Nel 2019 l’economia italiana è rimasta con una crescita vicina a zero. Lo sviluppo resta bloccato per l’elevata incertezza di imprese e famiglie, che si è espressa rispettivamente con una forte riduzione delle scorte e un aumento della propensione al risparmio. La politica economica non sembra in grado di innalzare il clima di fiducia dei cittadini e delle aziende, portandoli a scommettere maggiormente per il futuro e sfuggire così alla crescita zero.
Lo scenario internazionale
Anche la congiuntura internazionale ha influito negativamente con un forte rallentamento del commercio mondiale per le tensioni sul fronte dei dazi e la conseguente caduta degli investimenti. Le guerre commerciali, quella attuata e quella minacciata, con i dazi imposti dagli USA e le contromisure attivate dai paesi coinvolti, hanno fortemente rallentato il commercio mondiale; le imprese, ai quattro angoli del globo, in misura diversa, ma in maniera sincrona, hanno smesso di investire e si sono messi alla finestra per capire quali saranno le regole del gioco e, dunque, le convenienze delle scelte localizzative e organizzative. L’incertezza sulle politiche commerciali dei prossimi anni ha reso più prudenti le imprese che operano su scala globale e, retroattivamente, influito su settori e paesi produttori di beni di investimento. L’economia europea ne è stata coinvolta e in particolare la Germania, che affronta un importante salto tecnologico nella decisiva industria automobilistica, in rapida ritirata dal diesel verso i motori elettrici e ibridi. E la Germania risulta un partner e un cliente decisivo per il nostro paese. Come ricorda il Rapporto di Confindustria l’Italia è, infatti, il principale fornitore delle imprese tedesche di prodotti di componentistica per auto (il 22 per cento dell’export di parti e componenti è diretto in Germania). Il 13 per cento delle esportazioni italiane e il 18 per cento dell’import dipendono dal mercato tedesco. Oltre che per gli autoveicoli sono fortemente connessi i settori dei prodotti in metallo e delle materie plastiche. In undici regioni italiane (concentrate soprattutto al nord) le vendite in Germania valgono più del 20 per cento del valore aggiunto manifatturiero.
Già nel 2018 la prospettiva di politiche monetarie meno accomodanti aveva determinato la crisi di molte economie emergenti, che venivano a soffrire l’inversione dei flussi di capitale con processi di fuga che hanno caratterizzato diversi paesi (Argentina, Turchia, Venezuela, Brasile). In altri casi si determinavano svalutazioni consistenti rispetto al dollaro (India, Russia), che incidevano sui poteri di acquisto interni. Risultavano naturalmente più colpiti i paesi con maggiori squilibri macroeconomici ed elevati disavanzi di parte corrente. Il ritorno a politiche monetarie meno restrittive sulle due sponde dell’Atlantico ha nel 2019 un po’ calmato la situazione, ma la crescita, come in Brasile e in Russia, è rimasta su livelli modesti. L’incertezza sullo scenario globale è molto ben rappresentato dall’andamento del prezzo del petrolio che ha avuto negli ultimi mesi una continua oscillazione tra periodi di stop and go, a segnalare da un lato l’ampia disponibilità di un’offerta alternativa, dall’altro l’incidenza dei rischi geopolitici. E le difficoltà di tipo economico generano a loro volta rischi geopolitici; si può leggere in questo modo il colpo di mano della Turchia verso i territori curdi del nord della Siria; un tentativo di recuperare con un ruolo più forte nella regione la debolezza anche politica interna.
E poi l’inattesa e lancinante crisi cilena. Come ha notato Alberto Cuevas sulla sua pagina Facebook, in Cile il modello democratico post dittatura, che pure ha prodotto crescita e sviluppo, è esaurito, perché tende ad amplificare le disuguaglianze. Il modello sociale (scuola, sanità, previdenza) tutto incentrato sul settore privato lascia scoperte le esigenze delle fasce più deboli, mentre aumenta l’indebitamento privato e amplia la polarizzazione dei redditi tra ricchi e poveri. il problema è quello dell’instabilità, insita in società con forti divisioni interne, che richiedono elevati tassi di crescita per mantenere lo statu quo, e che in fase di rallentamento possono risentirne profondamente. E’ un po’ il rischio della Cina, dove l’attività economica ha rallentato ancora in primavera e, secondo gli indicatori più recenti, anche nei mesi estivi.
