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Clima, quattro ostacoli verso «emissioni zero» nel 2050

L’agenda climatica globale è più chiara che mai. Oggi sappiamo – come certifica lo United Nations Environment Program nel suo Emissions Gas Report del 2018 – che la temperatura della Terra è destinata ad aumentare di circa 3°C entro il 2100, cioè il doppio del limite di 1,5°C di riscaldamento sancito dall’Accordo di Parigi. Sappiamo che i danni indotti dal cambiamento climatico si moltiplicano a vista d’occhio.

Sappiamo che per restare al di sotto della soglia di 1,5°C di riscaldamento, occorre azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050, e poi mantenere un saldo negativo. E sappiamo che l’obiettivo zero emissioni entro il 2050 è fattibile e abbordabile. Non resta che passare all’azione.

Le cattive notizie e quelle buone 

Il bilancio globale 2018 dei disastri legati al clima è di oltre 200 miliardi di dollari: solo gli Usa hanno perso in media 100 miliardi di dollari all’anno nel periodo 2014-2018. A causa del cambiamento climatico i costi assicurativi sono destinati ad aumentare. Gli ultimi studi sul clima prospettano scenari ben peggiori, se non saremo in grado di rispettare il limite di 1,5°C di riscaldamento concordato dalle nazioni aderenti all’Accordo di Parigi del 2015. A tal fine occorrono due cambiamenti principali: un sistema energetico globale basato su fonti zero-carbon e un sistema agricolo globale improntato a uno sfruttamento sostenibile di risorse idriche e suolo.

Vi sono segnali di un’accelerazione del riscaldamento globale, o addirittura di un cambiamento climatico fuori controllo. Nell’ultimo mezzo secolo o giù di lì, la temperatura terrestre è aumentata di circa 0,2°C per decennio. A partire dal 2013, tuttavia, il tasso di riscaldamento è stato superiore a 0,3°C per decennio. Le reazioni naturali amplificano gli effetti antropici sul clima. Di recente si è registrato un preoccupante aumento delle concentrazioni di metano nell’atmosfera, e una delle possibili cause è il rilascio naturale di metano dalle sempre più calde paludi tropicali. Le proiezioni indicano che il pericoloso fenomeno del rilascio di metano potrebbe notevolmente aggravare il riscaldamento antropico nel corso di questo secolo.

La buona notizia è che disponiamo delle tecnologie necessarie per vincere la sfida. Nuovi studi dimostrano che di qui al 2050 eolico, solare, idroelettrico e altre fonti di energia zero-carbon potranno interamente sostituire il carbone, il petrolio e il gas naturale (metano).  Già oggi in molti Paesi del mondo il costo del fotovoltaico solare è paragonabile o addirittura inferiore a quello dei combustibili fossili. Inoltre, le tecnologie più avanzate per l’immagazzinamento di energie rinnovabili variabili consentono una transizione sicura, flessibile ed economica all’elettricità green.

C’è da aggiungere che grazie ai rapidi progressi e all’abbattimento dei costi dei veicoli a batteria elettrica, le automobili del futuro saranno alimentate a elettricità green anziché a petrolio. Nel caso di sistemi di trasporto che non si prestano all’alimentazione a batterie, come shipping oceanico e aviazione a lungo raggio, l’elettricità green può essere usata per produrre combustibili puliti, come l’idrogeno (per le fuel cell), e combustibili sintetici liquidi e gassosi. Anche gli edifici possono essere riscaldati a elettricità (con le pompe di calore) anziché a gasolio. E lo stesso vale per processi industriali come la produzione di cemento e acciaio, sempre più orientati verso le tecnologie a zero emissioni.

L’adozione di un nuovo modello di sfruttamento del suolo completa il quadro. Un recente studio avverte che se non si cambia rotta, circa un milione di specie è destinato all’estinzione. Parte del problema risiede nel cambiamento climatico stesso. Ma il resto dipende da un’agricoltura insostenibile che porta alla deforestazione, all’abbandono delle terre e a emissioni su vasta scala di Co2 e metano a effetto serra. Fortunatamente, la gestione sostenibile delle foreste e il recupero delle terre abbandonate possono essere più redditizi del dispendioso sistema attuale.

