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Testimonianze

Al tempo del Corona virus, la vita nell’ospedale. “La notte è il momento peggiore”

Turni estenuanti, pazienti non solo anziani ma di ogni età che improvvisamente peggiorano “senza vi sia apparente ragione”, a causa di un virus che sembra non seguire alcuno “schema preciso”: è il racconto di quella che ormai è diventata la quotidianità di un sanitario del San Gerardo di Monza nel tempo del Coronavirus, che ha il potere anche di dividere le famiglie.

“Sarebbe bello avere il modo di mettere in contatto i pazienti in rianimazione e i loro cari, ma purtroppo non c’è”, ha spiegato. I pazienti sono in isolamento e “quando senza alcun motivo sensato improvvisamente i polmoni smettono di funzionare, come si spegnessero, a volte senza che si riesca a recuperare la situazione, non c’è tempo di pensare alle chiamate” Non ci sono i tablet . E anche le mascherine scarseggiano. “Diciamo che non ce ne sono sempre e sono sempre meno”, ha proseguito l’infermiere, “e da quando è stato deciso di sospenderci i tamponi, molti di noi vivono soli, dopo aver mandato le famiglie a casa di amici e parenti, per non metterli a rischio, ed è molto dura”.

Per gli infermieri, come ha raccontato il professionista monzese, “la sicurezza non è garantita perché la tutela decimerebbe le presenze, un sacrificio che anche se è difficile da accettare, se non lo facciamo noi chi lo fa?”. Il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri impone di restare a casa ma “evidentemente in molti non lo comprendono ancora, e la nostra è una preghiera, dopo la richiesta gentile, forse troppo, dello Stato”, ha continuato il professionista “se le indicazioni verranno rispettate forse tra venti, trenta giorni vedremo un miglioramento”. Questa sera, per lui come i suoi colleghi, si apre un’altra nottata: “il momento peggiore, perché siamo in pochi, la stanchezza pesa e c’è tanto silenzio”.

Redazione ANSA 18.56 – 14 marzo 2020

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Al tempo del Coronavirus la laurea è in streaming. “Proclamato dottore nella mia stanza con i miei collegati in salotto”

“Ho aperto la porta della stanza ed ho trovato i miei: ero dottore, mi ero laureato”. Alessandro Di Chiara, 27enne romano, la discussione della sua tesi di laurea la immaginava diversa: la tensione, la commissione, la paura, i parenti, gli amici, la festa, insomma tutto ciò che normalmente ci si aspetta da una seduta di laurea. Ai tempi del Coronavirus però anche le sedute di laurea vivono protocolli diversi, adattati a quelli che sono i dettami dei decreti della presidenza del Consiglio. Così Alessandro è diventato dottore nella sua casa nel quartiere della Montagnola, nella sua stanza, collegato alla piattaforma messa a disposizione dalla sua Università, la Luiss. Dall’altra parte, connessi, i professori, pronti ad ascoltare l’esposizione della sua tesi e a proclamarlo dottore. 

“E’ durato in tutto otto minuti”, ci racconta. “Prima della discussione hanno fatto l’appello, virtuale, dei laureandi. Poi ad uno a uno abbiamo discusso le nostre tesi. Per me nessuna domanda, solo l’esposizione sul mio elaborato. Otto minuti. Poi lo schermo che si è fatto nero. Cinque minuti davanti al pc, con i miei di là che avevano assistito alla seduta in videoconferenza. Quindi il verdetto e la proclamazione con la votazione: ero ufficialmente laureato in Scienze politiche, specializzazione in relazioni internazionali”. 

Matteo Scarlino 15 marzo 2020 – Da Roma Today

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Al tempo del Coronavirus, a Londra. “Mio figlio ha polmonite e febbre a 39,5 ma per lui niente tampone perché è giovane”

Massimiliano vive a Roma e racconta la storia di un pezzo di Italia che lontano dalla quarantena e dal “lockdown” ora teme il peggio. E’ il padre di Fabio, 22 anni, che vive con la madre, Angela, e la sorella, Claudia a Londra. Il ragazzo da 5 giorni sta male: sua mamma ha provato a chiamare il servizio sanitario britannico, ma non lo visitano neanche. Lei, che ha la tosse, e la figlia continuano a lavorare per non perdere il lavoro. Ma in Italia dovrebbero stare in quarantena

Fabio, un ragazzo di 22 anni, da cinque giorni a casa con febbre a 39.5 e tosse: dopo giorni di appelli inascoltati, un medico italiano, al telefono, gli ha diagnosticato la polmonite. La mamma, Angela, 51 anni, anche lei da giorni con la tosse ma senza febbre, prosegue invece il suo lavoro di assistenza sociale agli anziani. E poi c’è Claudia, 27 anni, sociologa, che prosegue il suo lavoro di libera professionista, fra appuntamenti, convegni e riunioni di lavoro. Una scena impossibile in questo momento in Italia, perché al giovane avrebbero fatto come minimo il test per il Covid-19 e tutta la famiglia sarebbe costretta alla quarantena. 

