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Focus su Giovani e Lavoro

Uno schema per approfondimenti mirati sul lavoro dei giovani.
Il dibattito ricorrente, soprattutto nei momenti di stagnazione dell’economia, intorno alle difficoltà nell’assicurare ai giovani una soddisfacente disponibilità di posti di lavoro si arena inevitabilmente sulla considerazione che se i posti di lavoro sono a rischio per i già occupati (candidati al ruolo di disoccupati, almeno temporanei), resta ben poco da spartire per gli inoccupati (candidati al ruolo di “neet” o di occupati “precari” a tempo indeterminato, cioè indefinibile).

Senza addentrarci nell’analisi delle variabili in gioco nella produzione di quel rischio -riconducibili, genericamente, alla intensità e qualità della crescita (o de-crescita), dalla quale la qualità e quantità del lavoro viene fatta discendere – e che costituiscono indiscutibilmente il “bersaglio grosso” della economia del lavoro e delle politiche occupazionali, ci limiteremo ad evocare possibili azioni attivabili in due campi, magari ritenuti secondari per gli effetti quantitativi di breve periodo ma, al tempo stesso, forse strategici nel medio. I due campi, a cui verranno riferiti alcuni temi specifici dello Schema di analisi qui proposto, riguardano essenzialmente: 

  1. gli spazi per interventi di redistribuzione del lavoro disponibile, al fine di contrastare la concentrazione della disoccupazione in particolari fasce di soggetti (i giovani, appunto) … in attesa che la “mano invisibile” della ri-crescita provveda ad aumentare significativamente la disponibilità di posti di lavoro ad “orario pieno” per tutti;
  2. gli spazi e le modalità di intervento sul mismatch tra domanda e offerta di lavoro, per recuperare le opportunità di allocazione nelle posizioni rese vacanti in ragione della qualità di quel mismatch: essenzialmente riferibile alla formazione e alle competenze dell’offerta.

Un terzo campo d’azione, obbligato, resta quello collegato all’approccio economico politico che deve, nell’ordine, fronteggiare (ammortizzare) gli effetti di breve periodo delle crisi e sostenere (incentivare) le azioni di ri-crescita e sviluppo.

Al fine di raccogliere valutazioni, critiche e proposte su alcune di tali possibili azioni, è stata abbozzata una raccolta di temi, distribuiti sui tre campi citati, per non pochi dei quali in occasione di precedenti fasi di crisi economico occupazionali sono state sperimentate soluzioni “tecnico politiche” particolarmente efficaci e comunque suscettibili di nuove verifiche e nuove sperimentazioni. 

Sommario dei Temi proposti

  1. La Qualità del Lavoro Offerto 
    1. 1.1.L’Apprendimento Situato in ambito lavorativo integrato nella Didattica Scolastica e Universitaria 
    2. 1.2.Il Ruolo delle Istituzioni Scolastiche e Universitarie nella Transizione Studio Lavoro 
    3. 1.3.Il Ruolo delle Aziende nell’integrazione delle Competenze di Lavoro e di Studio 
    4. 1.4.Le Nuove Istituzioni della Transizione Studio Lavoro 

 

  1. La Quantità e la Qualità del lavoro disponibile e la sua Distribuzione 

2.1. Le possibili Forme della Redistribuzione del Lavoro tra Occupati e Inoccupati

2.2. La Struttura dei Percorsi Formativi nei Processi Produttivi 

2.3. Il Turnover Efficace e Sostenibile 

2.4. Le Figure Professionali nel Trasferimento delle Competenze

 

  1. La Politica economica per lo Sviluppo e la Sostenibilità del Lavoro 

3.1. Le Politiche di Sviluppo a partire dal Nuovo Welfare

3.2. Le Priorità dell’Azione Sindacale e del Confronto tra le “Parti”

3.3. I Patti Regionali

3.4. La Politica Economica Nazionale

 

In questo Focus diamo conto in modo estremamente sintetico dei temi affrontati nel “campo” 2 ” La Qualità è la Quantità del lavoro disponibile e la sua Distribuzione,” approfondendo, in particolare, gli item 2.1, 2.2, 2.3, 2.4. (rinviando alla consultazione della richiamata “monografia per quanto riguarda la lettura degli altri temi).

