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Le potenzialità e le volontà non ancora fanno corto circuito

Per il nostro Paese sembra profilarsi l’inizio di un nuovo ciclo che oltre a rivedere e soprattutto mantenere il segno positivo nelle  attese e negli  indicatori di crescita del Pil, vede riaperto e avviato un “cantiere di riforme” il cui segno, per espressa affermazione di chi le sta promuovendo, corrisponde alla necessità di mutamento di assetti consolidati, di maggiore innovazione, di recupero di quelle energie positive che nel passato hanno consentito all’Italia di collocarsi tra le prime potenze economiche del mondo.

I prossimi anni, cinque e non più di tanti, ci diranno quale sarà la corrispondenza tra le attese e le realizzazioni, tra i cambiamenti strutturali e la conservazione delle vecchie (care) abitudini e dei vecchi (e cari) centri di potere.

Di certo la pressione di fattori da anni in incubazione, tra i quali l’andamento demografico, i livelli occupazionali e in essi l’occupazione giovanile, la spesa pubblica e la sua composizione, la struttura produttiva del paese e il tasso di crescita della produttività, porta a ritenere che non è dato agire in funzione del breve periodo, anzi è deleterio.

Riguardo al tema previdenziale rimangono ancora molteplici interrogativi sull’assetto definitivo che si vuole dare al” sistema”.

Sintomatico rileggere quanto scriveva E. Fornero (Mulino 1999): L’eccessiva creazione di “debito previdenziale” finisce così per snaturare il nucleo di assicurazione intergenerazionale insito nella ripartizione e per trasformare il sistema in un generico programma di trasferimenti politici di risorse. 

Tale considerazione ci riporta all’oggi col ripresentarsi per l’lnps di ipotesi di finanziamento delle pensioni sociali con i fondi delle prestazioni pensionistiche avendo scoperto che l’Istituto corrisponde ad un ridotto gruppo di “ricchi” un reddito previdenziale di 5.000 € mensili.

Il punto è che il futuro della sostenibilità della spesa pensionistica rischia di saltare non solo per l’aumento del tempo di vita ma per il perdurare della compressione salariale (e di conseguenza contributiva) e di un tasso di occupazione tra i più bassi della zona euro. I problemi di equilibrio dell’Istituto non si risolvono con operazioni di contabilità: riduco qua, trasferisco là.

“Ove si guardi alla redistribuzione tra generazioni, classi di reddito e categorie professionali il sistema pensionistico per perseguire il suo scopo dovrebbe evitare di perseguire scopi assistenziali per i quali la risposta non può che essere data da trasferimenti pubblici originati da imposte progressive anziché con contributi da redditi da lavoro.

Sul piano equitativo minimi e massimi pensionistici preservano il sistema pubblico la capacità di redistribuire tra classi di reddito. L’adozione della formula contributiva per la determinazione della pensione eviterà redistribuzioni di tipo perverso.”

Il decisore politico ad iniziare con Amato nel 1993 per giungere a Fornero 2013 è intervenuto ripetutamente sull’assetto di sistema della previdenza obbligatoria e oggi la consapevolezza generale sui forti ridimensionamenti delle future prestazioni pensionistiche non ha visto lo stesso decisore e le parti in causa realizzare interventi e iniziative che potenziassero il secondo pilastro previdenziale.

Così che oggi si parla di sostenibilità del sistema di previdenza obbligatoria ma si trascura il problema della sostenibilità del reddito pensionistico futuro attraverso la realizzazione della funzione di sistema della previdenza complementare.

Uno strabismo stupefacente.

Situata in questo contesto l’ attuale condizione dei fondi di previdenza complementare chiede a tutti gli attori che vi operano quali siano le loro valutazioni e quali decisioni vanno intraprese sia con riguardo al loro scopo previdenziale, sia con riguardo al contributo al paese per sostenerne lo sviluppo. 

Quello della crescita della ricchezza prodotta e delle modalità con cui questo avviene va considerato un tema dirimente, atteso che cessi il paradigma falsamente etico/solidaristico che ha prodotto un mix perverso di redistribuzione/riduzione del welfare e insieme dei salari; senza questa speranza non varrebbe la pena di impegnarsi più di tanto e conseguentemente le decisioni e i comportamenti conseguenti rimarrebbero puramente simbolici, di “stile” come usa dire.

La crescita dunque resta uno dei pilastri fondamentali del paese che vorremmo e a questo fine è giusto chiedere ad ogni soggetto cosa intenda fare per favorirla.

Così posta la questione, la richiesta rivolta ai fondi pensione negoziali di contribuire attraverso la  politica di gestione finanziaria del proprio patrimonio ha ricevuto risposte di segno positivo. 

Questo potrebbe inoltre essere il tempo di rimediare agli errori, all’inerzia e al disimpegno del recente passato mutando la condizione attuale.

In pillole: i fondi pensione negoziali (e i loro dominus) nel dare una seria risposta alla richiesta è bene che richiariscano i ruoli e gli impegni dei diversi attori riguardo al futuro della previdenza complementare e al ruolo della contrattazione collettiva. 

In questa chiave serve oggi una lettura realistica della previdenza complementare in generale e nello specifico della Pubblica Amministrazione di cui rappresenteremo più avanti un breve e non completo quadro.

Innanzitutto va riconosciuto da tutti come, rispetto alle attese e alle previsioni sulla diffusione della previdenza complementare, trascorsi quasi vent’anni, i risultati siano ben lontani e deludenti dalle premesse iniziali e riconoscano che il peso delle forme di origine contrattuale nel giro di pochi anni ( a partire dal 2005) è divenuto minoritario rispetto alle forme privato – individuali e prendano atto che il numero delle adesioni ai fondi negoziali è rimasto sostanzialmente fermo  a partire dall’inizio della crisi finanziaria mondiale del 2008 che di suo ha accentuato una fase discendente che si stava già manifestando.

Alla fine del 2014, i dati sulle adesioni alla previdenza complementare vedevano 2.600.000 aderenti dei quali 650.000 preesistenti alla riforma  Amato del 1993.

Nel contempo le forme private erano arrivate a sommare 3.870.000 aderenti dei quali 500.000 da piani individuali precedenti al 2005.

