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Giornata della Memoria: una riflessione sulla SHOAH

27 gennaio 1945. I soldati dell’Armata Rossa sovietica liberarono il campo di concentramento tedesco di Auschwitz, ad ovest di Cracovia, nel sud della Polonia. Mentre si avvicinavano, le SS iniziarono l’evacuazione. Circa 60 mila prigionieri furono costretti a marciare verso ovest, la maggior parte, per lo più ebrei, verso la città di Wodzislaw nella parte occidentale dell’Alta Slesia. Migliaia di persone furono uccise in fretta nei giorni precedenti, il più possibile. Durante la marcia della morte le SS spararono a quelli che, stremati, non potevano continuare a camminare. 

Gennaio, gelo, fame. Morirono in più di 15 mila. Quando entrò, settant’anni fa, l’esercito sovietico trovò e liberò oltre 7 mila sopravvissuti, malati e moribondi. Si stima che circa 1,3 milioni di persone siano state deportate ad Auschwitz tra il 1940 e il 1945. Di queste, almeno 1,1 milioni sono state assassinate.

Dal 1933, con la creazione del primo campo di concentramento di Dachau, al 1945, 6 milioni di ebrei vengono sterminati dall’orrore demoniaco del nazismo (senza dimenticare le altre vittime: omosessuali, disabili, rom, sinti, oppositori politici, testimoni di Geova, clochard, ecc.). La Shoah è il “cuore di Tenebra” dell’occidente, nasce all’interno del brodo di coltura dell’antigiudaismo e antisemitismo che ha attraversato nei secoli l’occidente. Certo la follia criminale nazista aggiungeva il razzismo e la cultura del sangue “ariano”.

L’infernale “macchina” del lager serviva non solo allo sterminio ma anche alla creazione, alla mutazione cioè, dell’essenza della natura umana: ovvero la creazione del sub-uomo (esseri inferiori e tali erano considerati gli ebrei) cui i “superuomini” nazisti potevano esercitare ogni sopruso e umiliazione. Quelli, dunque, che non erano “ariani” erano solo “larve umane”, manichini inermi.

Questo era lo scopo dell’ordine del terrore nazista, centrato sul lager. La Shoah quindi svela alla radice di quale crudeltà è capace l’uomo, a che livello di abiezione può spingersi l’uomo: ridurre il suo simile a bestia.

L’”ordine” sociale del lager era un “ordine” gerarchizzato al massimo. Era un “ordine” del tutto rovesciato rispetto alla normalità: in cima alla gerarchia c’erano i più malvagi.

La Shoah, quindi, pone interrogativi enormi sulla natura dell’uomo e della cultura dell’occidente.

Ora “La banalità del Male” di Auschwitz, per dirla con Hanna Arendt, pone interrogativi abissali , in particolar modo, ai credenti nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e di Gesù di Nazareth. Tutta la “teodicea” è messa in discussione. Voltaire, nel suo cinismo filosofico contro Leibniz, con sarcasmo poteva affermare che “Lisbona è affondata e a Parigi si balla”. Ma come scrive Theodor Adorno: se Lisbona rappresenta i disastri che la natura compie ai danni dell’uomo, ed oggi sappiamo quanto questi disastri dipendano anche dal comportamento umano, Auschwitz, che “prepara l’inferno reale sulla terra”, pone interrogativi così radicali da sconvolgere sia il teologo che il filosofo: “Dov’era Dio mentre milioni di innocenti ebrei venivano sterminati?”

E’ l’interrogativo che si poneElie Wiesel, nel suo libro La Notte:

Dietro di me sentii lo stesso uomo chiedere: Dov’è Dio adesso?

E udii una voce dentro di me rispondergli: Egli è qui – Egli è appeso qui su questa forca.

