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Il lavoro è più stabile, a perdere terreno è l’apprendistato

Il Ministero del Lavoro pubblica periodicamente i dati sui rapporti di lavoro, tratti dal Sistema Informativo delle Comunicazioni Obbligatorie (SISCO), che costituisce una banca dati estremamente ampia ed attendibile (prese le dovute cautele) sull’evoluzione della situazione lavorativa nel nostro Paese. Il 23 aprile sono stati pubblicati i dati di marzo 2015, che aprono alcuni interessanti spunti di riflessione circa l’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali e gli effetti che stanno producendo le recenti riforme del mercato del lavoro.

Innanzitutto una buona notizia: le attivazioni di nuovi contratti di lavoro nel mese di marzo 2015 sono incrementati (+3,5%) rispetto allo scorso anno e al contempo si sono ridotte le cessazioni (-1,6%), di conseguenza il saldo tra avviamenti e cessazioni è quasi raddoppiato, come si può notare dalla successiva tabella.

 

Tabella 1 – Avviamenti, Cessazioni e Saldo di contratti di lavoro: Marzo 2015 e Marzo 2014. Valori assoluti e incidenze percentuali.

 

mar-15

mar-14

Differenza 14/15

%

avviamenti

641.572

620.032

21.540

3,47%

cessazioni

549.273

558.366

-9.093

-1,63%

Saldo avv./cess.

92.299

61.666

30.633

49,68%

Fonte: elaborazione ANL su dati MLPS-SISCO

 

Nello specifico, aumenta il peso specifico del contratto a tempo indeterminato: nel mese di marzo la percentuale di attivazioni sul totale sale al 25,3% (un anno fa era al 17,5%), segno che un nuovo contratto su quattro è di tipo “standard”, ovvero non a termine. E’ sicuramente una buona notizia che spinge a pensare che il mix di decontribuzione triennale e di tutele  crescenti (in vigore dal 7 marzo, quindi con una ricaduta parziale su questi numeri) stia producendo effetti concreti.

La conferma che si tratta di posti di lavoro “reali” e non di semplici registrazioni di natura amministrativa viene dall’analisi sulle cessazioni, che fanno registrare per i contratti a tempo indeterminato una diminuzione sia in termini assoluti (131.128 a marzo 2015 rispetto a 144.839 di un anno fa), sia in termini di incidenza percentuale rispetto al totale delle cessazioni (23,9% a marzo 2015, in flessione rispetto al 25,9% del 2014). In altre parole, i posti di lavoro a tempo indeterminato sono complessivamente di più e al contempo diminuisce l’emorragia di licenziamenti dovuti alla crisi.

Il lavoro, quindi, sembra diventare più stabile. Lo conferma anche il dato sulle trasformazioni di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, che sono raddoppiate nel mese di marzo 2015 rispetto allo stesso mese del 2014 (erano 22.116 a marzo 2014 contro le attuali 40.034). Questo giustifica anche il leggero calo di attivazioni a tempo determinato nel mese di marzo 2015, che comunque rimane la tipologia di contratto più utilizzata in assoluto: quasi il 60% di tutti i contratti rientrano infatti all’interno di questa fattispecie.

 

Tabella 2 – Attivazioni di nuovi contratti di lavoro Marzo 2015 e Marzo 2014. Valori assoluti e incidenze percentuali. 

Fonte: MLPS-SISCO

 

A fronte di una crescita notevole dei contratti a tempo indeterminato si registra una flessione sia delle collaborazioni che dell’apprendistato.

Per quanto riguarda le collaborazioni, il dato non presenta sorprese, poiché esse scontano sia le rigidità introdotte dalla riforma Fornero del 2012 sia le limitazioni introdotte dal Jobs act, in cui viene confermata una presunzione assoluta di subordinazione nei confronti dei collaboratori “fasulli”. L’obiettivo di limitare l’abuso di lavoro subordinato mascherato da collaborazioni è sicuramente giusto e condivisibile, tuttavia bisogna evitare ora il rischio di eliminare con un’eccessiva rigidità anche opportunità di lavoro genuinamente di tipo collaborativo, che possono produrre valore aggiunto in termini di flessibilità positiva sia alle imprese che ai lavoratori coinvolti.  

Meno comprensibile invece il dato relativo all’apprendistato, che sulla carta dovrebbe essere il principale strumento di accesso dei giovani al mondo del lavoro, mentre nella realtà risulta quasi in disuso, visto che è passato da un già misero 3,4% di marzo 2014 all’attuale 2,6% (in questo il decreto Poletti del 2014 non sta avendo un effetto positivo). E’ possibile che questa forma contrattuale sia cannibalizzata dalle nuove tutele crescenti, fortemente incentivate anche in termini economici, per cui bisognerà forse rendere l’apprendistato più appetibile al mondo imprenditoriale sia attraverso un’ulteriore semplificazione dell’istituto che mediante forme di incentivazione di tipo economico (decontribuzione, sgravi fiscali, ecc).

 

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