Dati Covip indicano per tutte le forme  di previdenza complementare  incluse quelle private una età media degli aderenti tra i 44 e i 47 anni.  Questa informazione ci indica  quale potrebbe essere la durata in vita dei fondi pensione in assenza di ricambio  uscite/ingressi ed  in particolare il non risolto  tema della partecipazione  delle giovani generazioni al lavoro oggi pressochè assenti tra gli aderenti.

Riguardo al tasso di partecipazione alla previdenza complementare  di origine contrattuale post legge 124/93 nell’area del lavoro dipendente, sempre Covip indicava come su una platea di 1.950.000 aderenti, il 18% dei fondi censiti registrava un tasso di adesione superiore al 60% degli addetti, un altro 18% registrava un tasso medio del 40% mentre tutti gli altri si situavano tra il 20 e l’1%. Si consideri che per la gran parte questi risultati di partecipazione sono stati realizzati nei primi 5 anni di vita dei fondi. In tale contesto la Pubblica Amministrazione si posiziona tra  l’1 e l’8%.

Ad oggi, nei fatti si erogano quasi esclusivamente prestazioni in capitale e le quantità contributive che vengono apportate a capitalizzazione, segnatamente nel sistema privato ma anche nel sistema dei fondi negoziali, sono di dimensioni risibili ove manchino quote significative di trattamento di fine rapporto.

Una condizione come quella delineata non consente nessun elemento di certezza per il futuro del medio periodo.

Pubblico Impiego e previdenza complementare.

La “riforma Dini” del 1995 ha dato un decisivo  impulso alla realizzazione per via contrattuale dei fondi nazionali di previdenza delle categorie del lavoro dipendente.

Dal 1997 chimici e metalmeccanici  per primi e a seguire  le altre categorie del lavoro privato hanno contrattualmente costituito i fondi nazionali di riferimento.

Diverso l’iter costitutivo  e diversi i tempi per i dipendenti della Pubblica Amministrazione per i quali le attese  in termini di adesioni attese  potevano essere piuttosto ottimistiche avendo a mente  le realtà consolidate  degli altri paesi dell’area OCSE.

Preceduto nel luglio del 1999 da un accordo interconfederale tra ARAN (Agenzia di rappresentanza della P.A. per la contrattazione) e sindacati confederali, il DPCM del dicembre 1999 ne recepiva i contenuti disciplinando nel dettaglio l’estensione del trattamento di fine rapporto (tfr) al personale assunto dal gennaio 2001  ed il finanziamento della previdenza complementare.

Il legislatore è intervenuto ulteriormente in tempi successivi nello specifico della P.A.  (anni 2000, 2001, 2008, 2009) .

Sulla base degli orientamenti previsti dal citato accordo interconfederale il lavoro dipendente contrattualizzato (esistono circa 770.000 dipendenti delle P.A. non contrattualizzati : forze dell’ordine, magistrati, prefetti, ricercatori) fu ripartito in tre grandi aree di riferimento : Scuola (con esclusione della Università) ,  Sanità ed Enti Locali, dipendenti delle Amministrazioni Centrali e Università.

I tempi realizzativi  dei tre fondi citati  risultano  decisamente distanziati da quelli del settore privato e ciò ha contribuito assieme a fattori intrinseci al rapporto di lavoro (segnatamente il trattamento di fine servizio) a  determinare un atteggiamento meno favorevole  della popolazione di riferimento, visto anche il mutare nel corso del tempo del contesto favorevole alla previdenza complementare  di natura contrattuale.

Il fondo della Scuola Espero, che per primo fu costituito dalle parti,  ha redatto il primo bilancio di esercizio nel 2003 e ha approvato l’undicesimo bilancio di esercizio nel 2015,  il fondo della Sanità e degli Enti Locali Perseo ha redatto il primo bilancio di esercizio nel 2012 ( nove anni dopo Espero) mentre il fondo delle Amministrazioni Centrali ha redatto il primo bilancio nel 2012. Nel corso del 2015 in ragione del permanere di difficoltà a realizzare il numero minimo di adesioni definito dalle parti, utile ad ottenere l’autorizzazione all’esercizio da parte della Covip, i fondi Sirio e Perseo si sono unificati proponendosi entro il mese di aprile 2016 di raggiungere almeno 30.000 adesioni.

Quanto al fondo della scuola  Espero gli aderenti ad oggi risultano 100.000 collocandolo al 6° posto nella graduatoria dei Fondi Pensione  Negoziali;  il fondo amministra un patrimonio di circa 750 milioni di euro. Riguardo al patrimonio gestito va rilevata una  delle diverse condizioni in cui opera la previdenza del Pubblico Impiego: la virtualità del trattamento di fine rapporto (tfr) nella previdenza complementare. Soltanto al termine della attività lavorativa per pensionamento, il dipendente pubblico iscritto a fondo pensione vedrà corrispondersi da parte della P.A. la sua quota di tfr versata al fondo. Ne consegue come nel caso di Espero i 750 milioni di patrimonio in gestione da parte del fondo  corrispondono al solo 48% del valore complessivo delle posizioni degli associati mentre il restante 52% corrispondente al tfr risulta virtuale e registrato presso l’INPS.

In condizioni di costanza degli attuali associati le previsioni a 5 anni  per Espero indicano una riduzione  di questi pari al  10% che diventa del 30% a dieci anni data, percentuale che va a crescere più avanti.

“Primum vivere” : è dirimente riprendere il ciclo delle adesioni pena il vedere passivamente concludersi l’esperienza  della previdenza complementare  di origine negoziale del settore pubblico nel nostro paese.  Questa è una responsabilità tutta politica che sta in capo al datore di lavoro pubblico e alle rappresentanze sindacali dei dipendenti.

Sostengono questo assunto  due esempi : il fondo del Trentino A.A. ha conseguito   un alto tasso di partecipazione con  l’adesione di 45.000 dipendenti pubblici e il Fondo Espero, con il diretto impulso dato alla struttura da parte  dell’allora Ministro Letizia Moratti e delle organizzazioni sindacali verso i dipendenti, nei tre anni di avvio ha conseguito circa 80.000 adesioni. Mantenendo quel trend il tasso di partecipazione alla previdenza complementare della scuola sarebbe oggi al 30%.