Anzi, oggi come oggi rischierebbero l’arresto. Angela, Fabio e Claudia – i nomi sono di fantasia – invece, si trovano a Londra, dove la vita continua normalmente, in nome della “immunità di gregge” teorizzata dal primo ministro Boris Johnson. “Hanno paura, vorrei portarli in Italia perché qui starebbero al sicuro, ma non so come”, dice Massimiliano, il papà, che vive a Roma, e che ha contattato ilfattoquotidiano.it per raccontare la storia di un pezzo di Italia che lontano dalla quarantena e dal “lockdown” ora teme il peggio.

“Da giorni mia moglie – spiega Massimiliano – sta cercando di contattare il 111 (il numero messo a disposizione dal servizio sanitario inglese, ndr) per far fare il tampone a nostro figlio e, nel caso, ricoverarlo. Da piccolo il ragazzo ha avuto problemi respiratori e abbiamo paura. 

Ma le telefonate vengono totalmente ignorate. Le rispondono che è giovane e che finché non ci sono sintomi gravi i tamponi non vengono fatti, né possiamo ottenere una visita a domicilio”. I sanitari del numero messo a disposizione dalle autorità britanniche hanno anche voluto parlare direttamente con Fabio, per poi riferire alla madre: “Finché non ci sono sintomi gravi il ragazzo resti a casa e faccia la quarantena”. “Ti dicono – aggiunge Massimiliano – di lavarti le mani e consultare internet”.

In parte, va detto, questo è il criterio che ormai viene adottato anche qui in Italia, dove sempre più spesso si sta cercando di curare le persone a casa. Ma quando questo avviene, si impone a tutta la famiglia di fare la quarantena. In Inghilterra, invece, dal racconto di Massimiliano, questo non è possibile: “Mia moglie sta continuando a lavorare – dice – perché fa l’assistente sociale per gli anziani. Certo, potrebbe prendersi il congedo per malattia, potrebbe anche mettersi in quarantena, ma non verrebbe pagata. Anzi, rischierebbe di perdere il posto di lavoro. Perché in Inghilterra ci sono misure diverse di welfare, non c’e’ la cassa integrazione, o il reddito di cittadinanza, come da noi. E, ancor più per questa emergenza, i datori di lavoro fanno presto a rimpiazzarti. Pazienza se gli anziani assistiti da mia moglie si prendono il virus”. Stessa cosa per Angela, la sorella più grande, che fa la libera professionista: “Se non lavora, se rimanda gli impegni, non guadagna. Non c’è il lockdown, non ci saranno misure”.

Sul profilo Facebook “Londra italiana”, è apparsa una lettera dei gestori della pagina ai propri connazionali in Italia. Il post si conclude così: “Cari amici, se vi lamentate voi che avete un governo che tenta di proteggervi e di curarvi, vi assicuro, noi non avremo questa fortuna”; e ancora: “Amici, non vi lamentate se il vostro motto adesso è #iorestoacasa, perché il nostro, attualmente, e’ #iohopaura”.

da gruppo Facebook Londra Italiana

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Al tempo del Coronavirus sull’autobus a Roma”Mai visti mezzi così vuoti. Il virus fa paura”

Si avvia a lavoro tutte le mattina con uno zainetto Federico, nome di fantasia per proteggerne la privacy, autista Atac da 20 anni. Con l’emergenza Coronavirus in corso una piccola borsa è diventata indispensabile per avere sempre con sè soluzioni disinfettanti e un rotolo di scottex. Armato di carta e spray, ogni mattina, prova a tutelarsi per quel che può. “Il posto guida me lo pulisco da solo, l’azienda non sempre lo fa come dovrebbe, non ci fidiamo”. 

Igienizza tutto con estrema precisione. Il sedile, il volante, il cambio. Poi sale sul bus e lo porta in giro per strade deserte da giorni. E pensare che nessun romano, abituale fruitore dei mezzi pubblici, ha forse mai preso una vettura senza restare spiaccicato nella calca, almeno nelle ore di punta. Ricordi lontani. “Ora l’atmosfera è surreale – racconta a RomaToday Federico – non avevo mai visto niente del genere. Guidiamo mezzi quasi vuoti”. 

