Se n’è andato a 77 anni Marcello De Cecco, uno dei migliori economisti della sua generazione. Ci mancherà la sua voce un po’ roca, con un accento che avresti detto napoletano, mentre invece lui era abruzzese di Lanciano. Ci mancheranno soprattutto le sue analisi, sempre stimolanti, frutto di una vasta cultura che non si limitava certo all’economia. Vogliamo ricordarlo riproponendo l’articolo con cui iniziò la sua collaborazione ad Affari & Finanza che sarebbe proseguita fino ad oggi, un articolo di fantaeconomia nato per superare i limiti della carta stampata.
Era l’autunno del 1992 ed erano in corso i referendum in alcuni paesi sulla ratifica del Trattato di Maastricht. Il 20 settembre si sarebbe svolto quello più importante, in Francia: se i francesi avessero detto “no” il percorso verso la moneta unica si sarebbe interrotto forse definitivamente. Visto com’è andata, forse sarebbe stato meglio. O forse no, se l’alternativa fosse stata quella dello scenario immaginato da De Cecco nell’articolo. Impossibile saperlo, naturalmente.
All’epoca, con Sandra Carini, guidavamo Affari & Finanza. Il supplemento chiudeva il venerdì per uscire il lunedì e il referendum ci sarebbe stato la domenica. Che fare? Non si poteva andare in edicola senza avere qualcosa sul fatto del giorno. Mi venne in mente che se ne poteva uscire in un solo modo: chiedendo a due commentatori autorevoli una previsione sull’Europa dieci anni dopo nelle due ipotesi, “ha vinto il sì” e “ha vinto il no”. Ma a chi affidarli?
Mi venne subito in mente De Cecco. L’avevo conosciuto poco tempo prima a un seminario della Comit a Milano. Eravamo seduti vicini, avevamo attaccato discorso e mi avevano colpito il suo acume e la sua ironia, così mi ero ripromesso di “arruolarlo” alla prima occasione: l’occasione era arrivata, gli proponemmo il “se vince il no” e lui accettò. Ci mandò un bellissimo articolo che descriveva un’Italia che, insieme agli altri paesi latini, era povera e in regime poliziesco mentre la Germania aveva attuato l’unione monetaria con i paesi dell’Europa centrale e prosperava.
Per l’altro articolo Sandra propose Stefano Micossi, attuale presidente di Assonime, già alla Banca d’Italia e al Fondo monetario internazionale, all’epoca direttore generale di Confindustria. Anche Micossi accettò e ci mandò un articolo che ci lasciò un po’ sconcertati: descriveva un’Europa dove chi voleva trovare un lavoro decente doveva conoscere il tedesco e che alzava muri ai suoi confini per bloccare fiumi di immigranti. Uno scenario quasi altrettanto fosco di quello immaginato da De Cecco, poco adatto allo spirito potentemente europeista di allora. Io ero per pubblicarlo lo stesso, ma dopo varie consultazioni con tutta la direzione si decise per il no, provocando la giusta ira di Micossi. Che, oggi, potrebbe vantarsi di aver fatto un articolo di cronaca con dieci anni di anticipo.
Così usci solo l’articolo di De Cecco, che ebbe un grande successo e fu il primo di una lunga serie che avrebbe scritto per Affari & Finanza e per Repubblica, proponendo sempre una visione dei problemi originale e indipendente da cordate sia politiche che teoriche. Con lui se n’è andata un’altra voce libera in un epoca in cui questa è una merce sempre più rara.