In entrambi i casi l’impegno delle rappresentanze sindacali e del datore di lavoro fu comune e coordinato: oggi tutto è affidato ai consigli di amministrazione dei singoli fondi pensione.

Non è qui il caso di analizzare le ragioni di questo stato di cose di cui da tempo hanno dato efficace rappresentazione numerose indagini e ricerche  specie degli ultimi 5 anni (Censis, Inpdap, Swg x Espero, Cida) riguardo agli atteggiamenti dei lavoratori pubblici verso la previdenza complementare.

Questa prima parte illustrativa nell’intenzione di chi scrive risponde alla prima parte della domanda e prefigura la risposta alla seconda parte: “ nello scenario attuale è insita la conclusione  a medio termine della esperienza negoziale di previdenza complementare e dunque questo è il  problema prioritario”. 

O si definisce un nuovo quadro di impegno  delle parti per realizzare come nelle attese iniziali  un sistema di previdenza collettiva che veda il pilastro complementare ottenere quei risultati di adesione specie delle coorti del mercato del lavoro giovanile  o qualunque pur lodevole iniziativa  che veda l’impegno dei fondi pensione mutare i propri piani di investimento a medio lungo periodo per investire  finanziariamente sul paese   avrà il crisma della aleatorietà e della scarsa credibilità.

Occorre riprendere coscienza che un robusto sistema di previdenza complementare  è un tema che ha pari dignità  alla esigenza che  tutti gli attori economici del paese e tra questi i fondi con il ruolo e il peso  di investitori che vediamo negli  altri  paesi .  Non si contribuisce veramente alla ricostituzione economica dell’Italia con iniziative di scarso peso e di breve periodo, e queste sono al momento le sole nella disponibilità dei fondi pensione negoziali. 

Tornando alla previdenza complementare per la Pubblica Amministrazione si vuole rapidamente rappresentare il lavoro di analisi e proposte cui hanno contribuito diverse persone che ritengono sia possibile operare un cambiamento di rotta.  Un particolare ringraziamento va al dr. P. Lauriola e al prof. F. Vallacqua per i loro studi sull’argomento. Ugualmente è da segnalare la disponibilità manifestata dall’ARAN in sede di “Osservatorio nazionale bilaterale sui fondi pensione della P.A.” ad affrontare un nuovo percorso contrattuale che consenta l’adozione di diverse opzioni utili alla ripresa e incremento delle adesioni.

Le diverse ipotesi prese in esame  hanno considerato in estrema sintesi:

1 . Per gli assunti precedentemente al gennaio del 2001, la facoltà di opzionare a previdenza complementare una quota del loro trattamento di fine servizio.

2 . Per i nuovi assunti, una adesione automatica  al fondo pensione con l’applicazione della normativa contrattuale in essere salva la possibilità di rinuncia entro definito termine temporale.

3 . La partecipazione generalizzata ed automatica al fondo con la sola contribuzione datoriale. 

4  . L’adesione senza obbligo di versamento del tfr. 

5  . Applicazione al settore del Pubblico Impiego del Decreto 252/2005.

Ragioni di spazio impediscono una trattazione motivata dei singoli punti qui riassunti per titoli.          

La prima ipotesi si rivolge alla platea dei dipendenti pubblici oggi maggioritaria per i quali, pur se nei fatti meno conveniente, il mutamento dell’istituto di fine servizio (tfs) in trattamento di fine rapporto (tfr), è remora alla adesione al fondo pensione. In questo caso un regime di neutralità fiscale e la facoltà di opzione lasciata al singolo senza obblighi di destinazione sarebbero incentivi importanti. Questa ipotesi è rilevante per attraversare il medio periodo e consentire quelle condizioni di dimensione di associati e di patrimonio che diano prospettiva di lungo termine al fondo. La fine temporale dell’istituto del tfs (che vale per i dipendenti assunti antecedentemente al 1 gennaio 2001) è stimata al 2040.

La  seconda si lega al ricambio del personale della P.A. : si stanno perdendo anni. Si pensi che nella sola scuola in questi anni  ogni mese di settembre vengono stabilizzati tra i 40.000 e gli 80.000 insegnanti. Nessuna iniziativa di riferimento contrattuale, malgrado i ripetuti solleciti provenienti dal fondo della scuola è stata fin qui adottata. Si tratterebbe di adottare un meccanismo simile a quello introdotto in Inghilterra nel 2012. Una contrattazione  innovata potrebbe dare impulso al coinvolgimento dei nuovi soggetti che entrano con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Va constatato che  la contrattazione della P.A. dopo il 1999  è più intervenuta  a perfezionare  gli accordi contrattuali precedenti diversamente da quanto è avvenuto nel settore privato. 

L’analisi del terzo punto ha portato a concludere che tale strumento oltre a contenere notevole aleatorietà sulla realizzazione del fine pensionistico comporterebbe numerose  modifiche legislative e contrattuali  e presenta diverse contraddizioni riguardo all’impianto normativo della previdenza complementare della P.A. 

Riguardo al quarto punto oltre a diverse considerazioni  tecniche al momento ostative di questa misura  chi scrive considera come allo stato delle cose senza l’impiego del tfr  le nuove generazioni in particolare non potrebbero realizzare un livello soddisfacente di integrazione della pensione del regime obbligatorio. Nello specifico della P.A. poi l’elemento della virtualità (quindi della indisponibilità) rende questa misura incongrua.

Sulla necessità di procedere con sollecitudine  alla applicazione “armonizzata “  della 252/2005 al settore pubblico attualmente regolato dalla l.124/93 due sole considerazioni :  la prima sulla evidente discriminazione sia fiscale che delle prestazioni   tra dipendente pubblico e dipendente privato (motivo che  in questi anni ha favorito le adesioni individuali a forme private a scapito dei fondi pensione negoziali della P.A.), la seconda che l’armonizzazione consentirebbe l’adozione anche per via contrattuale di una elasticità di sistema che amplierebbe le opzioni del lavoratore.

Da ultimo è bene sapere che la problematica illustrata è stata frutto più che di una nuova attenzione degli attori principali della previdenza dalla intenzione degli  amministratori dei fondi di non rassegnarsi all’eventualità di assumere un ruolo di liquidatori.

