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Senza una crescita adeguata l’Italia non ha futuro

Mentre è in corso il dibattito parlamentare ingannevole sulla prossima legge finanziaria, l’Italia vede ridimensionate, da parte dell’Ue, le sue previsioni di crescita per il corrente anno, ridotte ad un modesto 0,4% rispetto al precedente 0,7%. Una situazione preoccupante che prelude ad un futuro quanto mai difficile. La manovra per il 2026 infatti non affronta il problema della crescita e compie una scelta di sopravvivenza assumendo come obiettivo strategico dell’operazione l’avere i conti in ordine, in modo da ricevere l’ok dalle agenzie di rating, considerato come certificazione di un’economia regolata.  

In realtà, si profila una finanziaria di austerità, del valore di 18,7 miliardi di debito, risultanti dalla sommatoria di interventi di aumento delle entrate e da modesti investimenti ripartiti in una pluralità di direzioni. Circa il primo aspetto gli interventi più rilevanti riguardato un’imposta sugli utili delle banche, una riduzione dell’aliquota Irpef risultata più favorevole per i redditi medio-alti,  e un condono connesso anche alle elezioni regionali in Campania, mentre tra la pluralità degli interventi di spesa, vanno segnalati un adeguamento del fondo sanitario nazionale, una serie di bonus e mancette relativi in particolare alla famiglia, e alla casa, e la rimodulazione della spesa del Pnrr. 

Va comunque tenuto presente che, fermi restando i saldi di finanza pubblica, il governo ha aperto la stura alle modifiche, al punto che sono stati presentati ben 5.742 emendamenti, dei quali un terzo da parte della maggioranza e i rimanenti dall’opposizione.  A parte le possibili modifiche dell’ultima ora, la struttura della manovra risulta definita e del tutto sfasata rispetto alle esigenze di crescita. Quest’ultima rappresenta invece una esigenza vitale nel nostro Paese, assolutamente decisiva per i suoi destini futuri. Sempre secondo le previsioni Ue nel triennio 2025-27 l’Italia cresce complessivamente del 2% collocandosi all’ultimo posto nell’Ue.   Tenendo presente che il rapporto debito-Pil è pari a 137 e si prevede che crescerà ancora, e anche se il controllo dei conti ha consentito di ridurre il rapporto deficit-Pil ormai sotto al 3% facendo uscire l’Italia dalla procedura Ue di infrazione per deficit eccessivo, con questa crescita il nostro Paese è condannato al declino. 

I suoi mali strutturali come la bassa dimensione delle imprese con la produttività ferma da trent’anni, i ritardi tecnologici, di istruzione, e della pubblica amministrazione, gli squilibri del mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione con crescenti disuguaglianze di reddito e di condizione sociale tra i cittadini e tra Nord e Sud, richiedono livelli di crescita tali da consentire una progressiva riduzione del debito pubblico e un volume di investimenti per ridurre i suddetti mali. L’occasione della disponibilità eccezionale dei 200 miliardi del Pnrr, che avrebbero consentito di realizzare uno specifico programma di crescita per affrontare almeno una parte dei problemi strutturali, si è ridotta ad una distribuzione di risorse per far fronte in prevalenza a problemi contingenti, con ritardi di esecuzione oltre la validità del piano. 

Per la crescita, il punto di riferimento è la Spagna che quest’anno crescerà del 2,6% avendo un debito pubblico dell’80% del Pil e attuando un piano di investimenti nei settori del digitale e dell’energia, nella riforma del mercato del lavoro e nella gestione positiva dei flussi di immigrati. Per noi la premessa di un nuovo percorso di crescita credo debba essere preceduta da un rigoroso taglio delle sacche improduttive della spesa pubblica per influire sulla dinamica del debito, e liberando risorse per la crescita. 

in secondo luogo diventa essenziale una riforma fiscale effettivamente progressiva fondata sulla reale uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e su una vera e dura lotta all’evasione fiscale, senza le ricadute dei condoni e dintorni. Gli interventi prioritari sull’innovazione tecnologica, sulla politica industriale, sulla quantità e qualità del lavoro, su salari, pensioni e welfare dovrebbero essere ispirati ad una visione strategica relativa agli effetti derivanti dall’invecchiamento della popolazione che mette radicalmente in discussione gli equilibri del passato e richiede scelte inusuali e coraggiose.  

Il tutto con una collocazione convinta e responsabile nell’Unione Europea, nel solco della nostra Costituzione, senza le attuali ambiguità e contraddizioni. In quest’ambito sarà essenziale anche un ruolo attivo delle parti sociali ed in particolare del sindacato chiamato al doveroso aggiornamento delle relazioni industriali, nella contrattazione collettiva e nella concertazione sociale, uscendo dall’attuale marginalità, anche se accompagnata da qualche sciopero generale, per rendere più ricca ed efficace la democrazia italiana. 

Ma il compito più rilevante spetta alla politica ed in particolare a chi governa. Per riportare il Paese su un terreno di crescita autentica è necessaria una strategia rigorosa che dovrebbe tradursi in una svolta tanto profonda quanto difficile rispetto all’attuale tran-tran per sopravvivere alle prossime elezioni. Con la disponibilità a pagare l’eventuale prezzo che tale scelta potrebbe richiedere. Credo che solo in questo modo sia possibile ricostruire un rapporto di fiducia tra politica e cittadini oggi, in grave crisi come dimostra il livello di astensione dal voto. Ma, in vista delle prossime elezioni politiche del 2027, chi saprà interpretare questo ruolo indispensabile al futuro del Paese?

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