I Paesi e le città impegnati a raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il 2050 sono in continuo aumento. Anche lo Stato di New York, dove vivo, ha approvato una legge che prevede l’azzeramento delle emissioni energetiche entro il 2040, e un quasi azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, mediante la sostituzione delle centrali a gas con impianti a energia solare, eolica e idroelettrica, e l’elettrificazione di edifici e trasporti. La California, che è il più grande Stato americano e rappresenta da sola la quinta economia mondiale, mira ad azzerare le emissioni energetiche entro il 2045. Il governo del Regno Unito si è impegnato a legiferare per l’azzeramento delle emissioni entro il 2050, e la Ue valuta un provvedimento analogo, nonostante l’opposizione di vari Stati membri produttori di carbone. Vari altri Paesi hanno annunciato politiche specifiche entro il 2050 o prima, con interventi concordati o in via di definizione. L’elenco comprende, tra gli altri, Cile, Costa Rica, Danimarca, Finlandia, Islanda, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svezia.

Gli ostacoli all’azione globale 

Cos’è dunque a frenare un’azione globale? A dire il vero, ben poco sul piano tecnologico ed economico. Vi sono ancora quattro ostacoli da rimuovere perché il mondo possa imboccare la via della sicurezza climatica, ma nessuno di essi è insormontabile.

Il primo è la mancanza di progetti veramente audaci. Fino a poco tempo fa, la maggior parte dei governi credeva di potersi permettere il lusso di aspettare. Oggi sappiamo che non è così. Ogni Paese deve chiamare all’appello i suoi migliori scienziati e ingegneri per disegnare la rotta verso l’azzeramento delle emissioni entro il 2050. Gli esperti delle Nazioni Unite sono pronti a fornire assistenza.

Il secondo ostacolo è la resistenza degli interessi costituiti. Le industrie dei combustibili fossili hanno a lungo tentato di negare il cambiamento climatico o ritardare l’azione di contrasto al fenomeno. Oggi, però, le principali aziende del settore hanno preso posizioni chiare: siamo in condizioni di emergenza. Bp, Shell, la norvegese Equinor (già Statoil), Total, Eni e altri ancora stanno effettivamente premendo con forza per un’azione più rapida e orientando il proprio mix energetico verso le rinnovabili.

Il terzo ostacolo è la politica dei Paesi produttori di combustibili fossili. La stragrande maggioranza dei governi del mondo è a favore della decarbonizzazione. La sacca di resistenza si concentra in una manciata di Paesi: Usa, Russia, Australia, Canada, Arabia Saudita e pochi altri grandi produttori fossili. Realtà nelle quali l’industria dei combustibili tradizionali manovra gran parte della politica climatica con un’incessante attività di lobbying, contributi elettorali, attacchi mediatici contro gli attivisti del clima, e così via. Non è un caso che Trump abbia deciso di recedere dall’Accordo di Parigi. Il partito repubblicano è lautamente finanziato da Big Coal e Big Oil. È interessante notare, tuttavia, che persino negli Usa la decarbonizzazione avanza rapidamente, a livello statale e locale, almeno nelle aree del Paese non vocate alla produzione di combustibili fossili.

 

Il quarto ostacolo è il nazionalismo. L’energia pulita richiede una cooperazione regionale per collegare la rete energetica ai mercati dell’elettricità su un’area più vasta dell’ambito nazionale. Se una certa zona è nuvolosa, un’altra sarà assolata; se alla latitudine x il vento è fermo, altrove soffierà forte. Estendendo la rete a più Paesi, magari fino a congiungere l’Europa all’Asia, i costi della transizione all’energia sicura e pulita scenderanno drasticamente.

 

(*)  Direttore dell’Earth Institute alla Columbia University

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