 

Fondi pensione, politica degli investimenti e sviluppo del paese, settore della P.A.

Il tema oggi all’attenzione degli investitori istituzionali quali  i fondi pensione e le casse professionali di previdenza fu argomento presente nella fase di prima realizzazione dei fondi negoziali segnatamente per i progetti di investimento interessanti le infrastrutture materiali  del nostro paese.

Ci si riferiva alle realtà dei sistemi pensionistici di secondo pilastro degli altri paesi sviluppati nei quali il risparmio previdenziale a capitalizzazione corrisponde a volumi  comparabili per volumi  al PIL annuo del paese  e a volte di maggiore dimensione di questo. 

L’Italia rimane un paese di coda nella classifica dei volumi patrimoniali messi ad investimento dal sistema di previdenza non pubblico pur se si tratta di miliardi di euro.

La intelligente iniziativa politica del ministro dell’Economia volta a stimolare attraverso la Cassa Depositi e Prestiti i fondi pensione a “investire per il paese” se  pur con le lentezze che contraddistinguono il modo nazionale di assumere decisioni ha ricevuto da Assofondipensione e Adepp (Casse previdenziali) manifestazioni  di interesse anche se ancora non si è definito il “veicolo attuativo”  e tra i vari fondi le realtà molto diverse differenzieranno i tempi decisionali anche considerando che in molti casi occorrerà modificare le norme statutarie in materia di investimenti diretti.

E’ bene che si parta quanto prima ma non andrà trascurato  – pena l’aleatorietà dell’iniziativa – che  occorre creare le condizioni affinchè il ruolo degli investitori istituzionali possa divenire permanente  ed efficace.

E’ altrettanto evidente che l’ attuale conformazione   organizzativa dei fondi negoziali per come è oggi non potrà per il prossimo futuro che confermarsi inadeguata.  Si evidenzia il tema della numerosità e della dimensione associativa e patrimoniale. Dati della relazione Covip 2013 ne danno testimonianza : 428 fondi (negoziali, aperti , preesistenti). Nell’ambito dei soli negoziali (n. 39) i fondi di dimensioni associative pari o superiori a 100.000 aderenti sono 6 e rappresentano il 55% del totale. Ragionare di accorpamenti o per settore merceologico o per equivalenze contrattuali dovrebbe essere la scelta.

Per quanto attiene alla pubblica amministrazione si è già detto della congiuntura che stanno attraversando.

Malgrado questo, il fondo Espero nella ultima relazione di bilancio approvata ad aprile 2015 proponeva alla Assemblea alcune indicazioni riguardo alla politica degli investimenti paese e a proposito della iniziativa di Assofondipensione di rispondere favorevolmente al Ministro dell’Economia valutandone positivamente l’atteggiamento considerava come per i fondi pensione del pubblico impiego fosse importante commisurare i propri investimenti alla dimensione pubblica dell’istruzione e della preservazione del patrimonio culturale.

In questo quadro il fondo manifestava una esigenza e individuava un limite.

L’esigenza :

  • Di visibilità : sarebbe interesse del fondo Espero partecipare ad iniziative che abbiano una ricaduta sulla propria popolazione di riferimento :  i dipendenti della scuola. 

Il limite:

  • L’ attuale massa patrimoniale (effetto della virtualità richiamata) e le esigenze di non stravolgere l’impianto della propria gestione finanziaria che assume la necessità della massima diversificazione dei propri attivi,  porterebbero oggi a stimare in poche unità percentuali del patrimonio la  dimensione dell’ investimento.

In una prima fase l’investimento potrebbe situarsi su progetti pilota afferenti la scuola sia per la parte strumentale che per la parte relativa all’edilizia scolastica.  Importante che questa prima esperienza esprima il valore simbolico e identitario fondo vs sistema scuola. 

Per la fase successiva dovrebbe proporsi una specie di intesa di programma tra i soggetti promotori dei fondi (Ministero dell’Istruzione e Organizzazioni sindacali) che definisca orientamenti e linee di possibile intervento lasciando al consiglio di amministrazione di Espero e alla assemblea del fondo le scelte da compiere.

Al momento il fondo Espero sta incontrando alcuni promotori di fondi immobiliari per analizzare le esperienze di questi veicoli finanziari per la realizzazione di opere di edilizia scolastica finalizzate a ristrutturazione/risanamento degli ambienti scolastici.

Ne emergono potenzialità interessanti ed esperienze che pur se ancora limitate danno indicazioni molto positive. Il dato di riferimento è il territorio ed in esso gli interventi di riorganizzazione delle città (accesso ai luoghi pubblici come le scuole, mobilità, parcheggi, uso del mezzo pubblico).  Soggetti coinvolti i Comuni versus il veicolo Fondo immobiliare in questo caso soggetto di raccolta attraverso quote dei finanziamenti privati e di riferimento istituzionale.

Ciascun soggetto che partecipa all’iniziativa  e tra questi il fondo scuola deve avere il proprio tornaconto di remunerazione dell’investimento: l’Ente pubblico in quanto riesce a mobilitare risorse da impiegare in interventi di miglioramento, i fondi veicolo in quanto soggetto professionale in grado di progettare realizzare e consegnare le opere concordate mobilitando indotto, gli investitori che possono rientrare da un investimento con finalità sociali  a tassi di rendimento “dignitosi”.

Per concludere: i fondi pensione investitori istituzionali possono diventare soggetti rilevanti nella politica degli investimenti di cui necessita il paese sia sul versante pubblico che su quello privato.

Condizione imprescindibile per evitare un insuccesso è che alle prime esperienze dirette (ci si augura a breve) seguano comportamenti più strutturati e continuativi frutto di relazioni tra soggetti che condividano finalità e modi mezzi per raggiungerle.