Dunque, molti rischi e incertezze attraversano lo scenario geopolitico, a cominciare dalla Brexit, dalle nuove tensioni in Medio Oriente, nei rapporti reciproci tra le grandi economie. L’attività economica dell’area Euro ha risentito fortemente delle tensioni globali. Il PIL è cresciuto dell’1,2% nel secondo trimestre 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in sensibile rallentamento rispetto alle dinamiche precedenti come rispetto al 2,8% dell’autunno 2017. La principale causa del rallentamento sta nella debolezza della spesa per consumi e delle esportazioni. L’idea che lo sviluppo europeo non può dipendere soltanto da forti avanzi commerciali è sempre più diffusa.
Le politiche europee
In effetti, per quanto le regole per la determinazione dei bilanci per il 2020 non sono destinate a cambiare, le politiche europee poste in campo da quella che sarà la nuova Commissione paiono evolvere verso un approccio un po’ più aperto allo sviluppo. Si afferma che il Patto di Stabilità non va stravolto, ma la sua applicazione deve essere semplificata e soprattutto deve servire alla strategia del Green New Deal. Si profila, dunque, lo scorporo degli investimenti verdi dal calcolo del deficit. Ci si rende conto che le regole del Patto di Stabilità sono troppo complicate, poco comprese dai cittadini, causa di diverse interpretazioni e conflitti tra paesi e anche, si può dire, disfunzionali rispetto all’obiettivo dello sviluppo e del benessere in Europa. Per questo ci si va orientando verso il monitoraggio della spesa pubblica e un circoscritto scorporo degli investimenti dal deficit, che al momento dovrebbe riguardare la spesa verde e le infrastrutture digitali in risposta al cambiamento climatico e alle sfide dell’economia dell’informazione. E’ confermato il ricorso alle regole della flessibilità in caso di rallentamento dell’economia. Si parla anche di un fondo per la crescita delle piccole e medie imprese. A marcare questo nuovo orientamento delle politiche dell’Unione, nella Riunione dei ministri finanziari dell’area euro vi è stata una forte sollecitazione verso i paesi che hanno ampi spazi di bilancio, soprattutto Germania e Olanda, ad utilizzarli con politiche più espansive volte ad investire di più. C’è necessità di rispondere al rallentamento dell’economia in favore della crescita. E’ un contesto più aperto all’utilizzo degli spazi di flessibilità consentiti dalle regole del Patto di Stabilità, di cui potrebbe beneficiare l’Italia, e non solo, nella fissazione degli obiettivi programmatici del deficit.
Lo scenario interno
Sull’economia italiana e in particolare sulla finanza pubblica influisce positivamente la forte caduta dei tassi di interesse pagati sul nostro debito pubblico, prodottasi dalla fine di agosto in coincidenza con il passaggio ad una nuova maggioranza, che ha abbandonato i rapporti muscolari con l’Unione Europea e le polemiche anti euro. La riduzione dello spread, mantenendosi e consolidandosi dentro uno scenario di politica monetaria tornata espansiva, costituisce un importante bonus per i prossimi anni, via via crescente.
Nel 2018 vi è stato un significativo rallentamento della crescita, con un tasso di variazione del PIL dello 0,8%, a fronte di un incremento dell’1,7% nel 2017. Le ultime revisioni dei conti nazionali hanno portato a modificare il profilo del PIL nel nostro paese nel 2019 che ora evidenzia un piccolo miglioramento congiunturale sia nel primo sia nel secondo trimestre (+0,1% in entrambi i periodi). L’andamento degli investimenti in impianti e macchinari è stato stazionario nel nuovo anno, mentre sono in ripresa dopo molto tempo le costruzioni.