Ieri notte ha attaccato alle 4 del mattino e in sei ore di turno, muovendosi nel quadrante est della città, ha fatto salire 12, 13 persone. Due utenti l’ora. Venerdì era sull’85, il bus che collega Arco di Travertino alla stazione Termini. Via del Corso, piazza Venezia, via del Tritone, piazza Barberini. Trentasette fermate, una dietro l’altra, senza quasi mai fermarsi. Paline deserte, non è salito nessuno. “Noi autisti senza mascherina” I pochi romani che usano i bus per lavoro, ridotti a orario estivo non oltre le 21, salgono dalle porte posteriori, una catenella li separa dalla cabina guida. Hanno spesso la mascherina, “ma ho notato – spiega ancora Federico – che le persone sono più protette quando mi avvicino al centro”. Lui invece, autista in prima linea a garantire il servizio di tpl della Capitale, nei giorni del blocco totale anti covid, la mascherina non ce l’ha. 

“L’azienda non ci ha fornito nessun dispositivo di sicurezza e protezione. E io in farmacia non l’ho trovata”. E allora ha adottato qualche rimedio casalingo. “Mi metto una sciarpa ripiegata due volte che mi copre la faccia. Lo so che però forse non funziona”. Prova a sorridere ma non nasconde la paura. “Perché poi torno a casa dalla mia famiglia, per i lavoratori non è stato fatto abbastanza. Forse dovevano muoversi con più anticipo”.

Già, la lista delle richieste avanzate dai dipendenti e intercettate dai rappresentanti di categoria è corposa. Su tutte una sanificazione completa delle vetture. Il Campidoglio l’ha promessa e sostiene sia in corso a tappeto, ma i sindacati stanno alzando la voce: non è abbastanza. “Abbiamo chiesto che vengano favoriti i turni rimessa-rimessa” spiega Federico. In pratica: iniziare e finire il turno nel deposito e non ai capolinea, così da ridurre gli spostamenti degli stessi dipendenti – che poi devono raggiungere la rimessa di partenza con altri mezzi pubblici – e da garantire più operazioni di pulizia. “E’ importante per ridurre anche i passaggi della vettura tra più colleghi”.

Fare il proprio lavoro in sicurezza, non chiede altro Federico e con lui gli autisti Atac. Come ha accolto le parole di vicinanza e incoraggiamento arrivate dal presidente Paolo Simioni con una nota interna? “I messaggi vanno bene, ma vorremmo che venisse a fare un turno con noi. Si renderebbe conto”.

*Ginevra Nozzoli – Roma Today, 16/03/2020  

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Al tempo del Corona virus in corsia. Siamo persone, non eroi

«Sono le sette, il turno è finito: dodici ore in corsia». Non ci si può sbagliare: sette del mattino, sette di sera. Entri che c’è luce, esci che è buio. «Prima di andartene via ti butti sotto l’acqua e ti lavi dalla testa ai piedi: hai la sensazione di toglierti di dosso il virus, di uscire pulito». Poi ti metti in macchina e la giornata ti passa davanti. Vuoi solo tacere, non accendi nemmeno la radio.

Paolo Miranda fa l’infermiere da nove anni. Rianimazione, terapia intensiva a Cremona. «Siamo l’ultima spiaggia. Da noi, dove i letti scarseggiano, arrivano pazienti in condizioni disperate. Ed è una follia dire ai giovani che sono esclusi da questa emergenza: ci sono anche loro».

Paolo è appassionato di fotografia, ma per gli hobby ora non c’è tempo. Allora ha preso la sua macchina fotografica e ha documentato il lavoro in trincea di questi giorni. In uno scatto una sua collega è per terra, stremata. Piange. «Un momento di sconforto e la caposala che le va incontro, si piega, le dice che andrà tutto bene. Siamo persone, non eroi».

I letti della rianimazione sono pieni. «Dall’inizio dell’emergenza non ho ancora visto una persona sveglia, qui sono tutti intubati». E soli. «Niente parenti che vanno e vengono con borse di roba. Il reparto è chiuso: tutti fuori. Uno di noi a fine giornata si fa carico delle telefonate: ci sono genitori e figli che stanno appesi al filo ad attendere una nostra chiamata. Non sono tutte belle. C’è chi muore lì, con i vestiti di quando è entrato». Non va sempre così. «Prendi due giorni fa. Una mia collega ha fatto il tampone. Eravamo in corsia, le hanno detto che era negativa e si è messa a saltare in reparto dalla gioia».

Dopo dodici ore il turno finisce, si va a casa. «Vivo con mia moglie Corinne, è un’infermiera anche lei. Indovina di cosa si parla a cena…. non si stacca mai, nemmeno a casa: pensi e ripensi a quello che hai fatto, al giorno dopo, a quando tutto finirà». Finchè è notte. «Mi sveglio di colpo, si dorme poco. A volte mi giro nel letto e trovo mia moglie con gli occhi aperti, anche lei insonne». Finché suona la sveglia. Cinque e mezzo. Che sia un buongiorno.