Risolvere i problemi di massa critica dei fondi diventa così non un mero espediente per avere risorse significative e ruolo conseguente ma anche un “passaggio di categoria” da strumenti a soggetti. Vasto programma, non impossibile se………

 

  Renato Berretta

Presidente di Espero dal giugno 2011 al maggio 2015 

 

 

 

 

 

 

LE POTENZIALITA’ E LE VOLONTA’ NON ANCORA FANNO CORTO CIRCUITO   

di Renato Berretta

 

Per il nostro Paese sembra profilarsi l’inizio di un nuovo ciclo che oltre a rivedere e soprattutto mantenere il segno positivo nelle  attese e negli  indicatori di crescita del Pil, vede riaperto e avviato un “cantiere di riforme” il cui segno, per espressa affermazione di chi le sta promuovendo, corrisponde alla necessità di mutamento di assetti consolidati, di maggiore innovazione, di recupero di quelle energie positive che nel passato hanno consentito all’Italia di collocarsi tra le prime potenze economiche del mondo.

I prossimi anni, cinque e non più di tanti, ci diranno quale sarà la corrispondenza tra le attese e le realizzazioni, tra i cambiamenti strutturali e la conservazione delle vecchie (care) abitudini e dei vecchi (e cari) centri di potere.

Di certo la pressione di fattori da anni in incubazione, tra i quali l’andamento demografico, i livelli occupazionali e in essi l’occupazione giovanile, la spesa pubblica e la sua composizione, la struttura produttiva del paese e il tasso di crescita della produttività, porta a ritenere che non è dato agire in funzione del breve periodo, anzi è deleterio.

Riguardo al tema previdenziale rimangono ancora molteplici interrogativi sull’assetto definitivo che si vuole dare al” sistema”.

Sintomatico rileggere quanto scriveva E. Fornero (Mulino 1999): L’eccessiva creazione di “debito previdenziale” finisce così per snaturare il nucleo di assicurazione intergenerazionale insito nella ripartizione e per trasformare il sistema in un generico programma di trasferimenti politici di risorse. 

Tale considerazione ci riporta all’oggi col ripresentarsi per l’lnps di ipotesi di finanziamento delle pensioni sociali con i fondi delle prestazioni pensionistiche avendo scoperto che l’Istituto corrisponde ad un ridotto gruppo di “ricchi” un reddito previdenziale di 5.000 € mensili.

Il punto è che il futuro della sostenibilità della spesa pensionistica rischia di saltare non solo per l’aumento del tempo di vita ma per il perdurare della compressione salariale (e di conseguenza contributiva) e di un tasso di occupazione tra i più bassi della zona euro. I problemi di equilibrio dell’Istituto non si risolvono con operazioni di contabilità: riduco qua, trasferisco là.

“Ove si guardi alla redistribuzione tra generazioni, classi di reddito e categorie professionali il sistema pensionistico per perseguire il suo scopo dovrebbe evitare di perseguire scopi assistenziali per i quali la risposta non può che essere data da trasferimenti pubblici originati da imposte progressive anziché con contributi da redditi da lavoro.

Sul piano equitativo minimi e massimi pensionistici preservano il sistema pubblico la capacità di redistribuire tra classi di reddito. L’adozione della formula contributiva per la determinazione della pensione eviterà redistribuzioni di tipo perverso.”

Il decisore politico ad iniziare con Amato nel 1993 per giungere a Fornero 2013 è intervenuto ripetutamente sull’assetto di sistema della previdenza obbligatoria e oggi la consapevolezza generale sui forti ridimensionamenti delle future prestazioni pensionistiche non ha visto lo stesso decisore e le parti in causa realizzare interventi e iniziative che potenziassero il secondo pilastro previdenziale.

Così che oggi si parla di sostenibilità del sistema di previdenza obbligatoria ma si trascura il problema della sostenibilità del reddito pensionistico futuro attraverso la realizzazione della funzione di sistema della previdenza complementare.

Uno strabismo stupefacente.

Situata in questo contesto l’ attuale condizione dei fondi di previdenza complementare chiede a tutti gli attori che vi operano quali siano le loro valutazioni e quali decisioni vanno intraprese sia con riguardo al loro scopo previdenziale, sia con riguardo al contributo al paese per sostenerne lo sviluppo. 

Quello della crescita della ricchezza prodotta e delle modalità con cui questo avviene va considerato un tema dirimente, atteso che cessi il paradigma falsamente etico/solidaristico che ha prodotto un mix perverso di redistribuzione/riduzione del welfare e insieme dei salari; senza questa speranza non varrebbe la pena di impegnarsi più di tanto e conseguentemente le decisioni e i comportamenti conseguenti rimarrebbero puramente simbolici, di “stile” come usa dire.

La crescita dunque resta uno dei pilastri fondamentali del paese che vorremmo e a questo fine è giusto chiedere ad ogni soggetto cosa intenda fare per favorirla.

Così posta la questione, la richiesta rivolta ai fondi pensione negoziali di contribuire attraverso la  politica di gestione finanziaria del proprio patrimonio ha ricevuto risposte di segno positivo. 

Questo potrebbe inoltre essere il tempo di rimediare agli errori, all’inerzia e al disimpegno del recente passato mutando la condizione attuale.

In pillole: i fondi pensione negoziali (e i loro dominus) nel dare una seria risposta alla richiesta è bene che richiariscano i ruoli e gli impegni dei diversi attori riguardo al futuro della previdenza complementare e al ruolo della contrattazione collettiva. 

In questa chiave serve oggi una lettura realistica della previdenza complementare in generale e nello specifico della Pubblica Amministrazione di cui rappresenteremo più avanti un breve e non completo quadro.

Innanzitutto va riconosciuto da tutti come, rispetto alle attese e alle previsioni sulla diffusione della previdenza complementare, trascorsi quasi vent’anni, i risultati siano ben lontani e deludenti dalle premesse iniziali e riconoscano che il peso delle forme di origine contrattuale nel giro di pochi anni ( a partire dal 2005) è divenuto minoritario rispetto alle forme privato – individuali e prendano atto che il numero delle adesioni ai fondi negoziali è rimasto sostanzialmente fermo  a partire dall’inizio della crisi finanziaria mondiale del 2008 che di suo ha accentuato una fase discendente che si stava già manifestando.

Alla fine del 2014, i dati sulle adesioni alla previdenza complementare vedevano 2.600.000 aderenti dei quali 650.000 preesistenti alla riforma  Amato del 1993.

Nel contempo le forme private erano arrivate a sommare 3.870.000 aderenti dei quali 500.000 da piani individuali precedenti al 2005.