 

2. La Quantità e la Qualità del Lavoro Disponibile e la sua Distribuzione

L’occupabilità dei giovani (intesa genericamente come possibilità di trovare un posto di lavoro) non è data solo dalla quantità materiale di posti disponibili e dalla idoneità, caso per caso, di chi si offre per occuparli. Un ruolo fondamentale può essere giocato dalle modalità con cui viene governato il turnover tra gli anziani in uscita e i giovani in entrata.

Gli strumenti della distribuzione del lavoro (attraverso la flessibilità degli orari e della durata del rapporto di lavoro) e della progettazione di percorsi formativi possono conferire un valore aggiunto in termini di qualità delle allocazioni e di un loro “effetto leva” verso i volumi della produzione e dell’occupazione.

 

2.1 Le possibili Forme della Redistribuzione del Lavoro tra Occupati e Inoccupati 

“La disoccupazione giovanile è il problema numero uno di tutti i governi europei, dove politiche sbagliate nel momento sbagliato (crisi della domanda) hanno prodotto 6 milioni di giovani senza lavoro e 7,5 milioni di giovani inattivi che non studiano e non lavorano. Tra gli under 25 i tedeschi che non lavorano sono il 7%, in Grecia e Spagna sono oltre il 50%, in Italia il 40%. I paesi che hanno fatto politiche redistributive su orario e durata del lavoro (disincentivazione degli straordinari, contratti di solidarietà a sostegno di orari ridotti, pensionamento progressivo, ecc.) sono quelli con una durata di lavoro media annua inferiore e tassi di occupazione più alti: Germania, Olanda, Gran Bretagna, Austria, con mediamente 1400 ore pro capite lavorate all’anno hanno tassi di occupazione sulla popolazione di 15-64 anni oltre il 70%, mentre l’Italia con circa 1800 ore anno registra un tasso inferiore al 60%”. 

“E’ difficile proporre una politica di riduzione dell’orario a parità di salario, così come ipotizzare che alla riduzione delle ore lavorate corrisponda una riduzione proporzionale del salario. Nel primo caso è prevedibile un aumento del costo del lavoro e l’opposizione delle imprese, nel secondo caso una decurtazione del reddito e la resistenza dei lavoratori. Una soluzione è quella di calibrare il carico fiscale e contributivo sul salario a seconda della durata dell’orario: alleggerendolo per gli orari ridotti e aggravandolo per quelli di più lunga durata, da una fascia di orario bassa esente da ogni onere, tanto per il lavoratore che per l’impresa, fino agli oneri attuali per le 40 ore contrattuali vigenti. Tenuto conto dell’alto tasso di disoccupazione giovanile, l’introduzione di fasce orarie flessibili offrirebbe alle generazioni più giovani una porta di ingresso nel mercato del lavoro evitando la trafila di lavori precari e privi di tutela”.

“L’Italia non ha sviluppato una politica per redistribuire le ore lavorate. Il part time non è mai decollato, soprattutto per l’assenza di veri vantaggi per le imprese e per i lavoratori, lo straordinario è stato quasi detassato … il risultato è che il numero di ore lavorate pro-capite risulta maggiore che in quasi tutti gli altri paesi europei. 

Sono tre le proposte da approfondire: oltre le 30 ore settimanali il lavoro deve costare di più, lo straordinario deve essere disincentivato con un alto prelievo fiscale, i contratti a tempo parziale debbono diventare in genere la modalità ordinaria di assunzione nella pubblica amministrazione …”. 

 

Il tema dell’orario di lavoro e della sua possibile riduzione finalizzata ad una redistribuzione del lavoro disponibile, al di là delle enunciazioni ricorrenti a favore o contro, ha rappresentato un difficile banco di prova al momento di approfondire il confronto e concretizzare sintesi sufficientemente condivise e applicabili. Le difficoltà sono derivate, come si sostiene da più parti, dall’idea largamente condivisa di privilegiare “la crescita” come strumento principe di politica economica in grado anche di assicurare lo sviluppo e l’automatica disponibilità della quantità e qualità dei posti di lavoro in grado di soddisfarne la ricerca. 

Fermo restando che il problema del costo di ogni intervento sulla struttura del mercato (compreso quello del lavoro) è che il costo deve essere individuato e “coperto”, si ritiene che la valorizzazione dei risultati raggiungibili da modalità di redistribuzione del lavoro (che tengano conto della necessità di assicurare ai giovani percorsi sostenibili di entrata nel mercato) sia prioritaria. A partire da forme di “combinazione” di studio (vero) con lavoro (vero).

