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Germania, il futuro a tre

Quando finisce un’epoca inizia l’età dell’incertezza: per questo gli elettori tedeschi hanno pensato che il modo  migliore di rielaborare il lutto per l’uscita di scena della cancelliera Merkel fosse votare il candidato a lei più somigliante. E la Spd – sul grande manifesto elettorale sotto l’immagine sorridente e rassicurante di Olaf Scholz campeggiava la scritta “lui può fare la Cancelliera”- ha sfruttato quello che potremmo definire l’effetto postumo dell’epoca Merkel. E intercettato, come risulta dall’esame dei flussi elettorali, il voto di molti che in precedenza a lei avevano dato la loro preferenza. 

Ma il voto di domenica scorsa ci anche altro. Intanto che, certo, molto più che i tutti gli altri Paesi europei profondamente condizionati dalla presenza di movimenti del sovranismo populista, in Germania il sistema dei partiti continua ancora a funzionare garantendo stabilità e governabilità. Ma non più come una volta e che quella tedesca è, come il sociologo Andreas Reckwitz in un saggio di fulminante lucidità l’ha definita, La società delle singolarità caratterizzata dalla crescente individualizzazione degli stili di vita, dalla pluralizzazione delle “visioni del mondo” e della differenziazione degli interessi. 

Una trasformazione questa che è all’origine del declino dei sistemi di rappresentanza e di organizzazione politica della società in Germania come nel Vecchio Continente e nell’intero Occidente. Così mentre dal 1949 fino a ieri a governare la Germania era stato un governo sostenuto di volta in volta da due partiti (solo nel 1957 la Cdu di Adenauer aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei voti) da oggi i partiti al governo dovranno necessariamente essere come minimo tre. 

Per questo, se è forse esagerato dire che la Germania si è italianizzata, è certo che sarà se non più difficile certo più complicato per il prossimo governo prendere decisioni riguardanti le grandi questioni irrisolte, dal declino demografico alla digitalizzazione fino alla grande sfida ambientale, alle quali Angela Merkel non ha saputo o voluto dare risposta. Da questo punto di vista c’è una analogia tra la fine dell’epoca Merkel e quella di Helmut Kohl. Anche allora, nel 1998, quando uscì di scena il Cancelliere della riunificazione tedesca la Germania (Kohl è restato al potere per 16 anni esattamente come Angela Merkel) si scoprì preda di una grave crisi economica e sociale: “il malato d’Europa” venne per questo definita dall’Economist. Toccò a un cancelliere socialdemocratico, Gerhard Schröder appoggiato dal “verde” Joschka Fischer, realizzare la più radicale riforma del sistema del Welfare tedesco e smantellare l’arcaismo di un diritto di cittadinanza fondato sullo ius sanguinis. 

Sarà così anche con Olaf Scholz erede della tradizione del riformismo socialdemocratico alla Helmut Schmidt? Forse, anche se non è detto. E non solo perché a differenza di allora il ménage sarà à trois ma perché la Spd di oggi è intossicata da pulsioni identitarie a causa delle quali la base degli iscritti due anni fa bocciò la candidatura di Scholz alla presidenza del partito. E la fine dell’esperimento “rosso-verde” guidato da Schröder iniziò all’inizio degli anni 2000 proprio quando questo fu costretto a lasciare la presidenza della Spd. Ma forse quello che dovrebbe interessare maggiormente a chi ha a cuore le sorti del futuro d’Europa (e dell’Italia) è che dal voto risulta l’ennesima conferma della irrevocabile scelta europeista della Germania e della sua classe politica con la marginalizzazione definitiva dell’estrema destra xenofoba e razzista della Afd.

Mentre l’estrema sinistra della Linke che sogna l’uscita della Germania dalla Nato e una sua trasformazione in una “grande Svizzera” non ha superato la soglia si sbarramento del 5% e potrà avere rappresentanza nel Parlamento solo grazie ad una norma particolare del complicato sistema elettorale tedesco. Per questo tornare a evocare, come invece già qualcuno si è affrettato a fare, lo spettro di una Germania arcigna e di un ritorno alle cosiddette politiche di austerità se non addirittura della contrapposizione tra un’Europa germanica e una Germania europea significa continuare a pensare con la mente rivolta al passato. Anziché finalmente a prendere atto del fatto che oggi esiste una sola Germania: quella europeista. 

E che con la uscita di scena di Angela Merkel il cui merito storico è stato e resta quello di aver saputo tenere unita l’Europa attraverso un’epoca di crisi economiche e di sommovimenti geopolitici, la grande sfida per la Germania come per la Francia di Macron e l’Italia di Mario Draghi sarà ridisegnare ruolo, compiti e obiettivi di un’Europa sempre più sola che per questo, secondo l’ammonimento lanciato dalla Cancelliera nel 2016, dovrà “prendere in mano il proprio destino” non potendo più o sempre meno contare sul sostegno di antichi alleati.

 

 *da Reppublica 27/09/2021

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