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Si sta avvicinando l’ora delle scelte prioritarie

Entro il mese di luglio, si saprà la verità sulle reali intenzioni della maggioranza che sostiene il Governo Letta. Dovrebbe scattare l’aumento dell’IVA, si saprà che soluzione verrà data all’IMU, vedremo cosa sarà proposto per l’occupazione giovanile. Anche altre questioni possono far vacillare la stabilità del Governo, come quella delle riforme istituzionali, ma lo scoglio più insidioso è quello economico e sociale. I dati sono sempre più allarmanti e lo scollamento sociale sempre più evidente. Tutto ciò rende urgente e vitale l’iniziativa del Governo. La quale non è facilitata dalla situazione finanziaria. Sarebbe bello, come suggerisce Brunetta, che l’Europa ci riconoscesse un extra bilancio pari alle perdite subite dal terremoto in Emilia; circa una ventina di miliardi euro, che aggiunto agli 8/ 10 miliardi attivabili per la fine della procedura di infrazione, metterebbe il Governo nelle condizioni di soddisfare al meglio le tre questioni sopra indicate.

 
 
Ma su questo terreno, nulla si può dare per scontato. Per i criteri che utilizza la Commissione europea, sarebbe un’innovazione di assoluta novità. Letta potrà mettercela tutta nel sostenere la richiesta, ma la strada è tutta in salita. Resta il fatto che, comunque, bisognerà dare un ordine di priorità a quelle tre questioni e tutti hanno capito che, per ora, nel Governo questa gerarchizzazione non ancora è stata definita. Sono assunte tutte come priorità, anche se Letta non perde occasione per assicurare all’occupazione giovanile il primo posto. E questa primazia dipende da due direzioni d’intervento: favorire investimenti privati e pubblici e ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, a partire da quello per i giovani. Circa i primi, la dimensione delle risorse è ovviamente importante, ma più rilevanti – specie per gli interventi che dipendono dal pubblico – sono i tempi di avvio e di attuazione delle iniziative (ciò apre il capitolo delle procedure e delle condizioni di realizzazione, compresi gli accordi sindacali conseguenti) e la lotta alla corruzione (basta leggere Gratteri e Saviano per capire come bisogna agire).

Quanto all’occupazione giovanile, non c’è bacchetta magica che possa moltiplicare i posti di lavoro, soprattutto nel breve periodo, con domanda interna bassa e trend dell’export in rallentamento per via dell’austerità europea. La via è una sola: ripartire il lavoro che c’è. A questo riguardo, bisognerebbe aprire una parentesi sulle responsabilità delle parti sociali, come sollecita anche il Governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali alla recente Assemblea annuale. Spetta soltanto a loro decidere se, in una fase drammatica come questa, sia pure per un arco di tempo breve, bisogna accordarsi, settore per settore, per una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro annuale, oppure lasciare le cose come sono attualmente. Ma tutto ciò non esclude un ruolo del Governo che – se vuole perseguire un’efficace risultato – non deve disperdere le risorse in mille rivoli, ma concentrarle in tre direttrici: contratti di solidarietà per ridurre l’area delle tutele passive, la staffetta generazionale per combinare un’uscita soft dal mondo del lavoro per gli anziani e un’entrata graduale per i giovani, ma soprattutto contratti part-time per gli under 30 anni, con contributi previdenziali totalmente fiscalizzati per 3 anni e 5 anni, se nel Mezzogiorno.

Ci vogliono molti soldi per rendere credibili queste misure. All’incirca 1,5 miliardi di euro all’anno per realizzare diffusi contratti di solidarietà (ora sono appostati 50 milioni, una miseria), efficaci staffette generazionali (dipende da come vengono impostate) e l’avvio di almeno 200000 giovani al part-time (vedere proposta su news letter n. 95). Il vantaggio di queste misure è che non hanno bisogno di una governance barocca e quindi potranno essere attivate con tempestività. Inoltre, non implicano la riapertura della discussione sulle regole del mercato del lavoro perché, come l’esperienza insegna, si sa quando si parte e non si sa quando si arriva e in particolare come.

Se questa è la priorità vera, le altre questioni avranno bisogno di un ridimensionamento, che non potrà che essere a geometria variabile. L’IVA sarebbe meglio che non aumentasse. I consumi sono così bassi che deprimerli ulteriormente significherebbe mettere nel conto un’ulteriore riduzione dell’occupazione e delle aziende che producono soprattutto per il mercato interno. O si trovano spese contraibili pari almeno ad una parte del valore dell’incremento di un punto della tassa o bisognerà limare parecchio le aspettative, alimentate a fini elettorali, sull’eliminazione dell’IMU. Però, l’impatto della riconferma dell’IMU – sia pure con soluzioni tecniche che modulino la tassazione in modo più egualitario e che tutelino i proprietari di un’unica casa -, potrebbe essere attenuato dall’introduzione dello sgravio dell’IVA su tutte le spese di manutenzione ordinarie e non solo straordinarie (come da ultimo provvedimento sulle ristrutturazioni). Avviare una pratica concreta del conflitto di interesse tra proprietario e imprese o artigiani edili, meccanici, elettrici ecc. potrebbe giovare anche al grande tema dell’evasione fiscale.

Una impostazione di questo genere punta alla quadratura del cerchio; non avrebbe nessun sapore di demagogia, ma mostrerebbe una logica orientata decisamente allo sviluppo e favorirebbe un clima costruttivo che, allo stato, è poco presente nella società. Certo, non tutti sarebbero accontentati, parecchi sarebbero costretti a prendere atto della realtà, ma la maggior parte degli italiani capirebbe che il senso di marcia è finalizzato con determinazione. Soltanto il lavoro assicura dignità e quindi è da lì che occorre ripartire per recuperare quello che si è perso in questi anni di indecisioni, di errori, di sventatezza, di cinismo. E’ inutile individuare tutte le volte le responsabilità. Basti avere sempre presente che chi ha governato negli anni passati, ne ha più di tutti gli altri. Ora, per guardare avanti serve una prospettiva chiara e impegnativa. Se si riesce a dare questo segnale, gran parte della società, specie quella produttiva, si muoverà nella stessa direzione. 

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