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Quando idealismo e pragmatismo convivono bene

Il mio percorso di vita, pur in molti aspetti diverso per origini e per formazione da quello di Franco Marini, ha avuto con lui molti momenti di vicinanza. Così i miei ricordi si accompagnano con quelli di tanti amici, impegnati nel sindacato e nella vita parlamentare, che hanno detto e scritto di Franco dopo la sua morte. Una morte che ci ha colto di sorpresa, anche se sapevamo che stava male, perché lo ricordiamo tutti, fino agli ultimi incontri, pieno di energia nelle sue parole e azioni.

La mia conoscenza di Franco risale agli anni in cui, appena uscito dalla università, ho cominciato a impegnarmi nel sindacato, la FIM Cisl milanese di Carniti.

Qualche tempo più tardi ho avuto modo di conoscerlo più direttamente, in diverse occasioni, negli incontri alla scuola CISL di Firenze e poi dell’ufficio studi della confederazione.

Da allora ho potuto vedere in azione da vicino due delle figure più significative della Cisl, appunto Carniti e Marini, diverse per carattere, per approccio alle questioni e per i mondi di riferimento da cui provenivano, l’industria metalmeccanica e il pubblico impiego.

Mi ci è voluto un po’ di tempo per ‘inquadrare’ e apprezzare Franco, non solo per la diversità delle nostre esperienze, ma perché lui non esplicitava né tanto meno esibiva le proprie idee e concezioni generali, quelle che attraggono molto soprattutto gli intellettuali, compresi quelli che si avvicinavano alla Cisl.

Marini ripeteva spesso, credo che molti se lo ricordano, di essere un pragmatico, di preferire agli approcci teorici, le scelte concrete del giorno per giorno, spesso sollecitate dalle pressioni quotidiane.

Senonché ho potuto verificare in diverse occasioni, come altri, che il suo pragmatismo non escludeva che egli mantenesse una coerenza di fondo nelle idee e nella pratica, e che praticasse la fedeltà rispetto a ideali e orientamenti fondamentali: quelli che stavano alla base della Cisl e che aveva in comune con tanti dirigenti e amici sindacali, compresi quelli diversi da lui. 

Fra questi orientamenti era centrale la sua fiducia nella autonomia del sindacato, come di tutti i corpi intermedi, e la sua determinazione nel difenderla.

Non è un caso che sia stato Franco insieme con Carniti a dare un contributo decisivo a superare le fratture presenti nella Cisl negli anni in cui erano entrambi al vertice della confederazione. 

Posso anche io testimoniare che, al di sotto del pragmatismo e di un tratto spesso rude e sbrigativo, si vedeva presente una forte tensione ideale e la passione per quello che faceva giorno per giorno col suo impegno nel sindacato. Questo impegno per la causa del lavoro ha percorso tutta la sua vita, ed è continuato, sia pure in modi diversi, anche quando Marini ha assunto importanti cariche istituzionali, quella di Ministro del lavoro, poi di senatore e di presidente del Senato.

Fra le caratteristiche personali di Franco ho sempre apprezzato il suo modo di procedere, gradualista e dialogico, sostenuto da una grande capacità di mediazione orientata a ricercare compromessi, i migliori fra quelli possibili.

È questo un modo di procedere, anche a me congeniale, e di cui ho sperimentato la importanza nella mia vita politica e istituzionale (oltre che professionale).

Gli anni in cui siamo stati insieme al Senato sono stati alquanto tormentati e hanno messo a dura prova la capacità, non solo nostra, di promuovere le riforme necessarie per il mondo del lavoro che già cominciava a sentire direttamente il duro impatto della globalizzazione e delle nuove tecnologie.

La instabilità politica era il maggiore ostacolo a fare e ad approvare progetti in grado di durare nel tempo.

