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Rafforzato il contrasto al caporalato

La nuova disciplina mette a punto l’intermediazione illecita di mano d’opera, quale fenomeno delittuoso, al fine di renderne la perseguibilità maggiormente efficace e più aderente alla concreta manifestazione dei comportamenti. La scelta è stata suggerita dal dilagare dell’attività illecita, connessa anche all’accentuazione dei movimenti migratori e al crescente interesse della criminalità organizzata.

Premessa

Per inquadrare oggi il fenomeno del caporalato, che viene da lontano e trova radici nella particolarità del lavoro agricolo, svolto secondo punte stagionali e in maniera dispersiva nelle campagne, occorre tener presente che trattasi di una pratica realizzata in modo organizzato, ad opera spesso di soggetti malavitosi. La diffusione tocca, con punte differenziate, tutte le Regioni italiane, privilegiando soprattutto i settori dell’agricoltura e dell’edilizia. L’organizzazione di tipo capillare conta talvolta su una serie di figure, che vanno dal cosiddetto caponero, preposto alle “squadre” e al trasporto di lavoratori, al “caporale amministratore delegato”,  quale interlocutore dell’imprenditore, destinatario delle prestazioni. Altro aspetto non trascurabile è, in determinate circostanze, l’apparente legalità del fenomeno, allorchè l’attività viene esercitata sotto la forma di agenzia di somministrazione o di mediazione autorizzata, ovvero di società cooperativa, fornitrice di servizi.

Occorre ancora sottolineare come l’esigenza dei nuovi strumenti e modalità di contrasto al caporalato, sotto le sue multiformi manifestazioni, sia indotta da un vero e proprio sfruttamento, accompagnato da atti di violenza di tipo morale e da ricatto. Non sono, inoltre, di poco conto anche i dati quantitativi del fenomeno, secondo il terzo rapporto Agromafie e caporalato del maggio 2016, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil: nella filiera agroalimentare le infiltrazioni mafiose realizzano una economia sommersa quantificabile da 14 a 17,5 miliardi di euro; sempre nel 2015 i lavoratori irregolari nell’agricoltura sono stati pari ad una cifra tra 400.000 e 430.000, mentre ben ottanta sono state le località in tutta Italia, che hanno fatto registrare una conclamata pratica di caporalato.

I contenuti della legge 29/10/2016 n. 199

E’ la fonte dei nuovi strumenti di contrasto al caporalato (G.U. 3 novembre 2016 n. 257), entrata in vigore il 4 novembre 2016, recante, in particolare, ”Disposizioni in materia di contrasto  ai fenomeni dl lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”.

Trattasi di un intervento legislativo articolato in una serie di misure anche a sostegno dell’agricoltura, ma incentrato soprattutto sull’inasprimento delle pene e sull’estensione delle responsabilità.

Il contenuto normativo appare fortemente dissuasivo, ai fini della commissione degli specifici reati; manca, tuttavia, l’accompagnamento di una opportuna, parallela azione di vigilanza, rimessa – è da ritenere – alla fase amministrativa, con la determinazione delle particolari modalità del caso.

Di rilievo le specifiche novità introdotte:

A-Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, già parte del codice penale con l’art. 603-bis, grazie all’art. 12 della legge n.148/2011 di conversione del D.L. n. 138/2011, ora risulta così riformulato:

      – per la configurazione delittuosa non sono più richieste, ai fini dello sfruttamento, la violenza o la minaccia, né la forma organizzata dell’intermediario;

      – la violenza o la minaccia costituisce forma aggravata del reato;

      – nel primo caso, che rende ora più agevole l’accertamento della violazione, la sanzione è rimasta invariata: reclusione da uno a sei anni e multa da 500 a 1000 euro per ciascun lavoratore reclutato;

      – nel secondo caso, grazie all’aggravante, la pena va da cinque a otto anni di reclusione e la multa da 1000 a 2000 euro per ciascun lavoratore reclutato;

      – sono state confermate le aggravanti specifiche del citato art. 12, che comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà;

       – è stata estesa la responsabilità penale al datore di lavoro, che utilizza, assume o impiega manodopera, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, indipendentemente dall’attività di intermediazione;

       – è sempre obbligatoria la confisca, in caso di condanna o applicazione delle pene con patteggiamento, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne rappresentano il prezzo, il prodotto o il profitto. Altro segnale, significativo dell’attenzione dello Stato in tema di sfruttamento, è costituito dalla destinazione dei proventi delle confische al Fondo antitratta, così chiamato in causa anche per le vittime del caporalato (art. 12 della legge n. 228/2003);

      – sulla stessa linea di rigore, è da collocare l’arresto obbligatorio in flagranza di reato, per tutti i soggetti responsabili;

      – al contrario, costituisce circostanza attenuante, con diminuzione della pena da un terzo a due terzi, il comportamento collaborativo riferito anche alla raccolta delle prove;

      – viene estesa la responsabilità amministrativa a carico degli enti, persone giuridiche, cui appartengono gli autori delle violazioni penali, ai sensi del D.lgs. n. 231/2001; la penalità consiste nella rilevante sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote (valore di una quota da 258 a 1.549 euro);

     – altro provvedimento significativo è quello del controllo giudiziario dell’azienda, con la rimozione delle condizioni di sfruttamento, disposta dal giudice in luogo del sequestro, qualora ritenga che la libera  disponibilità dell’azienda possa aggravare o protrarre le conseguenze  dell’attività delittuosa ovvero consentire altri reati o qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali ovvero sul valore economico dell’azienda. La legge detta in dettaglio le modalità attuative del controllo giudiziario di cui trattasi.

Opportunamente vengono confermati gli indici di sfruttamento, vale a dire in buona sostanza i principi di legalità, ai fini della configurazione delle specifiche ipotesi delittuose, allorchè  ne ricorra almeno uno: variano dalla reiterata corresponsione della retribuzione palesemente difforme dai contratti collettivi ovvero non adeguata rispetto alla quantità  e qualità delle prestazioni, alla reiterata violazione delle tutele lavoristiche(tra cui quelle sulla sicurezza e igiene dei posti di lavoro), alla sottoposizione a condizioni di lavoro, di sorveglianza e alloggiative degradanti.

B-il provvedimento di contrasto, mediante i rigorosi strumenti sopra richiamati, si completa con:

     – talune disposizioni di supporto a favore dei lavoratori stagionali impiegati nella raccolta dei prodotti agricoli;è previsto un apposito piano di interventi, a cura del Ministero del lavoro e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché del Ministero dell’interno, piano ambizioso, esteso anche alla sistemazione logistica e alla collaborazione con la Rete del lavoro agricolo di qualità(legge n. 116/2014 di conversione del D.L.n.91/2014, rivisitata all’art.6 dall’art. 8 della nuova legge sul caporalato).L’attuale intervento legislativo mira a rafforzare tale Rete, con compiti sostanzialmente di prevenzione, consistenti, tra l’altro, nel promuovere modalità sperimentali di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro nel settore agricolo, collaborando  con l’Agenzia nazionale del lavoro e la Rete nazionale dei servizi per le politiche attive del lavoro(D.Lgs. n.150/2015).

        – il graduale riallineamento retributivo nel settore agricolo; l’operazione può essere perseguita anche mediante gli accordi aziendali, cui gli accordi provinciali demandano la definizione dei relativi piani di gradualità.        

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