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Lavoro minorile, fenomeno complesso

Il  tema  del  lavoro  minorile  è  stato  posto  al  centro  di  una  recente  indagine (nota 1)  condotta dall’Associazione B. Trentin e dalla Onlus Save the Children Italia, i cui primi risultati sono stati illustrati in un dossier dal titolo “Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia”.

Seppur muovendo dentro i confini di un fenomeno ampio, articolato, multiforme, caratterizzato dalla presenza di molteplici aspetti su cui non è semplice far chiarezza, l’indagine fornisce interessanti spunti di riflessione, non solo di carattere quantitativo.

Le  considerazioni  espresse  nel  rapporto  descrivono,  infatti,  la  geografia  di  un  fenomeno  non monitorato, spesso oggetto di stereotipi e facili semplificazioni, lasciando sullo sfondo una serie di fattori e motivazioni che evidenziano invece “ (…) quanto sia necessario declinare al plurale la questione e quindi mettere in luce i temi e le problematiche che contribuiscono a creare determinati percorsi di vita. Parliamo, pertanto, di un fenomeno complesso che taglia trasversalmente non poche dimensioni: l’istruzione, la salute, il mercato del lavoro, la sicurezza sociale, la crescita economica, la distribuzione del reddito e quindi la povertà economica e culturale dei territori e delle famiglie di appartenenza” (p. 10).

La portata del fenomeno è analizzata a partire dalla ricostruzione di una mappatura dei livelli di rischio (nota 2) di lavoro minorile che caratterizzano le diverse aree del Paese, dalla quale emergono livelli di rischio elevati (aree in cui il colore rosso è più intenso) soprattutto nelle province del Sud e delle Isole. 

Figura 1 – Il rischio del lavoro precoce nelle Province italiane 

Fonte: Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia

Rispetto alla dimensione strettamente quantitativa del fenomeno, il numero dei minori (con meno di 16 anni) che hanno maturato esperienze di lavoro in Italia ammonta, stando alla stima riportata nel dossier, a circa 260.000 minori: il 5,2% della popolazione compresa nella fascia di età che va dai 7 ai 15 anni, con un’incidenza percentuale minima tra i minori di età inferiore agli 11 anni, prossima al 3% tra gli 11-13enni e con un picco nella classe 14-15 anni (il 18,4%).

Guardando con particolare attenzione alle esperienze di lavoro maturate dai minori compresi nella classe di età “14-15” anni, quasi il 75% di essi (3 ragazzi su 4) dichiarano di lavorare per la famiglia, aiutando i genitori nelle loro attività professionali (41%), nella gestione di piccole e piccolissime imprese a conduzione familiare, oppure supportando i genitori nella gestione del lavoro domestico (33%) attraverso forme di collaborazione che per tipologia di attività, quantità/intensità dell’impegno e interferenza con la scuola sono ascrivibili al lavoro domestico e/o di cura. Il restante 26% si distribuisce in misura equivalente tra chi lavora nella cerchia dei parenti e degli amici (12,8%) oppure per altre persone (13,8%).

Figura 2 – Le esperienze dei 14-15enni

 

Fonte: Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia

Il 18,7% dei 14-15enni supporta l’attività lavorativa della famiglia nel settore della ristorazione (lavorando come barista, cameriere, aiuto cuoco, aiuto in pasticceria o nei panifici…); il 14,7% nel settore della vendita (commesso e/o aiuto generico); il 13,6% in attività in campagna che includono l’aiuto sia nella coltivazione (raccolta, attività da bracciante…), sia nel lavoro con gli animali (allevamento, maneggio…).

Tabella 1 – Tipologia di attività

 

Fonte: Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia

 

Rispetto alle caratteristiche delle attività svolte, oltre il 40% dei 14-15enni (che lavorano) è impegnato in attività occasionali, di brevissima durata (al  massimo 10 giorni in un anno) o di breve durata (fino a un mese all’anno).

Il 25% (1 ragazzo su 4) svolge attività regolari, di lunga durata (da oltre 6 mesi ad 1 anno). Circa il 40% lavora “qualche volta a settimana” fino a 2 ore al giorno, mentre svolgono lavori più impegnativi quei ragazzi che sono occupati per “oltre 5 ore” al giorno (24%) o più o meno tutti i giorni della settimana (26%).

