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Sta emergendo un nuovo welfare: alcune esperienze

Ad oltre un secolo dalla loro nascita, i sistemi di protezione sociale europei si sono trovati a fronteggiare nuove sfide legate alle profonde trasformazioni che hanno investito le società occidentali nel corso degli ultimi tre decenni, rese ancora più evidenti dagli effetti (di ampia portata) prodotti dalla recente crisi economica. Il lento e faticoso riallineamento dei tradizionali schemi welfaristici al manifestarsi di nuovi rischi e nuovi fattori di vulnerabilità sociale ha dato avvio ad un processo di ridefinizione delle logiche di intervento, portando alla luce strategie alternative – o almeno complementari – in grado di imprimere un’accelerazione alla transizione verso un moderno e più efficace assetto di welfare.

Al centro del dibattito viene posta la ricerca di nuove modalità di risposta ai bisogni dei cittadini, attraverso la sperimentazione di sistemi di protezione sociale più flessibili e calibrati in maniera puntuale sui profili di specifiche persone, categorie, territori. Non solo. Le esperienze raccolte nel più vasto scenario europeo mostrano la chiara tendenza a sperimentare formule di protezione sociale ispirate ad una logica di “rete”, con il coinvolgimento di un’ampia gamma di soggetti privati che mobilitano risorse aggiuntive a quelle pubbliche per rispondere ad esigenze e aspettattive sempre più complesse. Un nuovo assetto emergente, un secondo welfare, per riprendere la definizione che da il titolo al Primo rapporto sul secondo welfare in Italia, realizzato dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Perché secondo?La risposta a questo interrogativo va ricercata nelle prime pagine del rapporto. L’accezione positiva attribuita alla locuzione “secondo welfare” (…) non equivale a proporre la sostituzione di spesa pubblica con spesa privata, quanto piuttosto a mobilitare e usare in modo razionale ed efficiente risorse aggiuntive (…) in un contesto di finanza pubblica fortemente vincolato

Nel solco tracciato in sede europea da alcuni principi ispiratori (sostenibilità ed efficienza, flexicurity, inclusione, protezione sociale come «fattore produttivo», partnership fra pubblico e privati…) sono state sperimentate progressivamente forme di protezione sociale emergenti, che provano a dialogare con le tradizionali configurazioni del welfare state in maniera funzionale, integrandone le lacune, stimolandone la modernizzazione e sperimentando nuovi modelli organizzativi, gestionali e finanziari. 

Le esperienze descritte nel rapporto forniscono uno spaccato ricco di interessanti riflessioni e approfondimenti sulla dimensione assunta dal secondo welfare nel nostro paese. La sperimentazione di percorsi innovativi, tesi ad introdurre nuove pratiche di welfare nelle aree di disagio ancora distanti (e per certi versi inesplorate) dall’intervento pubblico, trova i suoi principali interpreti in ampia platea di attori (dal sistema delle imprese ai sindacati, dal mondo assicurativo al Terzo settore e alle Fondazioni) la cui incidenza economica, tutt’altro che irrilevante, sta contribuendo in maniera significativa alla crescita del secondo welfare. 

I dati ripresi nel rapporto ben evidenziano tale tendenza, a partire dall’incidenza del Terzo settore sul Pil, valutabile in più di 4 punti e con circa 670.000 occupati e quasi 5 milioni di volontari; le Fondazioni di origine bancaria, che grazie ad un patrimonio di 42 miliardi di euro, nel 2012 hanno erogato quasi 1 miliardo di euro sostenendo 22.000 interventi; di questi, poco meno della metà, sia in termini di interventi che di somme erogate, è andata a settori direttamente riconducibili all’ambito del welfare. Ancora: oltre l’80 per cento delle aziende italiane con più di 500 dipendenti ha avviato una qualche iniziativa di welfare aziendale e ben il 43% di esse offre almeno due tipi di interventi di welfare per i propri lavoratori. Alcune di queste esperienze, realizzate da grandi e medie aziende, sono state descritte e approfondite nel rapporto, in cui si ribadisce tuttavia la necessità di ampliare il raggio d’azione di simili interventi al tessuto produttivo delle piccole imprese, sfruttando le opportunità offerte da strumenti quali i contratti di rete, i patti per lo sviluppo, i bandi regionali dedicati proprio a questa tipologia di imprese. 

Le esperienze brevemente riprese rappresentano solo una parte delle iniziative analizzate. Ad esse si aggiungono tutta una serie interventi messi in campo per contrastare il forte incremento della povertà e della disoccupazione non sussidiata, con il coinvolgimento diretto, ad esempio, delle Fondazioni di comunità che (spesso in collaborazione con enti locali e sindacati) hanno sperimentato soluzioni di micro-credito accompagnato da counseling mirato e tutoraggio.

Su questa scia, molti enti locali e alcune Regioni hanno imboccato la strada dell’innovazione sociale, attuando non solo una politica di riduzione degli spechi, ma facendo proprie delle logiche di intervento costruite su una virtuosa collaborazione con il privato e con il Terzo settore, configurando network di attori animati da intraprendenza e creatività. Sotto tali spinte, hanno preso avvio processi di innovazione sociale che valorizzano la dimensione locale del welfare e consentono di organizzare e sviluppare al meglio il contributo e le potenzialità dei diversi soggetti che agiscono a livello territoriale. Il sistema innovativo di “reti di conciliazione” istituito dalla Regione Lombardia così come il nuovo schema contributivo introdotto dalla Regione Liguria per la copertura del rischio di non autosufficienza rivolto a tutti i residenti, sono una testimonianza diretta (non l’unica) di come gli stessi attori pubblici (sebbene con fatica e con vincoli di bilancio) stiano ricercando progressivamente nuove direttrici lungo cui muoversi per fronteggiare manifestazioni (talvolta inattese) di disagio e di vulnerabilità sociale.          

Dalle esperienze raccolte emergono, tuttavia, anche elementi di criticità, legati – tra gli altri – non solo alle possibili difficoltà di ricondurre a sistema una molteplicità di iniziative (in alcuni casi incomplete e frammentate), collocando su una piattaforma comune le sinergie virtuose che si attivano fra stato, mercato, terzo settore e famiglia, ma anche ad un disparità territoriale tra Nord e Sud da cui il secondo welfare non sembra immune.

Tra luce e ombre, dunque, nelle sue diverse forme e sperimentazioni, il secondo welfare apre a interessanti prospettive di sviluppo, mostrando una realtà concreta, in continuo divenire, proiettata verso una ricalibratura dei tradizionali schemi di protezione sociale, volta ad offrire – come ribadito nel rapporto “(…) soluzioni dirette al rinnovamento di modelli organizzativi e pratiche tradizionali, fino a promuovere un cambio di paradigma: non smantellamento, ma modernizzazione e ri-orientamento della protezione sociale, al punto da trasformarla, in alcuni ambiti, in «promozione» sociale, ossia veicolo di empowerment, di capacitazione dei beneficiari”. 

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