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Il rogo della ragione

In un mondo raziocinante, l’incendio che divampa in Australia sarebbe un punto di svolta storico. Dopo tutto si tratta del tipo di catastrofe da cui i climatologi ci mettevano in guardia da tempo: è quello che sarebbe accaduto, se non avessimo iniziato a fare qualcosa per limitare le emissioni di gas serra. Infatti, uno studio commissionato dal governo australiano aveva pronosticato che il riscaldamento globale avrebbe fatto sì che la stagione degli incendi nel Paese iniziasse prima, durasse più a lungo e fosse più intensa a cominciare, più o meno, dal 2020.

Oltre a ciò — anche se dirlo può sembrare cinico — questo disastro è insolitamente fotogenico. Non è indispensabile studiare attentamente cartine geografiche e tabelle: questo orrore è narrato da pareti di fuoco e da profughi terrorizzati che si accalcano sulle spiagge.

Eccoci al dunque: siamo arrivati al momento in cui i governi dovrebbero iniziare una buona volta a sforzarsi per scongiurare la catastrofe climatica. Peccato che il mondo non sia raziocinante. Anzi, il governo anti-ambientalista australiano pare assolutamente indifferente mentre gli incubi peggiori degli ambientalisti si traducono in realtà. E i media anti-ambientalisti — in particolare l’impero di Murdoch — si sono lanciati nella disinformazione cercando di addossare la responsabilità ai piromani e ai “verdi” che impedirebbero ai vigili del fuoco di abbattere alcuni alberi.

Le reazioni politiche di questo tipo sono più spaventose delle fiamme stesse. Gli ottimisti hanno sempre contato, per risolvere il cambiamento del clima, su un ampio consenso a favore di misure per salvare il Pianeta. Il problema, si era soliti dire, era che non si passava all’azione perché era difficile catturare l’attenzione della popolazione: la faccenda era complessa mentre i danni troppo graduali e perlopiù invisibili. Inoltre, i veri pericoli si sarebbero presentati più avanti, in un futuro lontano non meglio definito. Di sicuro, però, una volta che un numero sufficiente di persone fosse diventato pienamente consapevole dei pericoli, una volta diventata sufficiente e preponderante la prova del riscaldamento globale, agire a favore del clima avrebbe smesso di essere una questione di parte. In altre parole, la crisi del clima alla fine sarebbe diventata l’equivalente morale di una guerra: un’emergenza tale da trascendere le divisioni della politica. Se, però, un Paese in preda alle fiamme non basta a dar vita a un consenso allargato che induca a passare all’azione — e non riesce nemmeno a indurre una certa moderazione nella posizione degli anti-ambientalisti — che cosa lo farà mai? L’esperienza dell’Australia lascia intendere che il negazionismo del cambiamento del clima continuerà, costi quel che costi.

E quindi continueranno le devastanti ondate di calore e le catastrofiche tempeste. Potreste provare la tentazione di liquidare quello australiano come un caso speciale, un’eccezione. Ma la stessa contrapposizione affligge anche gli Stati Uniti. Negli anni Novanta, democratici e repubblicani avevano più o meno le stesse probabilità di affermare che gli effetti del riscaldamento globale erano già visibili. Da allora le opinioni di parte hanno preso le distanze: sempre più spesso i democratici hanno affermato di assistere al cambiamento del clima con i loro stessi occhi mentre sempre più spesso i repubblicani non hanno visto accadere al clima nulla di male. Questa dissonanza riflette una trasformazione nella natura dei partiti? Dopotutto, gli elettori con un alto livello di istruzione si stanno orientando verso i democratici, mentre gli elettori con un basso livello guardano sempre più ai repubblicani. Ma allora, è solo questione di quanto è ben informata e istruita la base di ogni partito? Probabilmente no. Ci sono prove sempre più indiscutibili secondo cui i conservatori con un alto livello di istruzione e ben informati sulla politica hanno maggiori probabilità di altri conservatori di dire cose che non sono vere, probabilmente perché è più verosimile che sappiano quello che le loro élite politiche vogliono che credano. I conservatori con una formazione scientifica e matematica superiore hanno maggiori probabilità di essere negazionisti del cambiamento del clima. Tuttavia, se si continua a negare il cambiamento del clima e a opporsi a interventi perfino durante una catastrofe, quale speranza esiste di scongiurare l’apocalisse? Siamo sinceri: le cose sembrano mettersi male.

In ogni caso, rinunciare non è un’opzione. Qual è la strada da seguire? La risposta è che la persuasione scientifica sta incorrendo in rendimenti in forte calo. Pochissime persone che negano ancora la realtà del cambiamento del clima o si oppongono se non altro all’idea che si debba fare qualcosa saranno spinte a farlo da ulteriori prove. Qualsiasi intervento che dovesse essere attuato lo sarebbe a fronte di una ostile opposizione dell’ala destra. Questo, a sua volta, implica che un intervento a favore del clima dovrà offrire vantaggi immediati a un gran numero di elettori. Quale potrebbe essere una strategia politica efficace?

Sto rileggendo un discorso del 2014 del politologo Rober Keohane che suggeriva che un modo per superare lo stallo politico sul clima potesse essere con “un’enfasi maggiore sui grandi progetti infrastrutturali che creano posti di lavoro”. In altri termini, un Green New Deal. Una strategia di questo tipo darebbe vita a un “grande complesso climatico industriale”. Una strategia di questo tipo potrebbe avere successo? Non lo so. Ma sembra la nostra unica possibilità.

 

© 2020, The New York Times Company ( traduzione di Anna Bissanti) ©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

*da Repubblica,

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