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Come combinare nuove regole fiscali e NGEU

1. La scomparsa di David Sassoli ha lasciato un vuoto nel Parlamento europeo che risulterà ancora più evidente allorché le istituzioni dell’Unione europea (UE) dovranno misurarsi con il varo della nuova governance fiscale. In quel difficile passaggio che richiederà grande equilibrio politico per raggiungere un risultato condiviso ma – al contempo – per evitare compromessi al ribasso fra le diverse posizioni degli stati membri, la capacità di mediazione strategica dell’ex Presidente del Parlamento europeo sarebbe stata preziosa. L’irreversibile mancanza di tale risorsa rappresenta un ulteriore stimolo per la ricerca di soluzioni che possano definire nuove regole fiscali della UE mediante una combinazione, non banale, fra regole e discrezionalità istituzionale. 

2. La difficoltà di raggiungere questo risultato è ben esemplificata dalle tensioni che sembrano contrapporre due fra le più promettenti novità degli assetti economici europei: il varo del principale programma di Next Generation – EU (NGEU), ossia il Recovery and Resilience Facility (RRF), e la revisione delle regole fiscali della UE fino a oggi racchiuse nella versione più recente del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). NGEU è stato approvato a luglio del 2020 e il RRF è diventato operativo dall’estate del 2021; la revisione delle regole fiscali della UE, che oggi incorporano le modifiche attuate fra il 2011 e il 2013 (‘Six Pack’, ‘Fiscal Compact’e Two Pack), dovrà essere completata entro la fine del 2022.

NGEU prevede che la Commissione europea possa emettere, per conto della UE, titoli di debito fino a un ammontare massimo di 750 miliardi di euro (ai prezzi di fine 2018) allo scopo di finanziare un ampio insieme di iniziative, proposte dagli stati membri, mediante prestiti o benefici. Fra la metà del 2021 e il 2026 saranno allocati circa il 90% di quei finanziamenti, ossia la quota di pertinenza del RRF, ai diversi paesi della UE sulla base di specifici Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) che sono già stati positivamente vagliati (in larga maggioranza) dalla Commissione europea e approvati dal Consiglio della UE fra la primavera e l’estate del 2021. Le Linee guida del RRF pongono tre condizioni stringenti a ciascuno dei PNRR: (i) almeno il 57% delle risorse europee, così ottenute, va destinato alla transizione ‘verde’ (almeno il 37%) e a quella digitale (almeno il 20%); (ii) tali trasformazioni vanno rese compatibili con il rafforzamento dell’inclusione sociale, tanto che non appare azzardato sostenere che più di 2/3 delle risorse del RRF devono essere destinate ai tre fondamentali pilastri appena menzionati; (iii) ciascun PNRR, che si basa su progetti articolati in riforme e in investimenti (pubblici e privati), fissa obiettivi intermedi (target emilestone) che vanno raggiunti nei tempi e con i costi previsti, pena la mancata attribuzione dei fondi europei.

Questa sommaria descrizione di alcune delle caratteristiche del RRF fa emergere che i paesi beneficiari devono comunque iscrivere a debito pubblico la parte dei finanziamenti europei percepita sotto forma di prestiti e dovranno contribuire – insieme agli altri stati membri della UE – al reperimento di risorse aggiuntive per coprire l’ammontare totale dei trasferimenti senza restituzione. Essa suggerisce anche che non tutti gli investimenti (pubblici e privati), necessari per la realizzazione della duplice transizione europea (‘verde’ e digitale), potranno essere coperti dal RRF o da altri programmi di NGEU. Fra il 2022 e il 2026, sarà necessario mobilizzare risorse aggiuntive pari a circa sei volte quelle offerte dal RRF; per di più, tali transizioni proseguiranno ben oltre il 2026 – anno in cui NGEU avrà termine. Ne deriva che i processi, innescati dalla temporanea e parziale centralizzazione della politica fiscale della UE, avranno l’effetto di accrescere – a parità di altre circostanze – il debito pubblico degli stati membri della UE.

Ciò crea un’evidente tensione con la permanenza di regole fiscali europee quali quelle attuali. Specie quei paesi della UE, che – come l’Italia – sono appesantiti da un pregresso ed eccessivo peso del debito pubblico sul PIL, non sarebbero in grado di soddisfare le sempre più complesse clausole del vecchio PSC e, in particolare, la riduzione annuale di un ventesimo della differenza fra l’effettivo rapporto debito pubblico/PIL e la soglia del 60%.

 

3.  La proposta, che è qui presentata e che riprende un contributo più analitico redatto nell’ambito di un Gruppo di lavoro sull’Europa della Fondazione Astrid, mira a rovesciare il precedente modo di leggere il rapporto fra RRF e le nuove regole fiscali. Anziché concentrarsi sugli attuali vincoli di spesa pubblica e sulle loro eventuali modifiche quantitative, si mirano infatti a valorizzare le indicazioni metodologiche che RRF può offrire per la redazione di nuove, semplici e più equilibrate regole fiscali che siano compatibili con i Trattati europei esistenti. Tre sono le indicazioni che, al riguardo, vanno sottolineate. 

