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L’automatismo delle pensioni non è un diritto acquisito

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa introdotta dal decreto “Salva Italia”, che aveva fissato il blocco della perequazione automatica su tutti i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo Inps e nel biennio 2012 – 2013. 

La sentenza ha fatto piena applicazione di una linea interpretativa costante adottata sia da se medesima, sia dalla Corte di cassazione, riguardante l’applicazione dell’istituto della rivalutazione monetaria. Istituto questo che, come noto, ha il fine di garantire l’adeguatezza delle prestazioni successivamente alla loro prima liquidazione, in applicazione dei principi di solidarietà ed eguaglianza.

L’istituto si pone all’interno della tutela costituzionale apprestata dall’art. 38.2 in favore dei lavoratori, allorché il legislatore costituente usa il sintagma “mezzi adeguati”.

 La Corte costituzionale ha ritenuto che “dal principio enunciato nell’art. 38 Cost. non può farsi discendere, come conseguenza costituzionalmente necessitata, quella dell’adeguamento con cadenza annuale di tutti i trattamenti pensionistici. E ciò, soprattutto ove si consideri che le pensioni incise dalla norma impugnata, per il loro importo piuttosto elevato, presentano margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo. L’esigenza di una rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario è, dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di più basso importo.”.

A contrario si deve ritenere che la rivalutazione quale istituto di garanzia del potere di acquisto dei trattamenti pensionistici rientri nel concetto di “mezzi adeguati” e che lo stesso possa essere graduato nella sua applicazione a secondo della “forza economica del pensionato”. 

Sempre la Corte costituzionale, nella successiva sentenza n. 316/2010, riconobbe da un verso meritevole il fine perseguito dal legislatore, di concorso al riequilibrio delle conseguenze finanziarie indotte dall’eliminazione del cd. scalone.

Nel quadro sin qui sommariamente delineato si innerva la decisione in commento che appare in linea con il trend interpretativo, in assenza del nuovo testo dell’art. 81 della Carta costituzionale; l’unica differenza di non poco conto è che il risultato è stato opposto a quello avutosi con lo scrutinio della precedente legge in tema di blocco della perequazione automatica, comportando ovviamente dei costi per l’erario.

In questa decisione, la Corte ha pertanto correttamente ritenuto che il blocco biennale della rivalutazione pensionistica per i trattamenti pensionistici superiori a tre volte la pensione minima era illegittimo costituzionalmente; per  non avere il legislatore del 2011 individuato, al pari delle precedenti leggi che avevano fissato il blocco delle pensioni, delle fasce di reddito all’interno delle quali modulare in maniera differente la percentuale di rivalutazione monetaria da riconoscere per ciascun anno.

Il giudice delle leggi, una volta espunta dall’ordinamento la norma sottoposta al suo vaglio, ha però indicato al legislatore qual’era la strada da seguire non per garantire a tutti i pensionati e nella stessa misura la rivalutazione monetaria, bensì per garantire in maniera e in misura differente tale diritto ai pensionati a seconda delle fasce di reddito alle quali gli stessi appartengono.

La sentenza, nonostante si lamenti che abbia dimenticato la regola della parità di bilancio, ha indicato al legislatore un percorso che non deve condurre, come spesso accaduto allorché era necessario attuare dei risparmi di spesa o reperire immediate risorse economiche, al sacrificio dei diritti di sicurezza sociale. 

Il pareggio di bilancio non conduce sempre e comunque a tale risultato; obbligo del legislatore infatti è quello di individuare, in un sistema di equilibrio non statico, una scala di priorità degli obiettivi da perseguire e dei diritti eventualmente da sacrificare, in toto o pro parte. Percorso di valutazione che deve essere il più possibile alla luce del sole, al fine di consentire alla Corte costituzionale di valutare lo stesso ai fini del vaglio di costituzionalità e ben potendo accadere, sempre e comunque che questa dichiari illegittima la norma espressione di tale percorso.

Siffatta ricostruzione, si osservi, non conduce, come da alcune parti affermato, alla tutela di un concetto ormai desueto del diritto quesito. Infatti è la stessa Corte, nella sentenza n. 70 e nelle precedenti, a riconoscere, nel rispetto dei parametri dalla stessa individuata, il sacrificio, totale o parziale, del diritto di sicurezza sociale, per garantire il sistema medesimo e quindi anche il patto tra generazioni che lo sorregge.

Il legislatore dopo la sentenza è intervenuto, con decreto legge, fissando i parametri di applicazione della rivalutazione nel biennio 2012-2013, ma altresì sterilizzando per gran parte l’effetto della stessa per gli anni successivi. Questa sterilizzazione dell’effetto economico della rivalutazione riconosciuta per il biennio menzionato per gli anni successivi e quindi sul trattamento pensionistico a regime appare un sistema di aggiramento del dictum della Corte e parrebbe opportuno meditare se tenerlo o meno al momento della conversione del decreto legge.

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