Enrico Galletti – Corriere della sera 18 marzo 2020

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Al tempo del Corona virus a 8634 Km da Wuhan. Il saluto straziato di Cristina Pellicioli a suo fratello”

Sono passate poche settimane da quando quella sera, come sempre, ripulivo il tavolo dalle stoviglie della cena. Rammento quel servizio trasmesso al tg, dove la polizia prelevava a forza dalle proprie abitazioni, le persone colpite da coronavirus. Con una serie di piatti da portare in cucina e mettere in lavastoviglie mi fermo di fronte allo schermo e seguo con attenzione il servizio e commento: “Poveracci… ma che succede nel mondo?!” e rammaricata, proseguo con le mie abitudini, perché la Cina è lontana dall’Italia, la meravigliosa penisola composta da venti regioni, centocinque città, più di settemila novecento comuni…

Alzano Lombardo è uno di questi comuni. Ho vissuto i miei primi vent’anni lì. Via Fantoni 52, il grande portone di pietra. Ero fortunata perché casa mia aveva un doppio ingresso, così potevo accedere anche da Via San Pietro 4. Eravamo in 5: mamma, papà, una sorella, un fratello ed io. Una vita tranquilla, gli anni sono trascorsi uno dietro l’altro. Ognuno di noi ha intrapreso la sua strada. Mamma viene a mancare di cancro e papà resta solo nel grande appartamento, per qualche anno, poi, raggiunge la moglie con lo stesso male.

Io ho già lasciato Alzano, da tanti anni, prima per la città, Bergamo, poi per un minuscolo paese sul lago d’Endine, Monasterolo del Castello. Così pure mia sorella lascia il paese. Paolo, mio fratello, resta, accasandosi nella frazione del paese, Nese.

Alzano Lombardo dista da Wuhan 8634 chilometri. Non vai di certo a pensare di poter vedere al telegiornale della sera lo stesso servizio disperato che hai visto poche settimane prima, con i piatti sporchi in mano, di persone che muoiono a decine di Coronavirus. Wuhan e Alzano, no, impossibile. Come può quel virus muoversi in un tratto così lungo, e poi, dai!.. proprio a casa mia?

Caro COVID 19, ti sei preso anche un bel nome, sembra il codice di un qualcosa di bello, suona bene quando lo dici, potrebbe essere un tormentone, il codice sconto da applicare sul totale di una spesa online, potrebbe essere il modello di un’auto ibrida, o un tipo di aereo. Invece sei un maledetto killer che si è insinuato nelle nostre vite e le stai distruggendo.

Caro COVID19, hai percorso i tuoi 8634 chilometri e sei entrato nella casa di mio fratello. Wuhan /Alzano Lombardo. Da qualche giorno Paolo ha un po’ di febbre, è stanco, così resta a letto. Il medico, al telefono gli consiglia la cura per l’influenza. La febbre va e viene, la stanchezza, il senso di pesantezza nel tentativo di muoversi un po’ resta costante. Nadia, la sua meravigliosa compagna di vita, moglie straordinaria, chiama ancora il medico. La diagnosi sembra invariata, ma ormai il protocollo COVID 19 è in atto un po’ ovunque. Se avete la febbre state a casa, non uscite, non andate dal medico, non andate al pronto soccorso, telefonate al numero dedicato a questa situazione o alla guardia medica.

Paolo mi fa una videochiamata dal letto della sua camera. Lo sgrido scherzosamente affinché si tiri un po’ su di morale, perché si possa sforzare di alzarsi un po’ e mangiare qualcosa. Lui mi dice che è stanco, ma chiede comunque alla moglie un po’ di prosciutto. La mattina presto Nadia mi chiama. Paolo di notte è stato portato in ambulanza all’ospedale di Bergamo perché faticava a respirare. Nadia scende dall’ambulanza, viene allontanata e Paolo entra in ospedale con tutto il meraviglioso personale sanitario, ma solo. Nadia resta fuori e per lei e i figli scatta l’isolamento.

Ben presto arriva la conferma che in realtà Paolo non è entrato solo, ma in compagnia di COVID 19. Inizi a ragionare sui numeri, statistiche, età, ovviamente tutto è a favore di Paolo, va bene, sei stato sfortunato a prenderti questo virus, dai, però sei giovane, 56 anni, la cura farà sicuramente effetto. Ti rendi conto che da adesso nella tua vita il prefisso COVID è obbligatorio e in ospedale ogni reparto è covid qualcosa, Paolo viene trasferito in gastroenterologia, ma che ora è gastrocovid, poi settore due, ovviamente covid 2 e perché farci mancare medicina che è Medicovid?