Dati Covip indicano per tutte le forme  di previdenza complementare  incluse quelle private una età media degli aderenti tra i 44 e i 47 anni.  Questa informazione ci indica  quale potrebbe essere la durata in vita dei fondi pensione in assenza di ricambio  uscite/ingressi ed  in particolare il non risolto  tema della partecipazione  delle giovani generazioni al lavoro oggi pressochè assenti tra gli aderenti.

Riguardo al tasso di partecipazione alla previdenza complementare  di origine contrattuale post legge 124/93 nell’area del lavoro dipendente, sempre Covip indicava come su una platea di 1.950.000 aderenti, il 18% dei fondi censiti registrava un tasso di adesione superiore al 60% degli addetti, un altro 18% registrava un tasso medio del 40% mentre tutti gli altri si situavano tra il 20 e l’1%. Si consideri che per la gran parte questi risultati di partecipazione sono stati realizzati nei primi 5 anni di vita dei fondi. In tale contesto la Pubblica Amministrazione si posiziona tra  l’1 e l’8%.

Ad oggi, nei fatti si erogano quasi esclusivamente prestazioni in capitale e le quantità contributive che vengono apportate a capitalizzazione, segnatamente nel sistema privato ma anche nel sistema dei fondi negoziali, sono di dimensioni risibili ove manchino quote significative di trattamento di fine rapporto.

Una condizione come quella delineata non consente nessun elemento di certezza per il futuro del medio periodo.

Pubblico Impiego e previdenza complementare.

La “riforma Dini” del 1995 ha dato un decisivo  impulso alla realizzazione per via contrattuale dei fondi nazionali di previdenza delle categorie del lavoro dipendente.

Dal 1997 chimici e metalmeccanici  per primi e a seguire  le altre categorie del lavoro privato hanno contrattualmente costituito i fondi nazionali di riferimento.

Diverso l’iter costitutivo  e diversi i tempi per i dipendenti della Pubblica Amministrazione per i quali le attese  in termini di adesioni attese  potevano essere piuttosto ottimistiche avendo a mente  le realtà consolidate  degli altri paesi dell’area OCSE.

Preceduto nel luglio del 1999 da un accordo interconfederale tra ARAN (Agenzia di rappresentanza della P.A. per la contrattazione) e sindacati confederali, il DPCM del dicembre 1999 ne recepiva i contenuti disciplinando nel dettaglio l’estensione del trattamento di fine rapporto (tfr) al personale assunto dal gennaio 2001  ed il finanziamento della previdenza complementare.

Il legislatore è intervenuto ulteriormente in tempi successivi nello specifico della P.A.  (anni 2000, 2001, 2008, 2009) .

Sulla base degli orientamenti previsti dal citato accordo interconfederale il lavoro dipendente contrattualizzato (esistono circa 770.000 dipendenti delle P.A. non contrattualizzati : forze dell’ordine, magistrati, prefetti, ricercatori) fu ripartito in tre grandi aree di riferimento : Scuola (con esclusione della Università) ,  Sanità ed Enti Locali, dipendenti delle Amministrazioni Centrali e Università.

I tempi realizzativi  dei tre fondi citati  risultano  decisamente distanziati da quelli del settore privato e ciò ha contribuito assieme a fattori intrinseci al rapporto di lavoro (segnatamente il trattamento di fine servizio) a  determinare un atteggiamento meno favorevole  della popolazione di riferimento, visto anche il mutare nel corso del tempo del contesto favorevole alla previdenza complementare  di natura contrattuale.

Il fondo della Scuola Espero, che per primo fu costituito dalle parti,  ha redatto il primo bilancio di esercizio nel 2003 e ha approvato l’undicesimo bilancio di esercizio nel 2015,  il fondo della Sanità e degli Enti Locali Perseo ha redatto il primo bilancio di esercizio nel 2012 ( nove anni dopo Espero) mentre il fondo delle Amministrazioni Centrali ha redatto il primo bilancio nel 2012. Nel corso del 2015 in ragione del permanere di difficoltà a realizzare il numero minimo di adesioni definito dalle parti, utile ad ottenere l’autorizzazione all’esercizio da parte della Covip, i fondi Sirio e Perseo si sono unificati proponendosi entro il mese di aprile 2016 di raggiungere almeno 30.000 adesioni.

Quanto al fondo della scuola  Espero gli aderenti ad oggi risultano 100.000 collocandolo al 6° posto nella graduatoria dei Fondi Pensione  Negoziali;  il fondo amministra un patrimonio di circa 750 milioni di euro. Riguardo al patrimonio gestito va rilevata una  delle diverse condizioni in cui opera la previdenza del Pubblico Impiego: la virtualità del trattamento di fine rapporto (tfr) nella previdenza complementare. Soltanto al termine della attività lavorativa per pensionamento, il dipendente pubblico iscritto a fondo pensione vedrà corrispondersi da parte della P.A. la sua quota di tfr versata al fondo. Ne consegue come nel caso di Espero i 750 milioni di patrimonio in gestione da parte del fondo  corrispondono al solo 48% del valore complessivo delle posizioni degli associati mentre il restante 52% corrispondente al tfr risulta virtuale e registrato presso l’INPS.

In condizioni di costanza degli attuali associati le previsioni a 5 anni  per Espero indicano una riduzione  di questi pari al  10% che diventa del 30% a dieci anni data, percentuale che va a crescere più avanti.

“Primum vivere” : è dirimente riprendere il ciclo delle adesioni pena il vedere passivamente concludersi l’esperienza  della previdenza complementare  di origine negoziale del settore pubblico nel nostro paese.  Questa è una responsabilità tutta politica che sta in capo al datore di lavoro pubblico e alle rappresentanze sindacali dei dipendenti.

Sostengono questo assunto  due esempi : il fondo del Trentino A.A. ha conseguito   un alto tasso di partecipazione con  l’adesione di 45.000 dipendenti pubblici e il Fondo Espero, con il diretto impulso dato alla struttura da parte  dell’allora Ministro Letizia Moratti e delle organizzazioni sindacali verso i dipendenti, nei tre anni di avvio ha conseguito circa 80.000 adesioni. Mantenendo quel trend il tasso di partecipazione alla previdenza complementare della scuola sarebbe oggi al 30%.

