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Se il capitalismo mette in dubbio sé stesso*

“Il capitalismo tradizionale sta morendo, o quanto meno si sta trasformando in qualcosa di simile al comunismo”. “Stiamo attraversando un passaggio d’epoca. Il capitalismo che conosciamo muterà per sempre. Quando chiediamo a governi e politica di aiutarci durante la caduta, diamo loro il potere di creare ogni regola per la risalita”, Queste citazioni sulla sorte delle nostre società, dopo Covid-19, non stupiranno i lettori, avvezzi alla parlantina da talkshow e l’ intemperanza da social media. 

Che si tratti di guru corrucciati, come il filosofo tardo-leninista Slavoj Žižek, impegnato a scrivere un saggio dal titolo, pensate!, “Virus”,di un militante irriducibile del senatore socialista Usa Sanders, appena sconfitto alle primarie o magari dell’ex leader della sinistra laburista inglese Corbyn?

Nulla di tutto ciò, la prima è opera degli analisti deÎ gruppo finanziario australiano Macquarie Wealth, il maggiore nelle infrastrutture al mondo, 14 mila addetti, patrimonio di 495 miliardi di dollari australiani, 294,91 miliardi di euro. Il secondo giudizio apocalittico sul futuro del capitalismo è di Leon Cooperman, amministratore delegato Omega Advisers, portfolio di investimenti da 3 miliardi di dollari, 2,73 miliardi di euro. 

A perdere fiducia nel capitalismo insomma, davanti alla terza crisi in una generazione dopo 11 Settembre 2001 e crollo finanziario 2008, sembrano essere gli stessi capitalisti, e media, accademia, think tank già suonano campane a morto per globalizzazione, sviluppo, libero commercio. I critici del cosiddetto neoliberismo, dottrina economica che dal premier inglese Blair al presidente Usa Clinton ha guidato gli anni ruggenti dalla fine della Guerra Fredda, erano da tempo in marcia, anche

stra la Lega, populista i5 Stelle. Ma anche in Gran Bretagna, economisti come Simon Mair accusano Lady Thatcher e il presidente Reagan di aver abbandonato i cittadini «ai capricci del mercato ieri» e del virus oggi, indebolendo sanità pubblica e risorse di scuola e ricerca con privatizzazioni e tagli al welfare.

Mair, docente di Economia Ecologica all’Università del Surrey, non ha dubbi, basta col mercato, ritorni lo Stato, e le sue tesi echeggiano quelÍe del vicesegretario Pd, Andrea Orlando, in questi giomi: «Tocca a uno stato forte organizzare le risorse per le funzioni centrali di economia e società», il nuovo socialismo sarà «di base, cooperativo, con il soccorso attivo delle comunità».

Negli Stati Uniti 30 milioni di nuovi disoccupati, 14,7% record dal 1929, rischiano di perdere l’assistenza medica, gli operai di Tyson Food sono forzati per ordine del presidente Trump al lavoro nei mattatoi pur di non privare di hamburger i supermercati, macellando ogni settimana 150 mila bovini, 461 mila maiali e 45 milioni di polli, mentre i sindacati imprecano «difendiamo le bistecche, lasciamo ammalare i lavoratori», e il Congresso stanzia 2 mila miliardi di dollari per le industrie da salvare: naturale che l’epidemia faccia riesplodere i sentimenti contro il mercato libero che dieci anni fa scesero in piazza con Occupy Wall Street a New York e venti anni fa accesero le proteste no global di Seattle e Genova G8.