Non esistono turni né per i medici né per gli infermieri, per tutti gli operatori, che lavorano senza sosta, le visite sono chiaramente e tassativamente proibite. Molto semplicemente vivi vicino al cellulare, controllando che ci sia campo, rispondendo a chiunque che non sia ‘covid qualcosa’ di non poter tenere occupato la linea. Ti prepari mille domande, ma quando un medico riesce a trovare qualche istante per allontanarsi dalle decine di pazienti che ci sono per chiamare un familiare, ascolti quello che ti viene detto, non riesci, non puoi fare domande. Ma capisci sempre poco, perché la paura di ricevere brutti aggiornamenti di annientano il cervello. Tu capisci quasi esclusivamente la parola STABILE. Sarà positivo, stabile è meglio che peggioramento o altro, ma al tempo stesso stabile dovrebbe diventare almeno UN PO’ MEGLIO. 

Paolo riesce a chiamare Nadia due, tre volte: chiede come stanno tutti loro, fa notare a Nadia che è il compleanno di Luca. La chiama anche alle tre del mattino. No, da stabile arriva la notizia che la terapia non fa effetto. La ventilazione non funziona. Cosa vuol dire? Adesso verrà sedato….

Buonasera signora, sono la dottoressa xxxxxx, volevo comunicare che suo fratello è deceduto.

Così CARO COVID 19, ti sei preso Paolo, mio fratello, marito da una vita di Nadia, papà di Luca e Gloria. Te lo sei preso da infame che sei, strappandolo alla sua vita di colpo, ferendo tutta la sua famiglia, che non ha potuto vederlo, sostenerlo, tenerlo per mano e non contento li hai isolati, rendendo impossibile a lui poterli aiutare, consolarei, abbracciare, accarezzare piangere con loro.

CARO COVID 19, mio nipote, nello strazio di ricevere da me la notizia della morte di suo padre mi ha detto: “Zia, vieni qui, vieni a casa”. E io ho dovuto dire no. Consolo i miei cari al cellulare, via whatsapp. Paolo è in un nuovo gruppo, ovviamente DECESSI COVID, un gruppo tristemente numeroso, resterà con loro in attesa di nuove procedure. Nei pochi spostamenti concessi e dovuti per la situazione, con le dovute precauzioni, ho potuto intuire come medici e infermieri si muovono, dico intuire perché non puoi vedere nulla.

CARO COVID, te lo sei preso, ma sono certa che Paolo ti ha sorriso per non darti soddisfazione. Paolo, come mi dice Nadia nelle nostre chiamate, “avevi ancora tante cose da fare, eri sereno con i tuoi ragazzi, con tua moglie, i tuoi hobbies. Volevi farmi vedere la tua auto nuova, ma quel giorno non c’ero. SCUSAMI. Con questa storia ho capito che non siamo protetti nei nostri spazi, per quanto vogliamo proteggerli, che anche io posso far parte di quelle notizie del tg, che non le vedi davanti allo schermo, ma ci sei maledettamente dentro, ed essendo tutto nuovo e sconosciuto, è difficile capire quale sia la strada giusta per ritrovare i tuoi equilibri.

CIAO FRATELLONE

da gruppo Facebook IO RESTO A CASA 

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Al tempo del Coronavirus sull’isola“Il virus passerà, ma qualcosa cambierà per sempre…”

“… Ieri ho fatto il pieno di gasolio. Ho pensato “se bloccano i traghetti, sull’isola in tre giorni finisce tutto”. Due giorni prima l’avevo pensato per la farina, e avevo allungato la mano per prenderne un pacco in più. Ho preso anche due sacchetti di sale. Il sale, la farina…

Ho notato che i pensieri di questi giorni suonano più o meno così: “Sta arrivando anche qui”; “È già arrivata anche lì”; “Quando arriva che faremo?”; “Ci sta raggiungendo”. Sono le domande che ti fai su un fronte mobile, qualcosa che avanza. Sono le domande che si fanno in guerra. Non ce le siamo mai fatte. La nostra generazione è stata la prima nella storia del Pianeta Terra a vivere senza guerra, almeno in Europa. Nati senza conoscere la minaccia, non ci siamo mai dovuti preoccupare. Negli Usa la “rottura” deve essere arrivata con l’11 settembre. Qui qualcosa si è spezzato adesso.

Ci vorranno sessant’anni per smaltire questo trauma. Ma nel frattempo avremo altre emergenze. Penso che gli anni migliori del Pianeta (almeno qui, almeno per noi) siano finiti. Ricorderemo il periodo dal 1945 al 2020 come gli anni della spensieratezza, il Tempo Perduto. Ora inizia il Nuovo Tempo. Quello in cui non sarà più lo stesso. Dovremo imparare a convivere con la paura.

Il virus passerà. L’incertezza e la paura, resteranno. Anche perché il virus sarà mutageno? Tornerà diverso a ogni inverno? Ne arriverà un altro? Ciò che oggi è emergenza, diventerà la norma? Un abbraccio, un bacio, un dialogo seduti in un bar, non saranno più la stessa cosa di prima. Quando ti cade una bomba vicino casa non conta che poi la guerra finisca. Tu continuerai ad avere paura di quella bomba. Il boato resterà nelle tue orecchie (e nel cuore) per sempre.

