Una breve ma spero dignitosa, quant’anche umile, riflessione che ho inteso fare sul recente ultimo lavoro di Carlo Borgomeo “L’equivoco del Sud”, sia per l’autorevolezza dell’Autore, oggi impegnato quale Presidente della Fondazione Sud, ma principalmente per il suo “ cursus honorum” che lo ha visto spendersi lungo un percorso di vita variegato, ma sempre ripiegato sulla questione lavoro; una questione che sicuramente può essere esemplificata anche quale “questione meridionale”.
Al Sud, infatti, fino dall’Unità d’Italia si è dovuto assistere ad un inesorabile depauperamento delle risorse, in particolare quelle umane, tanto da far dire che l’alternativa era: “Essere Emigrante oppure Brigante”; Mezzogiorno, quindi, quale “sacca disfunzionale” delle aree industriali del Nord d’Italia e di Europa e, prima ancora, delle Americhe.
Lo stesso Intervento Straordinario, così tanto richiamato e vituperato è stato, esso stesso, il primo grosso equivoco in quanto, di fatto, non è risultato aggiuntivo ma, quasi sempre, sostitutivo degli interventi ordinari,come ci ricorda l’Autore, riferendosi a quel 40% di risorse in più destinate al Sud.
Ciò nondimeno, come richiama Borgomeo, riferendosi alla immagine descritta eloquentemente da De Rita, nel tempo questo Sud d’Italia ha avuto uno sviluppo a “macchia di leopardo”, ma a scapito di settori produttivi quali quello primario, con territori lasciati all’incuria e all’abbandono, trasformatisi spesso in detrattori ambientali. Uno sviluppo non omogeneo ed uniforme, principalmente unidirezionale e segnatamente di tipo industriale, calandolo dall’alto e con l’aggravante di mantenere il”cervello”delle aziende al Nord, così che al “primo stormir di fronda” quelle localizzate al Sud entravano in crisi; come è facilmente verificabile con l’insuccesso del “sogno industriale” conseguente al terremoto del 1980, le cui aree industriali volute dalla legge 219 sono diventate, nel giro di circa trent’anni, un cimitero popolato da vecchi ed inutilizzati capannoni, ormai quasi fatiscenti. Ovviamente, ha ragione Borgomeo quando si interroga sulle responsabilità della classe politica inadeguata, sull’insieme della classe dirigente impreparata, ma anche sul cittadino meridionale culturalmente più propenso all’assistenzialismo; problemi tuttora insoluti e che imporrebbero, come sollecita Borgomeo, una riflessione a “tutto tondo”, indirizzata a ridefinire le regole, ad elevare la qualità delle relazioni sociali, a valorizzare il materiale umano.
E se, come amava ripetere un intellettuale americano, “gli uomini spontaneamente non producono beni collettivi”, bisognerà ripensare ai cosiddetti “segmenti intermedi” della società affinché sappiano e vogliano adeguarsi ai mutamenti intervenuti nel contesto della comunità; infatti, il libro ci interpella in quanto Associazioni Civiche, richiamandoci al Bene Comune, da cui non può e non deve essere escluso nessuno, superando la tanto ed inutile retorica che viene fatta sulle nuove generazioni che, di fatto, sono tuttora impreparate culturalmente ad osare; a fare impresa,come s’usa dire. Né sono serviti tentativi quali i cosiddetti Patti Territoriali, in quanto la logica che si è sempre inseguita è stata quella della “mano tesa”, anche in ragione della ricerca del consenso politico.
Uno spaccato significativo l’Autore lo dedica – come esempio dell’incultura e della sufficienza, circa un uso intelligente e produttivo delle risorse – a quelle presenti in Basilicata, principalmente alle royalties per l’estrazioni petrolifere. Mette in evidenza che, all’ incapacità si somma la riluttanza delle classi dirigenti, fino a lasciar intravedereuna sorta di volontà precisa a voler mantenere lo “statu quo”, meglio gestibile e più tranquillizzabile.
Un richiamo che mi è molto piaciuto è il riferimento che l’Autore fa alla qualità della dirigenza impegnata nel terzo settore, con cui è venuto in contatto con l’attuale esperienza che va conducendo, tanto da auspicare, loro tramite, un contributo serio alle scelte innovative di cui ha bisogno il Paese, specie in questa difficile stagione di crisi, e fino a prefigurare l’auspicato ringiovanimento della Politica, da cui oggi in tanti hanno preso le distanze.
Una sana ed istruttiva lettura che merita un approfondimento ulteriore; una sorta di vivisezionamento ed una guida con cui confrontarsi sui diversi e complessi temi trattati. In estrema e limitatissima sintesi, il libro di Borgomeo ha voluto riferirsi particolarmente alle strategie sbagliate con cui si è tentato di rilanciare il Mezzogiorno, specie cercando di frenare l’emoraggia migratoria, attraverso inutili interventi statali, con ciò limitando il naturale evolversi dell’impresa privata, imponendo “per decreto” un’ occupazione rivelatasi effimera, in quanto non supportata da un’ adeguata infrastrutturazione materiale ed immateriale, ivi compreso il freno alla cultura di impresa.
Con il suo lavoro, Borgomeo richiama , in modo totalmente condivisibile, l’esigenza di riuscire ad ottenere per il Mezzogiorno ( Porta di ingresso dell’Europa sul Mediterraneo) qualità di vita accettabile, sia con riferimento ai livelli di reddito medio pro-capite, ma anche rispetto al godimento dei diritti civili, troppo spesso conculcati, come per la presenza della mala vita organizzata e fino alla qualità dell’assistenza sanitaria.
Una metafora che è particolarmente apprezzabile e veritiera , su cui Borgomeo insiste , è rappresentata dall’asticella che spesso i meridionali rinunciano a saltare, appagati dalla pratica invalsa della dipendenza e dell’assistenzialismo elevati a sistema, laddove viene ad essere finanche snaturato il rapporto fra Rappresentante e Rappresentato, riducendolo a mera “ delega esasperata “, tanto da aver creato il culto del “posto fisso”, con conseguente allargamento anomalo del personale impegnato nella Pubblica Amministrazione, in ragione del quale si è dovuto far ricorso ad un ulteriore e dannoso aggravio della burocrazia.
(*) già Segretario Generale USR CISL della Basilicata