognosi
Il sopraggiungere di un elemento così grave e destabilizzante come la pandemia ha aggiunto alla povertà conclamata la paura del presente e l’ansia per il prossimo futuro, accentuando la vulnerabilità e l’instabilità emotiva. Oggi i volontari delle parrocchie si trovano a dover gestire non solo l’emergenza economica ed alimentare, ma anche quella legata al contenimento della disperazione.
Dall’analisi dei dati sono emerse categorie sociali inedite per i centri Caritas, come quello dei commercianti e piccoli imprenditori, titolari di ditte individuali, ristoratori, artigiani e negozianti che, dall’oggi al domani, hanno dovuto chiudere la propria attività, fonte di sostentamento dignitoso per la propria famiglia. Questo fenomeno si è manifestato in tutta la Regione e, grazie alle reti di collaborazione delle Caritas diocesane – coordinate dalla Delegazione Regionale – e attraverso il supporto di donazioni generose, la Regione Ecclesiale piemontese ha messo in campo azioni di supporto efficaci.
Pronti a ripartire insieme
Una di queste azioni, in particolare, è rappresentata dall’erogazione cospicua del Gruppo Cassa di Risparmio di Asti che ha dato vita al progetto “Ripartire Insieme”. L’iniziativa, che ha coinvolto le 17 Diocesi del Piemonte, trova ispirazione nei principi del welfare generativo e fa sì che le risorse messe a disposizione raggiungano contemporaneamente due diversi beneficiari per aumentare il rendimento degli interventi a beneficio dell’intera collettività: le attività produttive del territorio di piccole dimensioni (individuale o familiare) che risultano essere state maggiormente colpite dal lockdown e le persone e le famiglie in situazioni di bisogno che, grazie alla predisposizione di buoni emessi dalle Caritas diocesane, sono divenuti beneficiari di servizi offerti dagli esercizi commerciali fruitori, anch’essi, di contributo economico.
Sono stati privilegiati gli esercizi commerciali che erogano servizi alle persone come parrucchieri, estetiste, negozi di calzature e abbigliamento, ma anche fiorai e lavanderie. Questo perché si desiderava dare un segnale di vicinanza forte e concreta a chi, durante la pandemia, ha rinunciato al superfluo per far fronte all’indispensabile. Un intervento di questo tipo contribuisce anche, in parte, a scardinare un’idea di Caritas che fornisce aiuti soprattutto di natura alimentare.
Nella sola diocesi di Torino abbiamo registrato 35 aziende sostenute, 68.000 euro distribuiti, 2382 buoni emessi a favore di famiglie aiutate da 18 centri di ascolto. La situazione attuale, in cui l’emergenza pandemica non si è conclusa ma solo attutita, pone in evidenza fattori di rischio preoccupanti legati all’impoverimento conseguente alla perdita del lavoro di uno o più membri della stessa famiglia, accentuando le disuguaglianze sociali visibili nel mutamento dello stile di vita di molte famiglie.
Un nuovo punto di ripartenza: l’incontro intergenerazionale
In conclusione non è paradossale evidenziare un effetto, per così dire, “positivo” portato dall’emergenza. Uno dei maggiori problemi che i centri di ascolto affrontano da sempre è legato all’età avanzata dei volontari, che non trovano sostituzioni nelle generazioni più giovani. L’emergenza pandemica ha portato, invece, numerose persone che in precedenza non si erano mai rese disponibili – vuoi per impegni lavorativi, vuoi perché non intercettati dalla richiesta di coinvolgimento della Caritas territoriale – ad offrire la propria disponibilità.
Soprattutto la risposta dei giovani, impegnati su quasi tutti i centri di distribuzione, ha aperto a nuovi scenari di animazione e sensibilizzazione alla carità. Questi potranno e dovranno essere approfonditi quando sarà passata la fase emergenziale. Sottolineiamo questo aspetto perché la complessità di questo momento ha dato luogo all’incontro intergenerazionale e ha favorito scambio di competenze.
Attraverso l’incontro/scontro con una realtà in cui povertà e carità si mescolano con le possibili azioni di supporto, i più giovani hanno sperimentato come le necessità e le aspettative sociali siano strettamente connesse alle fasi della vita e debbano essere valutate e accolte dalla comunità di cui sono parte. Attraverso lo scambio dei saperi e delle esperienze con i volontari, i senior hanno “conosciuto” la testimonianza e si sono resi conto che donare tempo per favorire il benessere dell’altro favorisce l’acquisizione di competenze che li aiutano a far fronte alle sfide del futuro, rendendoli soggetti attivi di cura della società e non solo oggetti di cura da parte della società stessa.
*da Percorsi di Secondo Welfare, 17/08/2021
**Osservatorio delle Povertà della Caritas Diocesana di Torino.