(da Repubblica.it del 3 marzo 2016)
(*) Giornalista
Di seguito l’articolo di De Cecco uscito il 18.09.1992 su Affari & Finanza
I DISGREGATI DEL 2003
di Marcello De Cecco
ROMA, Dicembre 2003 – Sul Quirinale sventola, assieme al tricolore, il vessillo dell’Unione Latina, che ha sostituito la Comunità Europea, e alla quale hanno aderito Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In giro molta gente a piedi e in bicicletta, poche le moto e pochissime le automobili, a causa del razionamento della benzina, che ha portato i prezzi di mercato nero alle stelle. Anche i blackouts dell’energia elettrica sono frequenti. Alla Sapienza c’ è la solita folla di studenti. Poche le studentesse. Dopo l’enciclica “Procreandi sanctitas” nella quale il Pontefice ha affermato che il ruolo primo della donna è dare alla luce e allevare figli, per contrastare la secolarizzazione della società, molte ragazze hanno preferito non sfidare la censura sociale e seguire le esortazioni papali. Terminano le lezioni del primo semestre e tra poco iniziano gli esami. In un’aula al pianterreno della facoltà di economia, un edificio degli anni settanta sporco e fatiscente, un economista ormai prossimo alla pensione si avvia alla cattedra. Tiene addosso un vecchio loden, perché i caloriferi sono spenti. Pochi gli studenti, come lui incappottati. Il professore si ostina da anni a tenere un corso sulla storia monetaria del Novecento. Non ci sono equazioni né tecniche da imparare, e gli studenti preferiscono seguire corsi che, con la disoccupazione intellettuale che dilaga, danno una maggiore speranza di utilizzazione pratica e qualificazione. Anno 2003, l’ Europa resta al buio. Il professore ha dedicato la sua intera vita allo studio di sistema monetario internazionale. Spesso si chiede se sia valsa la pena perdere tanti anni dietro a un soggetto così deprimente, e ora francamente fuori moda. Gli restano d’ altro canto pochi anni prima della pensione, che rispetto al salario reso misero da svalutazioni, inflazioni e politiche dei redditi, sarà addirittura miserrima. Il professore spera che qualche aiuto gli possa venire dai figli, emigrati nell’ Unione Mitteleuropea e nella Confederazione Anglo- Americana. Ma dalla seconda sa che gli arriverà al massimo un Christian Cake, perché la vita è dura anche lì. Quelli della Mitteleuropea se la cavano molto meglio, ma inviare aiuti a chi abita nell’ Unione Latina è considerato politicamente compromettente. “Vi parlerò oggi, a conclusione del corso – attacca il professore – della fine del sistema monetario europeo. Questa si può datare al venti settembre 1992, giorno nel quale i cittadini francesi risposero in maggioranza no al referendum sul Trattato di Maastricht, proposto loro dal Presidente Mitterrand per ragioni solo a lui comprensibili. I francesi, che ne avevano fin sopra i capelli del regime personalistico instaurato dal vecchio presidente, colserò l’occasione per mostrare la loro sfiducia in lui, più che nel Trattato di Maastricht, che istituiva l’Unione monetaria europea. Ma così facendo, diedero il via a una serie di svalutazioni delle monete europee, e a una instabilità progressiva dei cambi all’ interno dell’Unione, che la struttura stessa del trattato favoriva.
Nella prima fase del Trattato, infatti, si era ricreata una situazione assai simile a quella di Bretton Woods, di cui tanto vi ho parlato. I cambi tra le monete europee potevano oscillare solo entro una ristretta banda, ma non erano ancora irrevocabilmente fissi. Dovendo le banche centrali intervenire obbligatoriamente a difendere le parità esistenti, ciò favoriva potentemente la speculazione internazionale, che sapeva che, vendendo a oltranza le monete deboli ne avrebbe forzato la svalutazione, perché gli interventi a loro difesa operati dalle banche centrali dei paesi a moneta forte avrebbero turbato l’equilibrio monetario interno di questi ultimi. Era il caso ben noto della speculazione in una sola direzione, nella quale perdono solo le banche centrali. Bisogna dire che le autorità e gli studiosi italiani avevano ben compreso il pericolo insito nella permanenza nella prima fase dell’Unione, e avevano esortato a che si passasse alla terza fase del trattato, quella in cui i cambi divenivano irrevocabilmente fissi e si instaurava una moneta unica, affidata a una banca centrale europea. Ma le autorità e gli studiosi degli altri paesi non ne avevano voluto sapere, specie perché sembrava loro intollerabile legarsi irrevocabilmente a paesi, come l’Italia, dalla finanza pubblica fortemente avariata. In effetti, tutta la procedura dell’Unione Economica e Monetaria Europea peccava di eccessivo volontarismo. Era nata come tentativo, a metà degli anni ottanta, di rilanciare la domanda in Europa in una fase fortemente recessiva, nel corso della quale si era giunti a parlare di eurosclerosi. Ma aveva come obbiettivo quello solito post-bellico, di integrazione della Germania Occidentale nel resto dell’Europa Occidentale. A causa, invece, delle precipitose trasformazioni dell’equilibrio geopolitico mondiale, con la insperata annessione della Germania orientale alla Repubblica Federale, concessa da Gorbaciov in cambio di qualche miliardo di marchi, e con la successiva scomparsa dell’Unione Sovietica, il progetto di Unione Europea era completamente sconvolto dalla necessità tedesca di far fronte alle inedite problematiche derivanti dall’ annessione dei lander orientali.
Mentre gli altri paesi dell’Europa e gli Stati Uniti concludevano il lungo boom degli anni ottanta con una recessione, l’espansione continuava per altri due anni in Germania, ma l’annessione generava spese cui si faceva fronte sia con imposte sia con capitali esteri, attirati mediante il forte rialzo dei tassi di interesse tedeschi. Il coincidere della campagna elettorale americana, con le annesse necessita di reflazione a tutti i costi, determinava una vertiginosa caduta dei tassi d’ interesse americani, divaricando i differenziali d’ interesse tra Europa e Stati Uniti. Era la tipica situazione di Bretton Woods, che si era verificata già nel 1960 inducendo la rivalutazione del Marco, nel 1967 costringendo alla svalutazione la sterlina, e infine nell’ agosto 1971 distruggendo l’intero sistema con l’abbandono della convertibilità e la successiva fluttuazione del Dollaro.