Da piccolo per farmi finire quello che avevo nel piatto mi dicevano: “Pensa ai bambini in Biafra”. Io non sapevo dove fosse il Biafra, e la cosa non funzionava molto bene. Certo è che non siamo capaci di concepire l’assoluto, abbiamo bisogno di qualcosa con cui parametrarlo, un correlativo. La farina non è mai stata un valore per noi, lo era per mio padre, nato nel ’32. Ma se finisce, anche solo una volta, lo diventa. Il principio base della nostra percezione non è il “Valore Reale”, ma il “Delta”. Lo scarto rispetto a ciò che riteniamo “normale”. Se cambia il Delta, cambia tutto. 

Eravamo convinti di avere tutte le possibilità, tutto il tempo. “Devo iniziare la dieta”, “Un giorno lascio tutto e vado in montagna”. Ma c’era tempo, si poteva procrastinare. Sarà ancora così? Esperita la “minaccia”, cosa penseremo del tempo che ci rimane? Avevamo anche una convinzione: “l’unico problema è restare senza soldi“. Eppure il pericolo oggi non lo sconfiggi col denaro, semmai con i comportamenti. Dunque domani cosa penseremo della sicurezza economica? I sovranisti ieri sputavano sullo Stato, oggi guardano all’ISS come al Papa, che ti benedica, e domani voteranno chi promette soldi per la Sanità pubblica.

Il mondo non è mai stato quello che è, ma ciò che percepiamo di lui, noi. Il virus passerà, ma qualcosa è cambiato per sempre. Nel Tempo Nuovo avremo nuove priorità. Lo vivrà appieno chi saprà riformularne l’ordine, costruendo un nuovo equilibrio. Chi saprà adeguarsi. Cambiare.”

 

da gruppo Facebook Il Portale degli Chef – Rossella de Cesare

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Al tempo del Coronavirus con il bicchiere mezzo pieno. “Il virus del contrappasso”

Potremmo chiamarlo il Virus del Contrappasso.

Potenza invisibile nell’era della visibilità.

Minaccia il respiro ma migliora la qualità dell’aria.

Costringe a casa le famiglie ma riconsegna ai genitori il ruolo di educatori.

Relativizza l’intelligenza artificiale vendicando il mondo animale più selvatico.

Ridicolizza l’opinione del popolo valorizzando la competenza degli esperti.

Penalizza il contatto fisico dimostrandone l’insostituibilità.

Elimina gli eccessi dando forza all’essenziale.

Favorisce lo smartworking chiarendone i limiti di intelligenza.

Elimina gli alibi maschili parificando i ruoli domestici.

Isola le persone indicando il bisogno di reciprocità.

Disarma la discriminazione selettiva alimentando la coscienza sistemica.

Non credo al castigo biblico ma Dante era un genio”

 

di dott. Francesco Morace. Sociologo

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Al tempo del Coronavirus, per imparare a stare meglio. “… allora, SI PUÒ FARE!”

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! Lo smart working da casa senza creare traffico e inquinamento e senza intasare i trasporti pubblici.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! la didattica a distanza magari durante le allerte meteo o per chi ha qualsiasi altro problema di mobilità.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! andare a ritirare la pensione a scaglioni senza fare folle oceaniche agli uffici postali ogni mese o addirittura usare i bancomat.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! Che il medico di base ti manda la ricetta tramite SMS o email senza dover prendere un giorno di ferie per andare a fare la fila allo studio medico.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! A proposito di file, fare una fila ordinata senza nessuno che vuole fare il furbo e passare davanti.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! Elogiare il sistema sanitario nazionale senza offendere o peggio malmenare il medico al pronto soccorso perché abbiamo aspettato un ora in più.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! Elogiare le forze dell’ordine per il lavoro che fanno senza poi essere additati come fascisti.

Ah, ma allora SI PUÒ FARE! Fregarsene dei bilanci, l’Europa e lo spread per impiegare risorse per aiutare chi è in situazioni di urgenza o difficoltà.

E infine

Ah ma allora SI PUÒ FARE! Una telefonata ogni tanto a chi vogliamo bene per chiedere come sta invece del solito fetentissimo messaggino anche per gli auguri di compleanno o addirittura le condoglianze.

…ah ma allora SI PUÒ FARE!

da gruppo Facebook IO RESTO A CASA – Francesco Mauriello

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Al tempo del Coronavirus, a narrare come si sta. “Non andare a lavorare significa….”  