Questo è l’evento centrale del libro: la morte letterale di Dio. Altre domande sorgono in questo libro:

Sia benedetto il nome di Dio? Perché, ma perché io avrei dovuto benedirlo? Ogni fibra di me si ribellava. Perché Egli aveva condannato migliaia di bambini a bruciare nelle Sue fosse comuni? Perché aveva continuato a far funzionare sei forni crematori giorno e notte, inclusi lo Shabbat e i giorni santi? Perché con la sua forza aveva creato Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? Come potevo dirgli: Benedetto sei tu, onnipotente, Signore dell’Universo, che ci hai scelti fra tutte le nazioni ad essere torturati giorno e notte, per vedere come i nostri padri, le nostre madri, i nostri fratelli finiscono nei forni? […] Ma ora, non ho più supplicato per nulla. Non ero più in grado di emettere un lamento. Al contrario, mi sentivo molto forte. Io ero l’accusatore, Dio l’imputato!”

Sono domande radicali, angoscianti, che pongono al-limite la riflessione umana di un credente.

Tra i più importanti pensatori tedeschi, il teologo Jurgen Moltmann, è stato quello che più ha riflettuto su Auschwitz: La nozione tradizionale di una “motore immobile” impassibile, era morto in quei campi e non era più sostenibile. Moltmann propone invece un “Dio crocifisso”, che è un Dio “sofferente” e anche “protestante“. Vale a dire, Dio non si distacca dalla sofferenza, ma entra volontariamente nella sofferenza umana con compassione.

Dio in Auschwitz e Auschwitz nel Dio crocifisso” .

Ciò è in contrasto sia con l’iniziativa del teismo che giustifica le azioni di Dio, e sia con l’iniziativa dell’ateismo che accusa Dio. La “teologia trinitaria della croce” di Moltmann afferma invece che Dio è un Dio che protesta e si oppone agli “dei di questo mondo” di potere e di dominio, entrando nel dolore umano e soffrendo sulla croce e sul patibolo di Auschwitz.

Un Dio “sovversivo” che chiede al credente di battersi radicalmente contro gli inferni di quaggiù, in questa opera noi, come ci insegna Etty Hillesum, la giovane donna ebrea che insieme ad Edith Stein e Simone Weil rappresentano le luminose figure della mistica femminile di radice ebraica e cristiana contemporanee, “aiutiamo Dio” ad essere ospitato nel cuore dell’uomo.

Ma Auschwitz, come scrive un altro pensatore tedesco Johnann Baptist Metz (anche lui teologo), pone ancora altre domande: “La domanda teologica dopo Auschwitz non è solamente: dove era Dio ad Auschwitz? Ma è anche: dove era ad Auschwitz l’uomo? Come si potrebbe credere nell’uomo, o perfino nell’umanità, quando si dovette sperimentare ad Auschwitz di che cosa «l’uomo» è capace? Come continuare a vivere tra gli uomini? Che cosa sappiamo noi della minaccia all’umanità dell’uomo, noi che abbiamo vissuto voltando le spalle a questa catastrofe o che siamo nati dopo di essa? Auschwitz ha ridotto profondamente il limite di pudore metafisico tra uomo e uomo. A questo sopravvivono solo coloro che hanno poca memoria o coloro che sono riusciti bene a dimenticare che hanno dimenticato qualcosa. Ma nemmeno questi restano illesi. Non si può peccare quanto si vuole contro il nome dell’uomo. Non solo l’uomo singolo, anche l’idea dell’uomo e dell’umanità è profondamente vulnerabile. Solo pochi collegano ad Auschwitz l’attuale crisi d’umanità: l’insensibilità crescente di fronte a diritti e valori universali e grandi, il declino della solidarietà, la furba sollecitudine nel farsi piccoli pur di adattarsi a ogni situazione, il rifiuto crescente di offrire all’io dell’uomo una prospettiva morale, eccetera. Non sono tutte scelte di sfiducia contro l’uomo? La catastrofe che è stata Auschwitz costituisce forse una ferita inguaribile?“ 

 

«E se anche l’attuale crisi d’umanità – conclude Metz-fosse figlia della ferita inguaribile del lager?» (Vedi: http://www.landino.it/2011/01/johann-baptist-metz-«la-shoah-e-entrata-tardi-nella-teologia»/)

 

dal sito:http://confini.blog.rainews.it

 

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