La cosiddetta “fase 2” non poteva non richiamare una particolare attenzione, ai fini del contrasto epidemico, in considerazione dei numeri coinvolti, stimati in oltre 2 milioni di aziende, con l’impiego di circa 7 milioni di lavoratori.
Di qui, l’aggiornamento delle misure di tutela contenute nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14.03.2020, elaborato in attuazione del DPCM dell’11.03.2020, aggiornamento avvenuto mediante l’analogo strumento di integrazione del 24. 04.2020.
Trattasi di un documento, frutto della valutazione dell’incidenza dei rischi a cura dell’INAIL e dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il nuovo Protocollo rimodulato, rileva sotto vari profili, che vanno dai contenuti, basati soprattutto sul distanziamento e sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, all’efficacia giuridica dell’atto, finalizzata all’attuazione obbligatoria delle misure, nonché ai protocolli di sicurezza aziendale. È il caso di anticipare la determinazione di non poco conto, secondo la quale la mancata attuazione delle relative prescrizioni “determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.
PROTOCOLLO DEL 24 APRILE 2020
Quali le novità di contenuto, al di là della sospensione dell’attività e della conferma del precedente analogo documento del 14.03.2020?:
– Informazione: nel ribadire il Protocollo precedente, viene precisato come l’informazione debba essere adeguata in funzione delle mansioni e dei contesti lavorativi “con particolare riferimento al complesso delle misure adottate cui il personale deve attenersi in particolare sul corretto utilizzo dei DPI per contribuire a prevenire ogni possibile forma di diffusione del contagio”;
– Ingresso in azienda: al di là della rilevazione della temperatura corporea, ora per quei lavoratori già risultati positivi al Covid-19 viene richiesta la presentazione di un certificato medico di avvenuta negativizzazione. Inoltre, nel caso in cui l’Autorità disponga misure integrative specifiche (esempio: tamponi, test) per località più a rischio, il datore di lavoro deve fornire, per la relativa attuazione, la massima collaborazione;
– Modalità di accesso dei fornitori esterni:un riferimento in aggiunta è ai lavoratori terzi, quali manutentori addetti alla pulizia, alla vigilanza, agli appalti, stabilendo che, in caso di loro positività, il loro datore di lavoro è tenuto ad informare il committente ed entrambi dovranno collaborare con l’Autorità sanitaria, fornendo elementi utili all’individuazione di eventuali contatti stretti. Ancora, il committente dovrà informare l’impresa appaltatrice, il fornitore, il somministratore di manodopera circa i contenuti del proprio Protocollo aziendale di prevenzione ai fini della relativa osservanza anche da parte loro;
– Pulizie e sanificazione in azienda: nelle aree geografiche maggiormente esposte al rischio del contagio, nelle aziende in cui si siano registrati casi sospetti di Covid-19, oltre alla normale pulizia ai fini della riapertura, è indispensabile una sanificazione straordinaria (postazioni di lavoro, aree comuni e ambiente in generale), secondo la circolare n. 544312020;
– Precauzioni igieniche personali: la” prescrizione” attiene alla messa a disposizione dei detergenti per le mani in maniera tale che siano accessibili a tutti i lavoratori con specifici dispenser collocati in punti facilmente individuabili;
– Dispositivi di protezione individuale: rimane fermo, secondo il punto 6 del Protocollo del 24.04.2020 che “qualora il datore di lavoro imponga d lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine conformi alle disposizioni delle Autorità scientifiche e sanitarie.
Precisazione importante, sempre in tema di DPI: nel determinare il Protocollo aziendale interno, sarà valutato il complesso dei rischi, a partire dalle mappature delle diverse attività aziendali ai fini dell’adozione dei DPI idonei. Inoltre, è da tener presente che per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, si rende obbligatorio l’utilizzo di una mascherina chirurgica;
– Organizzazione aziendale ( turnazione, trasferte e smart work, rimodulazione dei livelli produttivi): trattasi di misure abbastanza complesse; tra rafforzamento e integrazione tra i due Protocolli del 14.03. e del 24.04.2020, il quadro potrebbe essere così sintetizzato:
-Ribadito il ricorso al lavoro agile con il richiamo al datore di lavoro a garantire adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività, nell’uso delle apparecchiature e nella determinazione degli orari con le relative pause;
-Rispetto del distanziamento sociale anche rimodulando gli spazi di lavoro, compatibilmente con i processi produttivi e gli spazi aziendali;
-Viene suggerito, ove possibile, l’utilizzo di lavoratori da soli in spazi prima non utilizzati; revisione degli open space;
-Ridefinizione dei tempi di lavoro: orari differenziati e flessibili che favoriscono il distanziamento sociale con la riduzione del numero di presenze, lo scaglionamento degli orari di ingresso e di uscita, la messa a disposizione dei prodotti detergenti;
–Evitare aggregazioni sociali, anche in relazione agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro ed il rientro a casa, con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. A questo stesso riguardo vengono ipotizzate forme di incentivazione di trasporto verso il luogo di lavoro, con adeguato distanziamento tra viaggiatori, nonché favorendo l’uso del mezzo proprio o di navette;
–Limitazione degli spostamenti interni, delle riunioni e rinvio della stessa formazione per i lavoratori.
–Dotazione delle mascherine chirurgiche a favore delle persone asintomatiche in azienda.
