I migranti continuano a morire a centinaia, in mare o in terra, sotto reticolati ignobili, dentro tunnel o ammassati come bestie nel fondo di un Tir, per l’avidità di delinquenti senza scrupoli e l’egoismo di una Europa che ha dimenticato il suo recente passato di emigrazione ed il presente di deficit demografico.
Con una natalità al disotto del punto di equilibrio, 2 figli per donna, i nostri paesi tutti, dalla Gran Bretagna alla Germania, dall’Italia alla Spagna, sono ancora economicamente in piedi solo grazie agli immigrati degli ultimi decenni.
Matteo Renzi, parlando al meeting di Comunione e Liberazione ha detto che “il berlusconismo, ma anche l’anti berlusconismo ha schiacciato per venti anni il tasto “pausa”della crescita dell’Italia”. L’impoverimento del dibattito politico intorno al tema “Berlusconi Si, Berlusconi No” può essere stata una delle cause della decennale bassa crescita del Pil italiano, ma non è la prima causa. La prima causa della non crescita sono i “bambini mai nati”, come dimostrano tutte le statistiche mondiali, che vedono in testa alle classifiche della bassa crescita del Pil tutti paesi a bassa natalità, Giappone, Italia, Spagna e anche Germania.
Sino al 1975, in Italia nasceva un milione di bambini l’anno , da allora ne nasce la metà e dagli anni novanta, quando gli effetti della bassa natalità hanno cominciato a farsi sentire anche la crescita economica è fortemente rallentata.
Discorso simile vale per Germania, Spagna e Giappone, la cui crescita media del Pil negli ultimi 15 anni non ha superato l’1%. Giappone ed Italia sono i paesi a più bassa natalità del mondo, 1,4 figli per donna e quindi sono anche i più vecchi, Giappone età media 46 anni, Italia 44,5. Il dato che pesa di più sull’economia di questi paesi è l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra gli ultrasessatacinquenni e la popolazione in età da lavoro, 15-64 anni. Quando l’indice di vecchiaia supera il 30%, cioè il numero di anziani supera il 30% della forza lavoro potenziale, il sistema economico va in sofferenza per la crisi contemporanea di 4 subsistemi: il sistema sanitario, il sistema pensionistico, la domanda di beni e servizi, l’offerta di lavoro.
I costi della sanità di vecchi ed anziani sono molto superiori a quelli dei giovani, un sistema pensionistico fallisce quando il numero di anziani rispetto ai giovani è troppo elevato, la domanda di beni e servizi di una popolazione anziana è inferiore a quella di una più giovane ed infine un’offerta di lavoro anziana è meno produttiva di un’offerta di lavoro giovane.
Le Nazioni Unite hanno diffuso un rapporto con previsioni di popolazione mondiale al 2100 ed i dati per l’Europa, continente a più bassa natalità e quindi più vecchio del mondo, vanno letti ed attentamente meditati in parallelo con altri dati di cui in questi giorni sono pieni le cronache, le migrazioni dal Sud del mondo.
A luglio la terra ha raggiunto i 7,3 miliardi di abitanti che saranno 8,5 miliardi nel 2030 e 9,5 nel 2050, una crescita inferiore a quella passata per una ridotta natalità. Se oggi il 60% della popolazione vive in Asia, il 16% in Africa, il 10% in Europa, il 9% in America latina e nei Caraibi ed il restante 5% in Nord America ed Oceania, queste percentuali si modificheranno rapidamente a favore dell’Africa ed a sfavore dell’Europa. Più di metà della crescita della popolazione globale sarà in Africa mentre l’Europa è il continente che ridurrà di più la popolazione in assoluto ed in peso relativo e che per questo vedrà “le più forti ondate immigratorie”. “Tra il 2015 ed il 2050 tra i paesi che riceveranno più di 100mila migranti all’anno –prevede l’ONU- c’è anche l’Italia, insieme a USA, Canada, Gran Bretagna, Australia, Germania e Russia. I paesi a più alto tasso di emigrazione, con più di 100 mila partenze all’anno, saranno Cina, India, Bangladesh, Pakistan e Messico”.
Poiché più di metà della crescita di popolazione mondiale sarà in Africa, mentre l’Europa sarà il continente a più rapida riduzione di popolazione autoctona, l’ONU prevede che l’82% della crescita (piccola) della popolazione europea sarà dovuta alle migrazioni. Questo fenomeno l’abbiamo già visto in Italia dove, tra il 2000 e il 2010 la popolazione residente è cresciuta di 4 milioni –da 56 a 60 milioni- tutta da immigrazioni, dato il saldo demografico negativo tra nascite e morti degli italiani.
Le stesse previsioni, confermate dall’ISTAT, non appaiono rosee per il futuro del paese, anche in termini di crescita economica. Se l’Italia non riuscirà, con una nuova politica della natalità e della famiglia, a riportare a livelli più “decenti” il tasso di natalità, l’indice di vecchiaia – che passerà dall’attuale 33,3% al 36% nel 2020 e addirittura al 60% nel 2050 – rappresenterà una secca condanna per il futuro, anche economico, del paese. Dico di più, se non ci fossero stati i 4 milioni di immigrati del decennio 2000-2010 che hanno portato ad un ringiovanimento della popolazione, il nostro indice di vecchiaia sarebbe prossimo al 40% con sicuro fallimento dell’Inps, che ad oggi si giova invece di 11 miliardi di contributi netti l’anno da stranieri.
Perciò mi permetto di suggerire a Renzi, quando si batte giustamente per rimettere il paese nei binari di una crescita all’altezza del suo potenziale, di non dimenticare il problema della natalità e della famiglie. E mi permetto di suggerirgli di guardare con attenzione alle politiche pro famiglia seguite da molti paesi europei passati in pochi anni da tassi di natalità vicini ai nostri, 1,4 figli per donna, a valori ben più alti: Francia, 2 figli per donna, Olanda e Svezia 1,8 figli per donna.
(*) Presidente della società di business intelligence Onesis di Roma