La scrittrice militante Naomi Klein, come le capita ciclicamente, conia uno slogan brillante in un’intervista al sito The Intercept: la pandemia «denuda le ingiustizie estreme e le disuguaglianze del nostro sistema economico e sociale», proponendo quindi assistenza medica all’europea, Green New Deal ecologico, tassa patrimoniale per ricchi e corporations. Lo studioso Paul Mason, sul sito della rete Al Jazeera, è persuaso che «esito della pandemia sarà il reddito di cittadinanza», caro al fondatore dei 5Stelle Beppe Grillo e già legge nel nostro Paese. Anche la più autorevole esponente del movimento di critica al neoliberismo, la professoressa dell’University College di Londra, Mariana Mazzucato, neo consigliera del premier Giuseppe Conte per la politica industriale, ritiene che il coronavirus chiami a un ruolo imponente dello Stato nella dura fase di ricostruzione, fino al possibile ingresso nel capitale delle aziende.

In un saggio redatto per il World Economic Forum, che interloquisce con i temi dibattuti su La Stampa da Alessandro De Nicola e Chiara Saraceno, Mazzucato assicura che Covid-19 esporrà le brutture della società capitalistica, rilanciando i diritti dei lavoratori e in un editoriale su The Guardian, propone il ritorno a investimenti pubblici nella ricerca, come il lavoro del Darpa, progetto del Pentagono Usa che gettò nel 1969, con Arpanet, le fondamenta di internet. 

Si possono discutere le tesi di Mazzucato (Darpa fondò sì con i fondi militari pubblici del Pentagono la rete, già a partire dalle ricerche del geniale Vannevar Bush nel 1945, ma poi libero mercato e venture capital di Silicon Valley la resero ubiqua) ma saranno di certo, nella prossima stagione, al centro dell’agone politico, sperando magari che mettano almeno fuori gioco quelle di un altro consulente deÍ governo Conte ll, Gunter Pauli, pronto a twittare che l’epidemia è causata dalla comunicazione 5G, come i disinformatori da strapazzo. Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, sostiene su Foreign Policy che Covid-19 ci rinchiuderà nei vecchi confini, lo studioso di Singapore Kishore Mahbubani che porterà Usa e Cina alla sfida finale, collaborare o battersi? 

Ma la tragedia virus induce un tono perentorio, finale, che da generazioni non soffiava: se dopo l’epidemia non vincessero le riforme sociali stataliste, secondo la Klein «potremmo tomare al regime del più forte», Mason teme «un mondo crudele e ingiusto», Eric Levitz, della rivista NewYork , giura: «Se il coronavirus ha offerto grandi speranze al socialismo democratico, offre altrettanto grandi timori che il futuro appartenga a un tribalismo barbarico», Su “1619”, il progetto del New York Times appena insignito del premio Pulitzer, il sociologo Matthew Desmond scrive che «il capitalismo Usa è una brutale economia, regno di ingiustizia e povertà…senza pari» perché fondato non sul liberismo illuminato alla Adam Smith, ma sulla violenta piantagione degli schiavisti, base originale «dell’ economia capitalista».

«Socialismo o Barbarie» era il motto coniato nel 1916 dalla rivoluzionaria Rosa Luxemburg, adottato poi nel 1948 dagli intellettuali francesi della rivista omonima «Socialisme ou Barbarie», sicuri che a quel bivio l’umanità fosse attesa. La Storia si è dimostrata assai più duttile e caparbia, con il capitalismo anche capace di liberare dalla miseria e il socialismo capace invece di radicarla. A un recente webinar del Consiglio Italia-Usa, Mohamed El Erian, Chief Economic Adviser di Allianz, ha concluso: «La crisi 2008 è stata come la prima Guerra Mondiale, vinta sul campo ma senza un piano economico giusto per la pace; il coronavirus deve essere come la II, dopo la vittoria occorre una governance politica razionale perché si riparta, in stile Piano Marshall», L’epidemia 2020 richiederà giusto questo a Stato e Mercato insieme, un pieno di idee, ideali ed energie. Gli aut-aut assoluti ci daranno, come in passato, fiammeggianti slogan da battaglia e, ahinoi, statistiche di crescita contro la povertà avvilenti. 

 

*La stampa 11/05/2020

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