Le nostre esportazioni nell’ultimo anno hanno risentito meno della debolezza internazionale rispetto a quelle tedesche, per una serie di fattori settoriali e geografici. Il Rapporto Confindustria mette in evidenza la migliore performance delle esportazioni nei beni di consumo per il minor peso dell’automotive e per la buona crescita di importanti comparti, come farmaceutica, alimentari, abbigliamento; le vendite italiane, inoltre, sono state più dinamiche nel mercato americano (come avvenuto negli ultimi anni), per la conquista di quote di mercato a danno dei prodotti cinesi colpiti dai dazi. Le prospettive e le attese delle imprese sono però ora per un indebolimento delle esportazioni, anche per effetto dei dazi americani sui prodotti europei.
Nel 2019 è stata invece assai debole la crescita dei consumi (+ 0,2% nel secondo trimestre 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018) a segnalare il mancato conseguimento dell’obiettivo principale della politica economica del primo governo della nuova legislatura; quota 100 e soprattutto reddito di cittadinanza erano stati pensati per una ripresa della domanda interna, che almeno fino ad ora non si è verificata. Si è verificata, dunque, la previsione, fatta l’ottobre dell’anno scorso, di un illustre economista come Olivier Blanchard che vedeva nella manovra italiana per il 2019 un caso di espansione fiscale restrittiva; gli impulsi espansivi contenuti nella Legge di Bilancio per il corrente anno, egli diceva, erano destinati ad essere annullati e rovesciati dall’aumento del costo del debito e dagli effetti negativi che questo avrebbe avuto sulle banche e sul credito a famiglie e imprese ( Si veda l’articolo di chi scrive su Newsletter Nuovi Lavori n.229 – Gennaio 2019). La conferma di ciò si è avuta nell’apporto pesantemente e costantemente negativo che hanno avuto negli ultimi mesi le variazioni delle scorte. Questo è un segno dell’incertezza, notevolmente accentuatasi nel corso dell’anno da parte degli operatori, che ha spinto molte imprese a liquidare scorte, piuttosto che dare luogo a nuova produzione. Negli ultimi quattro trimestri la variazione delle scorte ha contribuito ad una riduzione del PIL per l’1,4%.
Per l’Italia la recente Nota di Aggiornamento ha stimato una crescita del PIL per il 2019 allo 0,1% dopo un 2018 deludente con lo 0,8%. Nel 2020 secondo il Governo il PIL programmatico dovrebbe crescere dello 0,6%, in debole miglioramento rispetto allo 0,4 tendenziale che include il mantenimento della crescita delle aliquote IVA. Per quanto dentro le attese dei centri di previsione, questo ci dice che l’Italia non esce dallo stallo economico.
Il rallentamento dell’economia nel biennio 2018 – 2019 si è prontamente riflesso sugli indicatori del Barometro Cisl del benessere (per un’analisi dello strumento si veda l’articolo di chi scrive su Newsletter Nuovi Lavori n.187 – Gennaio 2017), che hanno mostrato una frenata nel percorso di miglioramento che aveva caratterizzato il biennio 2015-2016 e gran parte del 2017, pur con delle differenze negli andamenti delle diverse regioni. Le tendenze più recenti, relative alle variazioni intervenute tra il primo trimestre dell’anno in corso e lo stesso periodo del 2018, mostrano che su gran parte del territorio l’indicatore di benessere è rimasto sostanzialmente invariato o ha registrato delle contrazioni, che in alcune regioni sono risultate particolarmente intense. I domini più critici sono quello del Lavoro e della Coesione sociale. Per quanto il rallentamento produttivo più recente si sia avuto soprattutto al Nord, la situazione è preoccupante, in particolare per il Mezzogiorno, dove i livelli di benessere non hanno recuperato rispetto ai minimi raggiunti in seguito alla seconda fase recessiva (quella che si colloca tra il 2012 e il 2013).