Malgrado non mancasse chi ricordava questi episodi, i paesi europei continuarono imperturbabili a comportarsi come se le proprie monete fossero effettivamente strette in un definitivo abbraccio. I controlli valutari che circondavano il franco francese e la lira italiana erano stati totalmente eliminati, e per qualche tempo sembrò che le monete europee si muovessero di conserva contro il dollaro. Ma la speculazione internazionale, risorta dopo alcuni anni di quiete, quando le grandi banche inglesi americane e giapponesi avevano dovuto ritirarsi a curare le orribili perdite incontrate nel corso dell’avventurosa espansione degli anni ottanta, sapeva che l’abbraccio era tutt’altro che irrevocabile, e che i paesi europei erano in condizioni congiunturali assai diverse da quelle tedesche. Si presentava dunque la possibilità di dar luogo a fruttuose operazioni in cambi, nella certezza che prima o poi la difesa delle parità avrebbe ceduto.
La prima a essere travolta fu la Lira. Poi, dopo la vittoria dei no al referendum francese, caddero la Sterlina, la Peseta e l’Escudo. Restava il Franco francese ed era ormai l’inverno del 1993, quando doveva entrare in funzione la realizzazione del Mercato Unico Europeo. Ma la sconfitta di Mitterrand ne aveva determinato le dimissioni, e il marasma politico francese sfociava nella decisione di chiedere il rinvio dell’inizio del mercato unico. Su tale decisione, mentre continuava l’uragano sui cambi, i paesi dell’Europa si dividevano. I paesi più vicini e più integrati con la Germania decidevano di procedere comunque, attuando il Mercato Unico e l’Unione Monetaria. L’ Inghilterra decideva di aderire alla North Atlantic Free Trade Area. Ai paesi latini, praticamente ridotti in serie B, non restava che dar vita all’ Unione Latina, abolendo la riforma della Politica Comune Agricola che avrebbe dovuto essere attuata già nel 1992, e dando il via a una serie di svalutazioni congiunte nei confronti di quella che fu chiamata l’Unione Mitteleuropea, alla quale aderirono pure Austria e Svizzera, con l’ulteriore associazione di Ungheria, Repubblica Ceka e Slovenia. La Polonia invece decise di associarsi all’ Unione Latina, come aveva già fatto negli anni trenta. Rigorosi controlli valutari furono stabiliti tra l’Unione Latina e il resto del mondo, con pene severe per i trasgressori.
Mentre si cercava di favorire gli scambi all’ interno dell’Unione, nei confronti del resto del mondo si estendevano le regole di protezione agraria e industriale prima riservate al solo Giappone. Ciononostante, il commercio estero languiva, perché tutti i paesi dell’Unione erano stati fortemente legati a quelli della Mitteleuropa. Era necessario controllare le importazioni e razionare l’uso di alcuni beni importati da paesi esterni all’ Unione. Ne seguiva una diminuzione progressiva del reddito e una forte depressione industriale…
Trascinato dalla foga della ricostruzione di eventi che per lui erano solo storia di ieri, l’anziano professore non si è accorto dell’ingresso nell’aula di un dimesso personaggio, assai più anziano dei suoi studenti. Cavato di tasca un registratore costui registra le parole del professore. A un tratto quest’ ultimo nota la sua esistenza, e subito capisce che si preparano guai, che la sua pur miserrima pensione improvvisamente scompare dall’ orizzonte prossimo. Smette quasi senz’ accorgersene di parlare, e guarda il nuovo venuto. Questi, senza dissimulare il suo essere, si limita a dire: ‘ Professore, l’avevamo pregata di smettere dal propagandare dalla cattedra di una università dello Stato una visione della storia distorta e tendenziosa, che può solo corrompere le menti e gli animi dei giovani e istigarli alla eversione nei confronti del governo. Lei non ha voluto ascoltare le nostre esortazioni, che pur tenevano conto della sua onorata carriera. Sono costretto a riferire al Ministero l’esatto contenuto della sua lezione. Avrà notizie per le vie gerarchiche’. Ciò detto, si alza e esce, seguito dagli studenti che mormorano impauriti.
Il professore resta solo nell’ aula fredda e scura. Egli si era tante volte proposto di cambiare corso, ma la sua innata pigrizia gli aveva impedito di farlo. Aveva scommesso sulla propria irrilevanza politica, ma evidentemente neppure lui era abbastanza irrilevante da poter essere tollerato. Esce lentamente dall’ aula e dalla facoltà e si avvia verso casa. Nel paonazzo tramonto del primo dicembre romano echeggiano dagli altoparlanti di cento campanili le parole della preghiera della sera.