Volevo precisare che il frigo vuoto nella foto è effettivamente mio, ma grazie a Dio ho una famiglia che mi supporta. Quando ho scattato la foto ho però pensato a chi non ha la mia stessa fortuna e si trova davanti a questa situazione. Soprattutto a quelli che vivono “alla giornata”, senza un contratto perché autonomi, operai o artigiani.Ecco perché ho scritto questo post, nell’intento di sollevare le coscienze di chi PUO’ e DEVE fare qualcosa SUBITO.

A chi mi ha dato del pezzente, del nullafacente, dello scansafatiche, del sovversivo ecc voglio solo ricordare che non si dovrebbe MAI giudicare una persona senza conoscere la sua storia familiare, personale e lavorativa. A tutti voi che, invece, (a migliaia) mi avete manifestato solidarietà ed eravate pronti anche ad aiutarmi in vari modi non posso che dire GRAZIE. 

Ho avuto la conferma che l’Italia è un GRANDE paese e gli italiani, per fortuna la maggior parte, hanno un GRANDE CUORE. Grazie ancora e speriamo di uscirne presto tutti.

da facebook – Dario D’amato 

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Al tempo del Coronavirus, al supermercato. “Le galline non fanno più le uova?”

Decidi di alzarti dal letto alla domenica mattina , dopo aver dormito 4 ore, perché la stanchezza mentale non vuole darti pace, allora esci a bere il caffè in terrazza, e ascolti quel rumore assordante del silenzio, non c’è nessuno per strada, qualche uccellino che prova a cantare, il rumore delle foglie al vento, inizi a sentire le prime tapparelle che salgono, le bandiere italiane appese fuori dalle terrazze che sventolano, ascolti quei suoni che non sentivi più!

Inizi a sentire i dolori al collo per la tensione che hai, la stanchezza che ti prende tutto il corpo.

È domenica, potresti rilassarti ma non ci riesci perché sai già che il giorno dopo arriverà presto. Arriverà un’altra settimana estenuante, con i mal di testa che ti accompagnano tutto il giorno, sì tutto il giorno, perché tenere su la mascherina tutto il tempo comporta questo.

Arriverà un’altra settimana di tensione, di nervoso, di stress, che dovrai cercare di nascondere ma alla fine cederai con qualcuno, perché non hai la mente lucida, perché le cose da fare si sono moltiplicate, perché la gente si è moltiplicata, perché cerchi di voler tranquillizzare tutti, aiutare tutti ad entrare in supermercato senza farli aspettare troppo fuori, con la consapevolezza di doverli far entrare poco per volta, per salvaguardare prima i dipendenti e poi i clienti stessi. 

Manca il lievito, la farina, l’acqua lauretana!!! E le uova? Le galline non fanno più le uova?! 

Fidatevi, noi c’è la stiamo mettendo tutta per caricare tutto, ma siamo persone prima di essere dipendenti, abbiamo anche noi come voi 2 gambe e 2 braccia! Mi dispiace che vi siete fatti la coda di 15 minuti per prendere solo lo yogurt al melograno e fatalità era finito, ma noi ce la stiamo mettendo tutta! 

Io voglio ringraziare tanto, ma veramente con tutto il cuore quei clienti che non si lamentano, che ti guardano con il sorriso mentre sono in coda per entrare, che ti danno una parola di conforto, che ti sostengono, che ti ringraziano per quello che stai facendo e che ti applaudono per darti forza! Ecco io voglio ringraziarvi, perché se noi siamo ancora lì a tenere botta e grazie a voi che per primi avete rispetto di noi. GRAZIE

dal web

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Al tempo del Corona virus, raccontando il futuro. “Anno 2030…Nonna raccontami del 2020” 

E la nonna cominciò: ….era il 2020, dieci anni fa. All’improvviso una epidemia investi tutto il mondo, proveniva dalla Cina …ma era stata portata da altri, forse da militari americani…ma non si seppe mai la verità ! L’Italia fu colpita prima di tutti in Europa, tanti morti, tutti chiusi in casa….paura, diffidenza, gli ospedali erano pieni di gente. Durò alcune settimane….fu dura…tanto! il governo dopo un primo momento di incertezza reagì bene, con forza e coraggio. Tutti gli Italiani dettero prova di grande esempio e spirito di sacrificio. Le persone riscoprirono il valore dell’aiutarsi a vicenda. 

Purtroppo la chiusura delle fabbriche e di tantissimi negozi fu il vero problema che dovemmo affrontare. Una crisi spaventosa, alla quale non eravamo preparati. Chiedemmo aiuto all’Europa, all’epoca avevamo una Comunità…così si chiamava Comunità Europea. Doveva servire per fare una grande Nazione, come gli Stati Uniti. Ma altre Nazioni, come la Germania e l’Olanda….dissero che dovevamo fare da soli. Oppure dargli le nostre aziende, gli aeroporti, le autostrade, l’oro della Banca d’Italia…i nostri risparmi…ma come…dopo quello che avevano combinato, proprio loro!

