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È nella Costituzione il primo no alla flat tax*

La crisi politica italiana è caratterizzata dalla sottovalutazione dei principi costituzionali come è dimostrato dalla vicenda del referendum costituzionale, per fortuna sconfitto dagli italiani. La politica italiana è caratterizzata dall’assenza di orientamenti in nome di una presunta priorità del profilo tecnico delle vicende.

Si affrontano i problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti organici. Così è avvenuto per la flat tax. Siamo d’accordo tutti sulla crisi del fisco.

Piaccia o no, la flat tax è trasparente

Ora, il dovere fiscale è compreso (secondo dottrina e giurisprudenza costituzionale) fra i doveri costituzionali: l’adempimento dei doveri inderogabili è stata definita (Mortati) come una norma chiave in quanto con essa si è voluto affermare che «non l’uomo in funzione dello Stato ma quest’ultimo in funzione dell’uomo». Tale principio è ignorato dal governo e dalle tesi dell’opposizione. È praticamente svuotato da alcune tassazioni sostitutive, che vanificano la tassazione progressiva, il quadro legislativo improvvisato e fatto a vista d’occhio. Il governo è assente. L’aspetto più grave della crisi sta nel disorientamento del governo, nell’assenza di un’amministrazione preparata, dagli sconfinamenti dell’agenzia delle entrate che praticamente fa tutto: l’agenzia è diventata il vero e unico dominus del fisco. La proposta della flat tax non ha altra giustificazione al di fuori della critica del sistema fiscale sulla quale siamo tutti d’accordo. La bontà della sua proposta starebbe nel suo profilo tecnico non nelle premesse politiche e costituzionali. Non si risolverebbe il problema delle crisi anzi l’aggraverebbe. Sicchè c’è da chiedersi perche sia stata fatta. Mi spiace dirlo ma la proposta della flat tax persegue un obbiettivo politico attraverso la discutibile strada tecnica.

 

Flat tax, aliquota al 20% sull’Irpef tagliando le agevolazioni fiscali

L’obbiettivo sembra non la giustizia fiscale ma vuole essere l’eliminazione dello stato sociale voluto dall’art.2 della Costituzione. Difatti la proposta non tiene conto della sua pratica inesistenza se non in quei Paesi come il Caucaso dove, come ci ricorda acutamente Giulio Tremonti, la gente va in ospedale portandosi dietro coperte e medicinali. Si tratterebbe di un passo indietro rispetto ai Paesi europei dove la progressività è codificata in Italia e in Spagna e accolta negli altri Paesi europei come specificazione della parità di trattamento in senso sostanziale, come parità di sacrificio. Secondo l’art. 2 della Costituzione «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Il dovere di concorrere alle spese pubbliche (secondo dottrina e giurisprudenza costituzionale) è un dovere di solidarietà politica economica e sociale che richiede il criterio della progressività. Dai sociologi ci viene fatto rilevare che l’attuale momento politico è caratterizzato da un forte individualismo (cui si ispira la flat tax) sicchè sembra lontana quella “nuova stagione dei doveri” senza la quale, diceva Aldo Moro, questo Paese non si salverà. 

Difatti la solidarietà di cui parla l’art. 2 della Costituzione è proprio quella unità morale e politica del Paese senza la quale è difficile che una democrazia possa sopravvivere. Si afferma un nuovo modo di intendere la libertà dei singoli: le situazioni derivanti dai diritti di libertà trovano una naturale limitazione nei doveri pubblici ad essi collegati. Il concorso alle spese pubbliche deve essere commisurato alla capacità contributiva. L’utilizzazione dell’imposta a fini economici e sociali redistributivi in particolare realizza il principio della capacità contributiva.

L’art. 53 sembra dare una precisa indicazione programmatica quando al secondo comma prescrive «che il sistema tributario è improntato a criteri di progressività» ed è evidente che un tale sistema, non potendo tutte le imposte essere progressive in quanto la progressività tecnicamente si addice solo ad alcune di esse, dovrebbe fondarsi principalmente su quelle imposte che per loro natura si prestano ad un meccanismo di aliquote progressive. La Costituzione, diceva Vanoni, deve qualificare la potestà tributaria più in senso politico che rigorosamente tecnico e giuridico. La posta in gioco, pertanto, è elevatissima. Se il quadro costituzionale e la politica sono quelli descritti, toccare l’art. 2 della Costituzione vuol dire mettere in discussione lo Stato democratico.

Non si può pensare ad una flat tax con la situazione che ci ritroviamo. L’inadeguatezza della proposta è dimostrata dalla valutazione delle aliquote che l’imposta dovrebbe avere (35% – 40% ) se volesse mantenere i conti in ordine; due aliquote fortemente punitive per i piccoli reddituari. La proposta pertanto è inutile, fatta solo ad ostentationem! A meno che i proponenti perseguano un obbiettivo molto più modesto: concorrere alla campagna elettorale per orientare l’elettorato in una certa direzione. E si capisce di quale elettorato si tratta; allora servirebbe ancor di più a complicare le cose politiche in Italia. Resta il problema dell’ attuale tassazione progressiva e dell’intero sistema fiscale, soprattutto per quanto concerne la sopportabilità. Ma questo è un altro discorso e siamo d’accordo con le critiche di Nicola Rossi.

*Da 24 Ore 16/07/2017

** professore esperto di diritto tributario all’Università Cattolica di Milano

 

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