In entrambi i casi l’impegno delle rappresentanze sindacali e del datore di lavoro fu comune e coordinato: oggi tutto è affidato ai consigli di amministrazione dei singoli fondi pensione.

Non è qui il caso di analizzare le ragioni di questo stato di cose di cui da tempo hanno dato efficace rappresentazione numerose indagini e ricerche  specie degli ultimi 5 anni (Censis, Inpdap, Swg x Espero, Cida) riguardo agli atteggiamenti dei lavoratori pubblici verso la previdenza complementare.

Questa prima parte illustrativa nell’intenzione di chi scrive risponde alla prima parte della domanda e prefigura la risposta alla seconda parte: “ nello scenario attuale è insita la conclusione  a medio termine della esperienza negoziale di previdenza complementare e dunque questo è il  problema prioritario”. 

O si definisce un nuovo quadro di impegno  delle parti per realizzare come nelle attese iniziali  un sistema di previdenza collettiva che veda il pilastro complementare ottenere quei risultati di adesione specie delle coorti del mercato del lavoro giovanile  o qualunque pur lodevole iniziativa  che veda l’impegno dei fondi pensione mutare i propri piani di investimento a medio lungo periodo per investire  finanziariamente sul paese   avrà il crisma della aleatorietà e della scarsa credibilità.

Occorre riprendere coscienza che un robusto sistema di previdenza complementare  è un tema che ha pari dignità  alla esigenza che  tutti gli attori economici del paese e tra questi i fondi con il ruolo e il peso  di investitori che vediamo negli  altri  paesi .  Non si contribuisce veramente alla ricostituzione economica dell’Italia con iniziative di scarso peso e di breve periodo, e queste sono al momento le sole nella disponibilità dei fondi pensione negoziali. 

Tornando alla previdenza complementare per la Pubblica Amministrazione si vuole rapidamente rappresentare il lavoro di analisi e proposte cui hanno contribuito diverse persone che ritengono sia possibile operare un cambiamento di rotta.  Un particolare ringraziamento va al dr. P. Lauriola e al prof. F. Vallacqua per i loro studi sull’argomento. Ugualmente è da segnalare la disponibilità manifestata dall’ARAN in sede di “Osservatorio nazionale bilaterale sui fondi pensione della P.A.” ad affrontare un nuovo percorso contrattuale che consenta l’adozione di diverse opzioni utili alla ripresa e incremento delle adesioni.

Le diverse ipotesi prese in esame  hanno considerato in estrema sintesi:

1 . Per gli assunti precedentemente al gennaio del 2001, la facoltà di opzionare a previdenza complementare una quota del loro trattamento di fine servizio.

2 . Per i nuovi assunti, una adesione automatica  al fondo pensione con l’applicazione della normativa contrattuale in essere salva la possibilità di rinuncia entro definito termine temporale.

3 . La partecipazione generalizzata ed automatica al fondo con la sola contribuzione datoriale. 

4  . L’adesione senza obbligo di versamento del tfr. 

5  . Applicazione al settore del Pubblico Impiego del Decreto 252/2005.

Ragioni di spazio impediscono una trattazione motivata dei singoli punti qui riassunti per titoli.          

La prima ipotesi si rivolge alla platea dei dipendenti pubblici oggi maggioritaria per i quali, pur se nei fatti meno conveniente, il mutamento dell’istituto di fine servizio (tfs) in trattamento di fine rapporto (tfr), è remora alla adesione al fondo pensione. In questo caso un regime di neutralità fiscale e la facoltà di opzione lasciata al singolo senza obblighi di destinazione sarebbero incentivi importanti. Questa ipotesi è rilevante per attraversare il medio periodo e consentire quelle condizioni di dimensione di associati e di patrimonio che diano prospettiva di lungo termine al fondo. La fine temporale dell’istituto del tfs (che vale per i dipendenti assunti antecedentemente al 1 gennaio 2001) è stimata al 2040.

La  seconda si lega al ricambio del personale della P.A. : si stanno perdendo anni. Si pensi che nella sola scuola in questi anni  ogni mese di settembre vengono stabilizzati tra i 40.000 e gli 80.000 insegnanti. Nessuna iniziativa di riferimento contrattuale, malgrado i ripetuti solleciti provenienti dal fondo della scuola è stata fin qui adottata. Si tratterebbe di adottare un meccanismo simile a quello introdotto in Inghilterra nel 2012. Una contrattazione  innovata potrebbe dare impulso al coinvolgimento dei nuovi soggetti che entrano con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Va constatato che  la contrattazione della P.A. dopo il 1999  è più intervenuta  a perfezionare  gli accordi contrattuali precedenti diversamente da quanto è avvenuto nel settore privato. 

L’analisi del terzo punto ha portato a concludere che tale strumento oltre a contenere notevole aleatorietà sulla realizzazione del fine pensionistico comporterebbe numerose  modifiche legislative e contrattuali  e presenta diverse contraddizioni riguardo all’impianto normativo della previdenza complementare della P.A. 

Riguardo al quarto punto oltre a diverse considerazioni  tecniche al momento ostative di questa misura  chi scrive considera come allo stato delle cose senza l’impiego del tfr  le nuove generazioni in particolare non potrebbero realizzare un livello soddisfacente di integrazione della pensione del regime obbligatorio. Nello specifico della P.A. poi l’elemento della virtualità (quindi della indisponibilità) rende questa misura incongrua.

Sulla necessità di procedere con sollecitudine  alla applicazione “armonizzata “  della 252/2005 al settore pubblico attualmente regolato dalla l.124/93 due sole considerazioni :  la prima sulla evidente discriminazione sia fiscale che delle prestazioni   tra dipendente pubblico e dipendente privato (motivo che  in questi anni ha favorito le adesioni individuali a forme private a scapito dei fondi pensione negoziali della P.A.), la seconda che l’armonizzazione consentirebbe l’adozione anche per via contrattuale di una elasticità di sistema che amplierebbe le opzioni del lavoratore.