– Sorveqlianza sanitaria in azienda: viene valorizzato il ruolo del medico competente, fermo restando il rispetto delle indicazioni delle autorità sanitarie. In funzione del loro compito di valutazione del rischi e della sorveglianza sanitaria “potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili ai fini del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori (potrebbe trattarsi anche dei tamponi)”, oltre che identificare i soggetti con particolare situazione di fragilità e per l’ammissione lavorativa dei lavoratori già affetti da Covid-19, che dovrà avvenire mediante certificazione di negativizzazione da tampone;
– Aggiornamento del protocollo di regolamentazione: infine, non sono d poco conto le regole poste in essere per la verifica dell’applicazione del Protocollo. Di rilievo a questo proposito il ruolo del Comitato aziendale con la partecipazione delle RR.SS.AA. e del RLS. Nell’ impossibilità della sua costituzione, in relazione alla tipologia aziendale, si provvederà con il Comitato territoriale, composto dalle Organizzazioni paritetiche per la salute e sicurezza, se costituite, nonché con il. coinvolgimento degli RLS e dei responsabili delle parti sociali.
Altra novità:, le parti sociali possono costituire comitati territoriali o settoriali anche con la partecipazione delle Autorità sanitarie locali. È superfluo sottolineare come l’iniziativa rivesta grande rilievo, in funzione della valutazione dell’impatto del contagio in determinate località.
Efficacia giuridica del Protocollo del 24.04.2020
E’ il secondo profilo del Protocollo richiamato in premessa, che merita considerazione, in quanto non poteva non discutersi intorno alla portata obbligatoria o meno del documento, trattandosi di una convenzione tra le parti sociali.
Viene facile, tuttavia osservare, a prescindere dalla sua origine voluta dalle Istituzioni che hanno tracciato anche la natura dei rischi da fronteggiare, che il Protocollo riveste una portata integrativa del DPCM del 26.04.2020, inserito per altro tra i suoi allegati (all.6) (così come costituisce allegato anche il Protocollo n.8, riferito ai trasporti e alla logistica. Rimanendo nei settori specifici, un ultimo Protocollo è intervenuto anche per i cantieri).
È prova della predetta obbligatorietà la previsione della citata sospensione dell’attività, in caso di mancata osservanza delle “prescrizioni”, sanzione richiamata, peraltro, espressamente dal DPCM del 2.04.2020, emanato -vale la pena richiamarlo- in attuazione del decreto legge n. 19.01.2020
Protocollo aziendale per la sicurezza
Premesso l’obbligo ex art. 2087 cod. civ. di creare da parte del datore di lavoro le condizioni di sicurezza da coronavirus dei lavoratori, sono controverse le relative modalità con i connessi adempimenti di tipo formale.
In altri termini, per sintetizzare per quanto qui interessa, sussiste o meno l’obbligo di aggiornamento del documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’ art.29 del d.lgs n. 81 del 2008 in relazione al rischio da coronavirus, sostanzialmente di tipo biologico?
La soluzione potrebbe essere legata al tipo di qualificazione del rischio, se generico, generico aggravato o specifico, cosi determinabili in relazione alla fonte del rischio stesso. Nel caso che interessa di rischio biologico, lo stesso non è connesso all’organizzazione aziendale; d’ altra parte, pur nell’ampia definizione dei valutazione dei rischi, la prevenzione di cui all’art. 2 del d.lgs n. 81 del 2008 fa riferimento ai rischi professionali, cui non sono riconducibili quelli da covid 19, : in quanto non connessi all’attività produttiva, come potrebbero essere i rischi biologici in determinate lavorazioni (rischi endogeni).
Sotto l’aspetto formale, c’è da aggiungere che il Protocollo nazionale, cui non può negarsi per le ragioni prima richiamate, valore di legge non richiede l’aggiornamento del più volte richiamato documento di valutazione dei rischi.
Inoltre, lo stesso articolo 29, comma 9, del d.lgs. numero 81/2008 fra le ipotesi all’origine dell’obbligo di aggiornamento del DVR sembra non comprendere alcuna circostanza ambientale non legata a rischi specifici ambientali, cui è riconducibile il caso che interessa.
Il problema dell’aggiornamento del predetto documento potrebbe porsi nell’ipotesi in cui il distanziamento dei lavoratori comporta la revisione dell’organizzazione aziendale.
D’ altra parte, la valutazione dei rischi da coronavirus con le relative misure di prevenzione sono già stabilite a monte nella legge, per cui potrebbe ritenersi in tal modo allargata la documentazione di cui all’articolo 28 prima citato.
Posizione diversa è stata assunta in particolare dal professor Raffaele Guariniello (v. La Sicurezza sul lavoro al tempo del Coronavirus -ed. Wolters Kluwer), il quale sostiene che il rischio che interesse non può essere generico ai fini dell’analisi. La tesi viene avvalorata con un ripetuto orientamento giurisprudenziale e, in particolare, con l’interpello numero 11 dl 25/10/2016, secondo il quale il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi “compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali”, quali rischi generici aggravati.
Altro profilo che ha richiamato l’attenzione è la qualificazione del contagio come infortunio sul lavoro, in cui la causa virulenta è equiparata a quella violenta(v. in particolare art. 42 del decreto legge n.18/2020).
L’ambito delle tutele è sostanzialmente di tipo previdenziale; la fonte dettagliata è la circolare INAIL n. 13 del 3.04.2020.
Suscita non poche perplessita’ l’attribuzione alla certificazione medica di elemento costitutivo del diritto.
Rilevano anche le precisazioni formulate successivamente dall’Istituto (v. nota del 15.05.020), secondo cui l’infortunio dovuto a contagio non comporta automaticamente responsabilità civile e penale del datore di lavoro. In particolare, viene sostenuto: “Si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile laconfigurabilità della responsabilià civile e penale dei datori di lavoro”.