Nell’ambito dei recentissimi interventi governativi, integrativi e correttivi del Jobs Act, attenzione particolare è stata dedicata al lavoro accessorio, compensato con i voucher. L’obiettivo mira ad eliminarne l’abuso, finito paradossalmente, in via patologica, per coprire il lavoro nero, tradendo l’iniziale finalità di contrasto al fenomeno.
Premessa
Le ragioni del constatato anomalo ricorso al lavoro accessorio, facendo salva la positiva incentivazione occupazionale, sono da cercare nel tipo di evoluzione della specifica normativa registrata nel tempo.
Il quadro legislativo venutosi a creare in materia, evidentemente sulla spinta di talune esigenze settoriali, parte dalla legge Biagi, il cui d.lgs n. 276/2003, prevedeva il lavoro accessorio limitatamente a determinati settori marginali e a taluni prestatori.
Con l’allargamento dell’istituto, passato attraverso la legge Fornero fino al Jobs Act (v. D. lgs. n. 81 del 2015), viene al contrario statuito, in buona sostanza, il superamento dell’occasionalità, tanto da legare la natura del rapporto soltanto al limite economico, inizialmente di 5000,00 euro, poi 7000,00 euro annuali, con riferimento alla totalità dei committenti. La liberalità si è dilatata fino a far ritenere le prestazioni accessorie non ascrivibili, sotto il profilo giuridico, ad alcuna delle due fattispecie di rapporto di lavoro (subordinato o autonomo).
Dal punto di vista quantitativo, richiama l’attenzione il crescendo dei dati diffusi dall’Osservatorio del Precariato dell’INPS, secondo i quali nel periodo gennaio/luglio 2016, sono statati acquistati 84,3 milioni di voucher, con un incremento, rispetto all’analogo periodo del 2015, di ben 36,2%. A sua volta, il trend nel 2015 era in aumento in confronto agli anni precedenti: i lavoratori sono passati da 24.000 nel 2008 a 1,4 milioni nel 2015. Restando nella valutazione di massima delle cifre, potrebbe essere indicativo dell’uso dei voucher attendibilmente patologico o distorto con una certa diffusione, la rilevazione dei bassi compensi a livello individuale.
Contenuti del D. lgs 24/09/2016 n. 185
La fonte delle modifiche è il D.lgs n. 185 del 2016, pubblicato sulla G.U. n. 235 del 7/10/2016 ed entrato in vigore l’8/10/2016. Il decreto reca espressamente, nell’ambito delle stesse previsioni della legge delega del Jobs Act, disposizioni integrative e correttive di ben cinque degli otto decreti attuativi della Riforma, tra i quali il D.lgs n. 81 del 15/06/2015, che tratta la materia all’esame.
Per quanto qui interessa, le nuove misure, al di là attendibilmente dell’incremento della vigilanza sulla corretta applicazione normativa, sono incentrate su una azione di intensificazione della tracciabilità dei voucher.
Il correttivo, a livello normativo, è introdotto mediante la sostituzione del comma 3 dell’art. 49 del già citato D.lgs n. 81 del 2015.
La nuova formulazione prevede che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che intendono avvalersi del lavoro accessorio, sono tenuti a comunicare, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore. In particolare, è fatto obbligo di indicare anche il luogo, il giorno, l’ora di inizio e di fine della prestazione.
La comunicazione, tramite sms o email, deve essere diretta alla sede competente del nuovo Ispettorato del lavoro, come è noto, in via di riorganizzazione, trattata nella stessa bozza del decreto in commento, con modifiche al d.lgs n. 149 del 2015. Il Ministero del lavoro potrà, con proprio decreto, dettare disposizioni amministrative circa l’attuazione delle predette modalità di comunicazione ovvero prevederne delle altre, in funzione dello sviluppo tecnologico.
Rimane da chiarire, in attesa della definizione delle citate procedure, se la comunicazione possa essere indirizzata anche all’INPS, secondo la nota ministeriale n. 3337 del 25/06/2015.
L’adempimento di cui sopra incombe anche sugli imprenditori agricoli, che, in particolare, sono tenuti ad indicare nella comunicazione espressamente la durata delle prestazioni, che, per la specificità del lavoro agricolo, possono essere collocate in un arco temporale di tre giorni.
Il conseguimento dell’obiettivo di contrasto all’utilizzazione fraudolenta del lavoro accessorio è rafforzato anche, nella intenzione del legislatore, dall’introduzione, così come nel lavoro accessorio, di una sanzione amministrativa da 400 a 2400 euro per ogni lavoratore occupato, nell’ipotesi di omessa comunicazione delle prestazioni di tipo accessorio.
Trattasi di sanzione non soggetta a diffida, scelta che, come è noto, non rende praticabile il pagamento dell’importo minimo edittale (vale adire 400 euro), ma soltanto la riduzione ex art.16 della legge n. 689/81(nel caso specifico 800 euro).
E’ da chiarire l’applicabilità o meno, in caso di violazione, della più consistente e assorbente sanzione prevista per il lavoro nero. La tesi negativa muove dalla considerazione che non si verterebbe nell’ipotesi di mancata comunicazione al Centro per l’Impiego di un rapporto di lavoro subordinato. Tuttavia, va chiarito, anche a beneficio di una corretta e uniforme attività ispettiva, che attendibilmente verrà intensificata in materia, se una comunicazione di ore lavorative inferiori a quelle effettive, possa o meno configurare una fattispecie di lavoro irregolare.