    1. 3.2. La Struttura dei Percorsi Formativi nei Processi Produttivi

 “Lo ‘spazio formativo’ [cioè l’insieme di strutture, programmi e opportunità formative presenti e attivabili in un dato contesto] rende ottimizzabile la mobilità interna all’organizzazione lavorativa e crea il presupposto per la ‘buona flessibilità’ in entrata”.

“Uno dei punti di forza di percorsi formativi che comprendono significative fasi lavorative sta nel far entrare nelle aziende i giovani con una sorta di ‘lasciapassare’ che consente loro di avere tutta una organizzazione che li sostiene. Tra i benefici che ne trae l’azienda (nel mantenere una posizione ‘vacante’ che viene coperta a turno da un anno all’altro da un giovane in formazione) c’è quello che, nel processo di trasferimento delle conoscenze, le job description e le procedure inerenti la funzionalità di quel determinato ‘posto’ vengono costantemente riviste, aggiustate, in modo da tenerlo pronto per quando lo si deve rendere disponibile; insomma, un ‘tavolo al ristorante’ dove cambiano le persone, ma che è sempre ben preparato, apparecchiato, per i successivi clienti”.

“Il dispositivo del ‘posto a tavola sempre apparecchiato’ per assicurare spazi per primi inserimenti lavorativi (ad alto tasso di apprendimento) a rotazione per giovani studenti e neodiplomati rappresenta un’esperienza ad alto impatto sul funzionamento dei ‘mercati del lavoro interni’ alle aziende (per far fronte alle esigenze di copertura professionale dell’upgrading tecnologico e organizzativo) e sull’occupabilità dei giovani (così formati) al momento del loro inserimento nel mercato del lavoro esterno”.

 

Nelle grandi e medie aziende, e comunque in tutte quelle “attrezzabili allo scopo”, è possibile sperimentare la disponibilità di posizioni lavorative occupabili “a rotazione annuale” da giovani (studenti, diplomati, laureati) nell’ambito di percorsi accompagnati di inserimento lavorativo.

Se c’è l’interesse dei soggetti in gioco (i giovani, in cerca di una prima vera esperienza lavorativa; le imprese, interessate a verificare la “qualità” dell’offerta di lavoro disponibile rispetto alle caratteristiche inizialmente richieste; le istituzioni pubbliche preposte, interessate a verificare le coerenze dei progetti nell’ambito delle politiche di sviluppo e disponibili a sostenerne i costi della “formazione”), il risultato può essere di facile acquisizione.

Esperienze svolte in contesti progettati ad hoc hanno fatto registrare quote di inserimenti di questo tipo anche superiori al 10% dell’organico aziendale attivo, con un incremento dell’occupabilità dei giovani coinvolti (misurato dal proseguimento del contratto di lavoro nella stessa azienda o in altre aziende, e dalla coerenza delle “mansioni” assunte rispetto al percorso formativo svolto), nettamente superiore ai tassi standard. 

 

2.3.  Il Turnover Efficace e Sostenibile

 “La drammaticità della situazione nazionale in questa fase Covid-19, unita all’adozione nelle deliberazioni governative del Protocollo condiviso tra le parti sociali, ha favorito la disponibilità a livello aziendale all’ascolto e al recepimento di letture critiche, proposte e richieste da parte sindacale. Il fatto che difronte a criticità, in ambito lavorativo si scelga il dialogo, la capacità di ascolto, di sentirsi reciprocamente criticati senza arrivare ad uno scontro con le modalità classiche dei rapporti ‘tra le parti’, non può essere considerato un risultato secondario e ininfluente. Per questo, il ‘lavoro sindacale’ nel gestire dentro le imprese interventi sulle condizioni di lavoro (particolarmente in questa fase) dovrebbe essere parte integrante della elaborazione e della proposta sindacale confederale”. 

“Sarebbe forse opportuno, per creare più domanda di lavoro anche nelle aziende esistenti, accompagnare i nuovi ingressi con part time in uscita. Part time sostenuti economicamente, in cambio di attività formativa che coinvolge i nuovi entranti; competenze che vengono trasferite dai più esperti ai meno esperti. Esempi di questo tipo in processi di riorganizzazione sia di imprese private che di enti pubblici hanno funzionato positivamente valorizzando e stabilizzando il nuovo lavoro”.