E allora nonna cosa accadde…..?

Accadde che ci rendemmo conto che dovevamo fare da soli: il Presidente della Repubblica chiamò tutte le aziende e la Banca d’Italia emise un prestito solo per gli Italiani di 100 miliardi…. si chiamava SALVA ITALIA e doveva servire per risollevare le sorti del Paese. Successe l’incredibile… i politici rinunciarono ai loro stipendi per 6 mesi; tutti i dirigenti d’azienda fecero allora la stessa cosa……ed anche tutti coloro che potevano …..investirono la metà dei loro risparmi…..quindi le aziende sane comprarono così tanti titoli che lo Stato Italiano raccolse 300 miliardi in poche settimane. A quel punto chiamarono un grande banchiere…un certo Draghi! 

Con quei soldi, non solo superò la crisi del momento, ma ricomprò anche una parte del debito  che avevamo. Diminuì le tasse per consentire di produrre a costi più bassi….Dopo 4 mesi appena eravamo la Nazione più in forma del momento, mentre le altre ci stavano a guardare sperando che non ce la  facessimo. Alcune aziende che avevano spostato le loro produzioni all’estero, come la Fiat, tornarono in Italia. A quel punto per far lavorare tutti diminuirono l’orario di lavoro così da non perdere il tempo da passare assieme alla famiglia. Il maggior fatturato consentì di ricomprare ancora i debiti che avevamo fatto negli anni passati.

Eravamo così orgogliosi di essere Italiani, furono anni di grande intensità emotiva e riscoprimmo di essere un grande popolo, fortunato….perché vivevamo nel paese più bello del mondo !

Grazie Nonna …… domani me la ripeti ? È una storia così bella !!!!! 

 

da Facebook 30 marzo 2020 – Claudio Sammioto

———————————

Al tempo del Coronavirus, pensiero per i miei alunni… “Quando domani torneremo a scuola” 

Quando domani torneremo a scuola

nel giardino ci sarà ancora una viola

che ora è lì, al posto della bidella

e alle otto, puntuale, suona la campanella.

Perché la scuola è come il mare, non si ferma mai

nonostante i limiti e tutti i suoi guai.

Questi giorni è una scuola diversa, gli esperti la chiamano “a distanza”

non tutti insieme nella nostra aula, eh no magari, ma ognuno in una stanza.

Non ci tocchiamo, non litighiamo, però ci vediamo, parliamo

eccoci qua, mio piccolo amico, io e te ci siamo.

Quando domani torneremo a scuola, lo prometto, 

la prima cosa che faremo, sarà un bel giretto

per Panicale, s’intende, il nostro bel paesino

che ora sogna di vedere anche solo un bambino.

Quando domani torneremo a scuola, sarà una gran confusione:

lasciate pure i libri a casa, non ci sarà lezione.

– Ma come?! – si chiederà qualcuno ansioso.

– E’ il primo giorno e il maestro fa l’ozioso?

E allora sarà uno di voi a dar risposta

come se quella domanda fosse stata fatta apposta

– Ascolti bene mio caro signor Mariani, 

non si preoccupi se non finiremo i Romani

e non sarà un problema se non conosceremo il complemento d’agente

ora abbiamo imparato qualcosa di prezioso: a cercare la gente. 

Speriamo che a maggio faccia una bella nevicata

così torneremo al bar del Gallo per un’altra cioccolata.

Già, come l’anno scorso quando tutti imbacuccati

per fare a pallate ci siamo quasi ammazzati.

Forse è più probabile, però, che ci sia il sole di primavera

e allora, garantisco, ci sarà una sorpresa… bella e vera.

Per rimediare alla gita saltata

ci inventeremo una lunga passeggiata

per i campi, al lago, al bosco o in montagna

che ci importa, dove, purchè sia campagna.

All’aria aperta, sotto il solleone 

per divertirci basterà un pallone.

Pistole ad acqua, qualche altro scherzetto

per avere il silenzio ai maestri servirà il fischietto.

Sceglieremo un sentiero pianeggiante e comodo, ve lo dico:

dovremo essere tutti, anche il nostro speciale amico.

Quando domani torneremo a scuola saremo tutti un po’ cambiati

chi più largo, chi più stretto, alcuni anche alzati.

Allora prenderemo una magica lente d’ingrandimento

e scopriremo che, soprattutto, saremo cambiati dentro.

Torneremo a scuola presto, ragazzi, ve lo prometto:

io sogno già il vostro abbraccio, stretto stretto! 

 

Paolo Buzzetti insegnante elementare (Istituto Comprensivo Panicale Piegaro Paciano – Scuola Elementare Panicale -PG)

 

 

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