La prima indicazione deriva dal fatto che l’attuazione dei PNRR si basa su rapporti bilaterali fra le istituzioni europee (e, in particolare, la Commissione) e ciascuno degli stati membri. Questi ultimi definiscono i progetti, che caratterizzano i loro PNRR, e si impegnano ad attuare le relative riforme e i relativi investimenti nei tempi e ai costi prestabiliti. D’altro canto, la Commissione europea verifica che ogni PNRR sia conforme ai criteri stabiliti nelle Linee Guida del RRF. Ciò implica che tali rapporti bilaterali devono soddisfare regole condivise ma, al contempo, possono lasciare spazio per accordi discrezionali e conformi alle esigenze dei singoli paesi. La proposta è di trasferire il metodo dei rapporti bilaterali anche alle nuove regole fiscali europee.

La seconda indicazione è di valorizzare proprio il fatto che, nell’ambito del quadro generale stabilito dalle Linee guida del RRF, i singoli paesi decidono come utilizzare i fondi offerti dal RRF mediante la redazione del loro specifico PNRR. Inoltre, i singoli stati membri della UE stabiliscono le modalità di attuazione di ciascuna iniziativa. Su questa base, la Commissione effettua il monitoraggio e la verifica che gli impegni assunti da ogni paese siano realizzati; e, solo dopo tale vaglio,essa procede all’effettivo trasferimento dei fondi europei previsti. Pertanto, seguendo un metodo analogo, si propone di fondare le nuove regole fiscali europee sulla redazione di Piani fiscali e strutturali nazionali (PFSN) che vanno disegnati nell’ambito dei rapporti bilaterali fra la Commissione e ciascuno degli stati membri della UE. E’ importante sottolineare che i PFSN sono vincolati da semplici regole fiscali accentrate (per esempio, le soglie massime del 3% nel rapporto deficit pubblico/PIL e del 60% nel rapporto debito pubblico/PIL indicate negli originari Trattati europei) ma, al contempo, sono declinati a livello di singolo stato membro; ed è altrettanto rilevante notare che, se ci si ispira all’impatto della verifica della Commissione nell’ambito dell’attuazione del PNRR, il mancato rispetto del PFSN può portare a sanzioni più stringenti di quelle oggi in vigore rispetto al PSC.

La terza indicazione è di utilizzare nelle nuove regole fiscali europee il metodo seguito per approvare il NGEU nell’ambito dei Trattati europei esistenti. In quel caso, è stato possibile attivare una capacità fiscale centralizzata in via temporanea, emettendo debito europeo e trasferendo le conseguenti risorse agli stati membri della UE sulla base di criteri redistributivi, perché è stato necessario fronteggiare eventi negativi straordinari (ossia, lo shock pandemico). La prolungata transizione ‘verde’ e digitale, già esaminata, e la gestione dei suoi impatti sociali determineranno situazioni altrettanto eccezionali in un lungo arco di tempo. Pertanto, la proposta è di incorporare nelle nuove regole fiscali la possibilità di creare ricorrenti fondi europei attribuendone la gestione e il controllo alla Commissione europea e al Consiglio della UE. Si tratta, in altri termini, di prevedere una sorta di ‘goldenrule’ per gli investimenti ‘verdi’ e digitali e per una quota fissa (rispetto a quegli investimenti) delle connesse spese di formazione delle risorse umane e di protezione sociale affrontate dai singoli stati membri. Una volta concordati con la Commissione e approvati dal Consiglio della UE, questi investimenti e spese potranno essere attuati senza aumentare né i deficit di bilancio né i debiti pubblici nazionali.

4. La combinazione fra la metodologia del NGEU e la costruzione delle nuove regole fiscali europee, qui delineata, solleciterebbe molti approfondimenti. Per esempio, ci si dovrebbe chiedere se sia o meno opportuno forzare il cambiamento della specifica quota delle due regole quantitative che si intendono qui mantenere, non foss’altro perché sono previste dai Trattati europei: la soglia massima del 3% nel rapporto deficit pubblico/PIL, in situazioni normali, e la soglia massima del 60% nel rapporto debito pubblico/PIL, da raggiungere a un ritmo adeguato. Nella proposta di Astrid già citata (cfr. n. 1), non si sollecita la modifica di quelle soglie perché non si ritiene efficace spendere molti sforzi (molto ‘capitale politico’) per complessi aggiustamenti quantitativi che, pur non richiedendo modifiche dei Trattati, dovrebbero comunque basarsi sul voto unanime di tutti gli stati membri della UE. Si preferisce invece insistere sul fatto che i paesi, che prendono le mosse da rapporti non allineati a quelle soglie, seguono percorsi specifici di aggiustamento di medio o lungo periodo da concordare nell’ambito dei contratti bilaterali stipulati con la Commissione e con il Consiglio della UE.

Qui non è possibile entrare in ulteriori dettagli. Basti concludere con tre notazioni. La prima è che il vantaggio della proposta, qui avanzata, risiede nella combinazione fra regole fiscali rigorose e rispetto della specificità dei singoli stati membri; il che contribuisce a quell’equilibrio fra regole e discrezionalità istituzionale in un quadro di contratti bilaterali che, a mio avviso, costituisce l’ingrediente essenziale per una positiva evoluzione della governance economica europea. La seconda notazione è che l’uso della metodologia di NGEU per ridisegnare le regole fiscali europee diventa accettabile, nella misura in cui è ragionevole scommettere sul successo del RRF e dei connessi PNRR. La terza notazione è che tale scommessa si basa su una condizione imprescindibile: il maggior beneficiario dei fondi europei in esame, ossia l’Italia, deve dare una prova concreta della sua capacità di attuare le parti previste del nostro PNRR nel corso del 2022. Il che non sarebbe certo fattibile in un quadro di incertezza e instabilità politico-istituzionale.

 

*Professore Dipartimento di Economia e Finanza, Università LUISS 

 

 

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