“La ‘staffetta generazionale’ appare generalmente come un dispositivo (o, più semplicemente, una rappresentazione) che registra il ricambio del personale in una visione pressoché statica dei fattori produttivi e organizzativi e di un quadro di professionalità stabilizzate. E’ sempre più necessaria una ripresa e rielaborazione ella problematica del turnover e del confronto tra le parti alla ricerca di modalità che favoriscano il consolidamento dei livelli occupazionali, soprattutto nelle fasi di cambiamento e rilancio produttivo”.

 

Oggi, più di ieri, la gestione efficace del turnover rappresenta un processo continuo di adattamento dei ‘fattori produttivi’ secondo percorsi ottimizzabili per creare condizioni sostenibili per ciascuno dei fattori stessi e dei soggetti convolti. Problematica particolarmente sensibile e difficile da comporre per il confronto sindacale, in quanto i soggetti direttamente coinvolti rappresentano categorie di lavoratori periferici rispetto al “grosso” dei rappresentati: i giovani il lavoro lo stanno ancora cercando, gli anziani stanno per lasciarlo.

Tuttavia, entrambe le categorie possono trovare le convenienze a partecipare a programmi di turnover fortemente valorizzati da percorsi formativi individuali e di gruppo e largamente situati nelle comunità di pratiche lavorative, in cui i processi di apprendimento nell’interazione tra anziani e giovani possono creare le convenienze necessarie (compresi specifici riconoscimenti economici per i risultati formativi e allocativi).

 

2.4   Le Figure Professionali nel Trasferimento delle Competenze

 

“Nelle grandi ristrutturazioni aziendali (soprattutto se assistite da ammortizzatori che prevedono anche forme di uscita in prepensionamento) e anche negli aggiustamenti progressivi il sistema organizzativo ha fatto frequentemente ricorso alle competenze di personale ‘anziano’ prossimo all’uscita, o già uscito, attivandone il ‘recupero’ con rapporti di collaborazione ‘consulenziali’. Ci si è chiesto in più occasioni se una particolare applicazione del normale rapporto di lavoro contrattuale per queste figure possa rendere più fluide, produttive e ‘regolari’ queste prestazioni professionali”

“La formula ‘metà pensione e metà lavoro’ indica una possibile condizione lavorativa da tempo prevista a livello di Unione Europea, quando, con la Comunicazione del luglio 1980 ci si è posta la possibilità del pensionamento ‘flessibile e progressivo’. In quel documento, in materia di adattamento del tempo di lavoro a fronte del deterioramento della situazione occupazionale (o anche dell’esigenza di soddisfare ‘aspirazioni e bisogni’ degli anziani) si registrava la tendenza dei diversi Stati ad adottare sistemi per l’introduzione di una duplice flessibilità: da un lato una maggiore libertà di scelta individuale dell’età pensionabile e, dall’altro,  ‘la possibilità di lavorare a tempo ridotto durante gli ultimi anni di vita attiva’.

Questa seconda evenienza in particolare era considerata rilevante nei casi in cui i lavoratori anziani interessati al part time, oltre ad ottenere un ‘sufficiente indennizzo’, avessero avuto ‘la fortuna’ di esercitare, nella propria carriera lavorativa, un’attività professionale ‘gratificante’, e quindi potessero essere interessati a prolungarla anche ad orario ridotto”. 

 

La possibilità di ottimizzare la selezione delle competenze da trattenere in azienda a supporto del bilancio delle disponibilità professionali necessarie e del processo di turnover del personale potrebbe trovare una forma concreta nella definizione di profili di collaborazione part time per anziani prossimi all’uscita, prevedendo l’entrata nel regime pensionistico (con la fruizione della relativa quota dell’assegno maturato) assommata alla remunerazione per il part time lavorativo, riqualificato per l’eventuale upgrading del valore della prestazione richiesta e fornita.

 

*L’elaborato che qui viene presentato è una sintesi di alcune parti della “monografia” su Giovani e Lavoro pubblicata sull’Annuario Socio Economico del CDS, edizione 2020, predisposta da Andrea Gandini e Gaetano Sateriale e condivisa dalla intera redazione. Per il report completo di 28 pagine vedi https://www.cdscultura.com/editoria/annuario-socio-economico-ferrarese/ e poi vedi Monografia giovani e lavoro.

 

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