Circa il 45% dichiara di ricevere denaro per il proprio lavoro, soprattutto nel caso in cui il lavoro svolto vada a supportare i genitori nella gestione di attività familiari, ma 1 minore su 3 dichiara di percepire “qualche difficoltà” nel conciliare l’attività di studio e gli impegni di lavoro: il 23% dei minori che svolge un lavoro di “media intensità” trova infatti stancante conciliare attività di studio e di lavoro, mentre l’11% di essi valuta l’impegno occupazionale troppo impegnativo e, pertanto, si dichiarano costretti in alcuni casi a dedicarsi solamente all’attività lavorativa. Inoltre, i ragazzi che lavorano segnalano di avere meno tempo per divertirsi, stare con gli amici, fare sport o semplicemente riposare.

Tabella 2 – Conciliazione attività di studio e impegni di lavoro

 

Fonte: Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia

 

Le linee di tendenza appena riprese sono arricchite nel dossier da ulteriori riflessioni che vanno oltre la descrizione delle tipologie di attività svolte, l’intensità del tempo di lavoro e le interferenze che ostacolano il regolare procedere dei percorsi scolastici dei minori.

In questo quadro, l’identificazione delle condizioni legate ai contesti familiari e sociali in cui i minori vivono rappresenta senz’altro una prospettiva rilevante da cui osservare l’intreccio tra lavoro minorile e processi di dispersione scolastico-formativa, esclusione e marginalizzazione sociale.

La  seconda  parte  dell’indagine,  di  carattere  strettamente  qualitativo,  riprende  e  approfondisce queste  tematiche,  lasciando  emergere  considerazioni  che  rafforzano  il  quadro  sopra  descritto, ribadendo come il lavoro minorile sia espressione di una pluralità di fattori, “ (…) singole realtà o di singoli episodi determinati (…)”, citando quanto evidenziato nel dossier.

Il lavoro minorile resta, infatti, una questione sociale che va interpretata in ragione di una serie di macro-fattori. Tra questi, senza dubbio la famiglia ricopre un ruolo fondamentale nel processo, anche se non rappresenta l’unico aspetto da considerare. Essa assume un peso specifico nelle dinamiche  di  inserimento  lavorativo  del  minore  (anche  quando  non  direttamente  coinvolta), soprattutto  nel  caso  in  cui  il  minore  viene  privato  di  un  ambiente  che  “  (…)  sia capace di trasmettere l’idea che nella vita si possa scegliere, si possa valutare cosa fare e quale percorso intraprendere”. A ciò vanno aggiunti gli effetti prodotti (anche sulle famiglie stesse) dalla crisi economica,  che  ha  contribuito  a  innescare  meccanismi  che  spingono  i  minori  alla  ricerca  di un’occupazione per incrementare il reddito familiare, consolidando prassi divenute consuete anche in contesti non toccati da condizioni di marginalità sociale e povertà. Questi ultimi aspetti legati alle dimensioni di povertà e marginalità sociale sono menzionati nel rapporto come ulteriori fattori che incidono sulla diffusione del lavoro minorile: “(…) crescere e vivere in contesti caratterizzati da carenze e mancanze di servizi pubblici, di zone ricreative, di spazi educativi, di ambienti curati e piacevoli consolida nei minori la percezione di vivere in contesti segnati da condizioni immutabili, nei  quali  è  difficile  maturare  scelte  o  alternative  diverse  da  quelle  legate  al  perpetrarsi  di condizioni di marginalità e incertezza personale e sociale” (p.14).

 

nota 1. Per approfondimenti  di carattere metodologico  si rimanda alla lettura del paragrafo introduttivo  alla ricerca in cui è presentata in dettaglio la struttura metodologica dell’indagine.

nota 2. Nell’analisi  sono stati individuati  cinque livelli di rischio, di seguito brevemente  ripresi. Un livello di rischio molto basso è stato riscontrato in alcune aree metropolitane del centro-Nord (es. Roma e Milano) o in alcune province ricche del Nord; un livello di rischio basso copre la maggior parte delle province del Nord; un rischio medio appare diffuso in modo sparso sempre in alcune province del centro-Nord e in una provincia della Sardegna; un livello di rischio alto, riscontrato  in particolar  modo  nelle  province  del  Sud  e delle  Isole,  con  qualche  presenza  al centro  (es.  Teramo  e Grosseto)  e al Nord (es. Imperia);  infine, un livello di rischio molto alto, concentrato  nelle province delle Isole e in particolare in Sicilia in alcune zone del Sud (es. Foggia, Vibo Valentia).

 

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