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“Sognare insieme come un’unica umanità”

Papa Francesco, con la sua enciclica “Fratelli tutti”, sfida gli uomini e le donne di questo tempo sul terreno cruciale della fraternità. Lo fa con un’autorevolezza e con una credibilità indiscusse. Tutto il suo servizio pastorale è possibile leggerlo in chiave di fraternità e di dialogo. L’appello sulla “Fratellanza umana” che Papa Francesco el il Grande Imam Ahmad-al-Tayyeb hanno lanciato, assieme, ad Abu Dhabi, nel 2019, rappresenta una tappa fondamentale di un cammino che imprime alla fraternità una dinamica nuova, di respiro universale, sul terreno della costruzione della pace. Non è un caso che il Papa si sia sentito stimolato a scrivere l’enciclica proprio da Ahmad-al-Tayyeb, come precisa nell’introduzione.

Il titolo è preso dall’intestazione della lettera che San Francesco d’Assisi rivolse ai suoi seguaci, invitandoli “ad un amore che va al di là delle barriere della storia e della geografia”. il Papa che, unico finora, ha scelto di prendere il nome del Poverello di Assisi, a lui si è ispirato per questa lettera, come per l’intero suo pontificato.

Il radicamento del messaggio dell’enciclica lo si trova nell’Evangelo e, in modo speciale nella parabola del Buon Samaritano che viene presentata, nel secondo capitolo, come un’icona illuminante per il nostro tempo. Con una domanda esigente, siamo tutti chiamati, a prescindere da qualsiasi appartenenza religiosa,  a chiederci se ci identifichiamo con i briganti che assalgono il viandante della parabola o con coloro che distolgono lo sguardo da lui e passano oltre, pur essendo persone religiose, oppure con colui che, pur appartenendo ad una terra considerata straniera e nemica, si china sul dolore dell’uomo caduto e se ne prende cura, senza attendersi gratificazioni o riconoscimenti. In realtà, la vicenda narrata in questa parabola continua a riproporsi con frequenza impressionante “dal momento che “risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada” (71).

Il Papa sottolinea con forza il fatto che, pur avendo raggiunto tante mete di progresso, il nostro tempo testimoni un diffuso analfabetismo rispetto ai doverosi compiti di cura delle persone e dei gruppi sociali emarginati, voltando le spalle all’amore. Allo stesso tempo la parabola ci insegna che spesso non è sufficiente un gesto individuale di soccorso ma che occorre attivare una pluralità di risorse, testimoniando un amore che abbia un respiro politico.

 

Come persona che ha operato nel sindacato e che, attualmente, si impegna assieme ad altri, nel Mezzogiorno, a livello interassociativo, a tessere relazioni di vicinanza fraterna a famiglie fragili, mi sono sentito sostenuto e incoraggiato da questa enciclica a proseguire un cammino di respiro comunitario che si presenta per niente fragile. In un tempo, infatti, in cui i bisogni sociali aumentano e le politiche di welfare si indeboliscono, le associazioni solidaristiche rischiano di divenire i partner di uno Stato dimissionario e compassionevole, anziché generare responsabilità diffusa e coscienza politica. L’enciclica, perciò, viene a infondere speranza e coraggio a coloro che, da anni, tentano di intrecciare azioni di cura e di accoglienza con momenti ricorrenti di riflessione e di discernimento comunitario.

Un punto decisivo della crescita di coscienza politica lo si coglie nel capitolo quarto, che porta un titolo illuminante: Un cuore aperto al mondo. Veniamo sollecitati a “prestare  attenzione alla dimensione globale, per non ricadere in una meschinità quotidiana… senza perdere di vista ciò che è locale (142); “Ci sono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. Nascondono uno spirito chiuso che…preferisce creare mura difensive per preservare se stessi” (146). E’ facile, in questo caso,  che ci si lasci catturare da “gruppi populisti chiusi che deformano la parola popolo”, com’è accaduto anche nel nostro Paese.

Emblematica, in questo senso, è la condizione dei migranti e dei rifugiati, che ha fatto dolorosamente toccare con mano quanto, in Europa e nella stessa Italia, la spinta popolare, abilmente manovrata da alcune forze politiche, abbia contribuito ad alzare muri, misconoscendo la dignità umana di altre persone e popoli e ostacolando l’incontro prezioso con altre culture. Per questa strada, ammonisce Papa Francesco “i sentimenti di appartenenza ad una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire assieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi (30).

Nel capitolo quinto il Papa sottolinea con forza la necessità di una politica migliore, che venga posta al servizio del vero bene comune. In questo senso vengono smascherate le strade illusorie e ingannevoli dei populismi e del neoliberismo.

Di autenticamente popolare, per Papa Francesco è la questione esplosiva del lavoro. Mentre nei momenti di emergenza, come quello dell’attuale pandemia, è necessario dare aiuti economici a chi è in stato di necessità, resta fondamentale garantire a tutti vere opportunità di lavoro. “Non esiste peggior povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro” (162). Allo stesso tempo, un vero sviluppo non può essere fondato su una pretesa libertà di impresa e di mercato che opprima la dignità dei poveri e che danneggi l’ambiente.

 

Urge quella rivoluzione culturale di cui il Papa già parlava ampiamente nella “Laudato si’”, contrastando con vigore quel paradigma tecnocratico che è diventato dominante e che esercita il proprio dominio sull’economia e sulla politica.

Dialogo e amicizia sociale sono le grandi risorse che Papa Francesco indica a tutti noi. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali, nel rispetto della dignità inalienabile di ogni essere umano. L’invito è a far crescere una cultura dell’incontro, attraverso la quale si progetta qualcosa che coinvolge le risorse di tutti, mettendo al centro coloro che sono più vulnerabili e impoveriti.

L’impegno educativo e la profondità spirituale vengono additate come le risorse decisive “per dare qualità ai rapporti umani, in modo che sia la società stessa a reagire di fronte alle ingiustizie, alla aberrazioni, agli abusi dei poteri economici, tecnologici, politici e mediatici (167).

L’attuale pandemia del Covid-19, esplosa nel momento in cui Papa Francesco scriveva questa enciclica, ha reso ancora più evidente la frammentazione sociale in cui siamo immersi, facendoci capire che da questo flagello si uscirà peggiori o migliori di prima.

A conclusione di questo piccolo commento, scritto di getto all’indomani dell’uscita dell’enciclica, sento di dover restituire la parola a Papa Francesco che ci incoraggia a “sognare insieme come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede e delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (8).


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Responsabile della Rete sociale “Bambini, Ragazzi e Famiglie al Sud

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