Da ultimo è bene sapere che la problematica illustrata è stata frutto più che di una nuova attenzione degli attori principali della previdenza dalla intenzione degli  amministratori dei fondi di non rassegnarsi all’eventualità di assumere un ruolo di liquidatori.

 

Fondi pensione, politica degli investimenti e sviluppo del paese, settore della P.A.

Il tema oggi all’attenzione degli investitori istituzionali quali  i fondi pensione e le casse professionali di previdenza fu argomento presente nella fase di prima realizzazione dei fondi negoziali segnatamente per i progetti di investimento interessanti le infrastrutture materiali  del nostro paese.

Ci si riferiva alle realtà dei sistemi pensionistici di secondo pilastro degli altri paesi sviluppati nei quali il risparmio previdenziale a capitalizzazione corrisponde a volumi  comparabili per volumi  al PIL annuo del paese  e a volte di maggiore dimensione di questo. 

L’Italia rimane un paese di coda nella classifica dei volumi patrimoniali messi ad investimento dal sistema di previdenza non pubblico pur se si tratta di miliardi di euro.

La intelligente iniziativa politica del ministro dell’Economia volta a stimolare attraverso la Cassa Depositi e Prestiti i fondi pensione a “investire per il paese” se  pur con le lentezze che contraddistinguono il modo nazionale di assumere decisioni ha ricevuto da Assofondipensione e Adepp (Casse previdenziali) manifestazioni  di interesse anche se ancora non si è definito il “veicolo attuativo”  e tra i vari fondi le realtà molto diverse differenzieranno i tempi decisionali anche considerando che in molti casi occorrerà modificare le norme statutarie in materia di investimenti diretti.

E’ bene che si parta quanto prima ma non andrà trascurato  – pena l’aleatorietà dell’iniziativa – che  occorre creare le condizioni affinchè il ruolo degli investitori istituzionali possa divenire permanente  ed efficace.

E’ altrettanto evidente che l’ attuale conformazione   organizzativa dei fondi negoziali per come è oggi non potrà per il prossimo futuro che confermarsi inadeguata.  Si evidenzia il tema della numerosità e della dimensione associativa e patrimoniale. Dati della relazione Covip 2013 ne danno testimonianza : 428 fondi (negoziali, aperti , preesistenti). Nell’ambito dei soli negoziali (n. 39) i fondi di dimensioni associative pari o superiori a 100.000 aderenti sono 6 e rappresentano il 55% del totale. Ragionare di accorpamenti o per settore merceologico o per equivalenze contrattuali dovrebbe essere la scelta.

Per quanto attiene alla pubblica amministrazione si è già detto della congiuntura che stanno attraversando.

Malgrado questo, il fondo Espero nella ultima relazione di bilancio approvata ad aprile 2015 proponeva alla Assemblea alcune indicazioni riguardo alla politica degli investimenti paese e a proposito della iniziativa di Assofondipensione di rispondere favorevolmente al Ministro dell’Economia valutandone positivamente l’atteggiamento considerava come per i fondi pensione del pubblico impiego fosse importante commisurare i propri investimenti alla dimensione pubblica dell’istruzione e della preservazione del patrimonio culturale.

In questo quadro il fondo manifestava una esigenza e individuava un limite.

L’esigenza :

  • Di visibilità : sarebbe interesse del fondo Espero partecipare ad iniziative che abbiano una ricaduta sulla propria popolazione di riferimento :  i dipendenti della scuola. 

Il limite:

  • L’ attuale massa patrimoniale (effetto della virtualità richiamata) e le esigenze di non stravolgere l’impianto della propria gestione finanziaria che assume la necessità della massima diversificazione dei propri attivi,  porterebbero oggi a stimare in poche unità percentuali del patrimonio la  dimensione dell’ investimento.

In una prima fase l’investimento potrebbe situarsi su progetti pilota afferenti la scuola sia per la parte strumentale che per la parte relativa all’edilizia scolastica.  Importante che questa prima esperienza esprima il valore simbolico e identitario fondo vs sistema scuola. 

Per la fase successiva dovrebbe proporsi una specie di intesa di programma tra i soggetti promotori dei fondi (Ministero dell’Istruzione e Organizzazioni sindacali) che definisca orientamenti e linee di possibile intervento lasciando al consiglio di amministrazione di Espero e alla assemblea del fondo le scelte da compiere.

Al momento il fondo Espero sta incontrando alcuni promotori di fondi immobiliari per analizzare le esperienze di questi veicoli finanziari per la realizzazione di opere di edilizia scolastica finalizzate a ristrutturazione/risanamento degli ambienti scolastici.

Ne emergono potenzialità interessanti ed esperienze che pur se ancora limitate danno indicazioni molto positive. Il dato di riferimento è il territorio ed in esso gli interventi di riorganizzazione delle città (accesso ai luoghi pubblici come le scuole, mobilità, parcheggi, uso del mezzo pubblico).  Soggetti coinvolti i Comuni versus il veicolo Fondo immobiliare in questo caso soggetto di raccolta attraverso quote dei finanziamenti privati e di riferimento istituzionale.

Ciascun soggetto che partecipa all’iniziativa  e tra questi il fondo scuola deve avere il proprio tornaconto di remunerazione dell’investimento: l’Ente pubblico in quanto riesce a mobilitare risorse da impiegare in interventi di miglioramento, i fondi veicolo in quanto soggetto professionale in grado di progettare realizzare e consegnare le opere concordate mobilitando indotto, gli investitori che possono rientrare da un investimento con finalità sociali  a tassi di rendimento “dignitosi”.

Per concludere: i fondi pensione investitori istituzionali possono diventare soggetti rilevanti nella politica degli investimenti di cui necessita il paese sia sul versante pubblico che su quello privato.

Condizione imprescindibile per evitare un insuccesso è che alle prime esperienze dirette (ci si augura a breve) seguano comportamenti più strutturati e continuativi frutto di relazioni tra soggetti che condividano finalità e modi mezzi per raggiungerle.

Risolvere i problemi di massa critica dei fondi diventa così non un mero espediente per avere risorse significative e ruolo conseguente ma anche un “passaggio di categoria” da strumenti a soggetti. Vasto programma, non impossibile se………

 

 (*) Presidente di Espero dal giugno 2011 al maggio 2015 

 

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