Quando Franco ha assunto la presidenza del Senato, nel 2006, si è trovato ad affrontare una situazione particolarmente precaria, anche perché per un certo periodo la maggioranza di cui facevamo parte ha avuto uno-due voti di margine sulla opposizione.

Le tensioni erano giornaliere, con manifestazioni di intolleranza e di protesta incivile eccezionali nella storia di quella Camera, ma che purtroppo dovevano ripetersi negli anni seguenti. 

Il presidente Marini ha allora dimostrato la sua capacità di governare situazioni difficili con autorevolezza, imparzialità ed equilibrio, doti che gli sono state riconosciute da tutti, da ultimo nella commemorazione che di lui ha fatto la presidente Casellati.

Fra i ricordi di quel periodo segnalo l’impegno che mi chiese Franco (allora ero presidente della Commissione lavoro) di analizzare e proporre cosa si poteva fare per rivedere la regolazione del sistema pensionistico dei senatori, avvicinandola progressivamente a quella del sistema generale. 

Eravamo entrambi convinti che il divario esistente fra le regole generali e il trattamento di favore dei parlamentari, fosse non solo ingiusto ma alla lunga insostenibile. Del resto Marini ministro del lavoro si era impegnato in prima persona per riformare il sistema pensionistico, con l’obiettivo di adeguare gradualmente l’età pensionabile per tenere conto dell’allungamento della aspettativa di vita e dei cambiamenti economici e sociali: un tentativo rimasto, come è noto, senza esito perché bloccato da insuperabili veti politici.

Nella nostra convinzione che il sistema pensionistico privilegiato dei parlamentari fosse insostenibile avevamo visto bene, come i fatti seguenti dovevano dimostrare. Ma le esitazioni di alcuni e le divisioni fra i partiti, non solo interne al Senato, impedirono anche questa volta di procedere.

Quando si profilò la candidatura di Marini per la Presidenza della Repubblica, io sono stato fra quelli che l’ha sostenuta apertamente, perché ero convinto per conoscenza diretta, che le sue doti, la sua esperienza sociale e istituzionale e la sua testimonianza di vita ne facevano il candidato ideale. Ma sappiamo come è andata.

In conclusione voglio dire che la testimonianza di vita di Franco Marini ci tramette sollecitazioni particolarmente significative in un periodo, come quello attuale, di sconvolgenti trasformazioni economiche e   sociali che provocano discontinuità e disorientamenti anche politici.

Fra i caratteri e gli insegnamenti della sua esperienza che ho sopra ricordato due più di altri mi sembrano da tenere presenti e dei quali far tesoro oggi. 

La fedeltà ai grandi principi civili e sociali e insieme la capacità di calarli nella realtà, sono doti tanto più preziose quando, come oggi, questi principi, compresi quelli costituzionali, devono applicarsi in contesti economici e sociali così radicalmente diversi da quelli in cui si sono costruiti e devono adattarsi per essere ancora efficaci senza perdere il loro valore essenziale.

Il fatto che l’azione politica di Marini si sia alimentata dalla pratica sociale e dalla fiducia nell’autonomia del sindacato e del sociale, è una testimonianza di grande valore non solo personale ma istituzionale. Segnala che la vita pubblica e la stessa democrazia politica si sostengono e arricchiscono con le varie forme di partecipazione dei cittadini nelle associazioni e nei corpi intermedi, così come previsto dalla nostra Costituzione. Questa integrazione della democrazia politica rappresentativa con istituti di democrazia sociale, è una indicazione costituzionale spesso dimenticata e anche di recente contrastata. Ma assume oggi significati specifici, che ho potuto verificare anche di persona dal mio attuale osservatorio al CNEL. Mostra una particolare concretezza a seguito della grande utilità sociale manifestata nel corso della pandemia da molti di questi mondi associativi, inoltre riveste un valore fondamentale per contrastare le tensioni centrifughe e le tendenze populiste che minacciano la nostra società e la nostra democrazia.

*Presidente del CNEL

 

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