E’ stato presentato nei giorni scorsi il Terzo Rapporto Italia sulla Cooperazione, realizzato da Euricse, in collaborazione con l’Alleanza delle Cooperative Italiane.
A fine del 2013 i dati più recenti e completi disponibili, sulla situazione del mondo della Cooperazione, ci dicono che siamo di fronte a circa 70.000 cooperative attive, di cui 67.062 propriamente cooperative, 376 Banche di Credito Cooperativo e 1.904 Consorzi.
Il Rapporto fotografa lo stato di salute del Sistema nel suo complesso, analizza il comportamento delle imprese nel periodo 2011-2013, ma soprattutto ci consente di valutare l’analogo andamento negli anni della crisi (2008-2013), comparando tutti i dati disponibili con quelli di altre tipologie d’impresa come le Spa o le Srl.
La Figura seguente ci permette di esaminare i settori di attività sui quali sono distribuite le cooperative e di individuarne i pesi relativi. Spicca su tutti il comparto della Sanità e dell’assistenza sociale che diverrà certamente nei prossimi anni il settore d’attività con più della metà delle cooperative italiane. I servizi, in particolare quelli rivolti alle imprese, la logistica ed il trasporto, il settore distributivo ed un’agro-alimentare sempre più sistema di qualità, ed il sistema del credito cooperativo, collocano il movimento in una direzione di forte sviluppo, di crescita e di innovazione.
Il Rapporto ci dice che l’economia cooperativa (escluso il settore del credito e a dati 2013) ha un valore della produzione che ha superato 108 miliardi di euro, di cui 90,7 per le cooperative e 17,6 miliardi per i consorzi, e che questo equivale all’8,5% del PIL nazionale.
In piena crisi, tra gli anni 2008-2013 la cooperazione è cresciuta di 10 miliardi in valori assoluti (+14%) ed i consorzi di 2,4 miliardi in più del valore della produzione (+ 16,9%). Anche dal punto di vista occupazionale, nella crisi si è avuto non solo un incremento in termini assoluti, ma una stabilizzazione dei nuovi posti di lavoro, come si vede dai dati della figura sottostante, con un numero di addetti a tempo indeterminato che raggiunge circa il 77%.
I dati che seguono ci indicano proprio l’andamento dell’occupazione e del valore della produzione nell’insieme degli anni della crisi presi a riferimento.
In questo periodo i dati Inps evidenziano un incremento del 6,8%, pari a + 80.575 addetti (+ 10% e + 102.000 addetti se si escludono imprese agricole e parasubordinati), mentre nelle imprese private il dato è stato del – 5%, pari ad almeno 500.000 lavoratori in meno.
Complessivamente, nella cooperazione di tutti i settori, Euricse stima che nei 6 anni considerati l’occupazione sia cresciuta per oltre 220.000 addetti.
Il valore della produzione nei 6 anni di crisi presi a riferimento è quello che abbiamo riportato all’inizio e che viene ripreso nella Figura sottostante:
I dati Inps per lo stesso periodo ci consentono una valutazione qualitativa sull’occupazione, distinta per tipologie contrattuali, per genere e per i giovani con età inferiore ai 35 anni:
I dati INPS mostrano in tutta la cooperazione un totale di 1.257.213 occupati a fine 2013, mentre le posizioni lavorative attivate nel 2013 (comprendenti stagionali, contratti a termine, assunzioni per sostituzione ecc.) hanno raggiunto quota 1.764.976 ingressi.
Particolarmente significativo è il commento del Rapporto ad un aspetto raramente analizzato: il rapporto tra tipologia di impresa e fisco, pur limitato agli anni della crisi: “Nel periodo 2007-2013 le cooperative hanno incrementato costantemente il loro apporto alla finanza pubblica, mentre le spa lo hanno diminuito. Sommando i differenziali annuali registrati tra il 2007 e il 2013 si rileva che le cooperative hanno versato alle casse dello Stato 5 miliardi 475 milioni 974 mila euro in più di quelli che avrebbero versato se avessero mantenuto la produzione al livello del 2007. Nello stesso periodo le spa hanno invece ridotto il loro contributo all’Erario di ben 15 miliardi 735 milioni 559 mila euro”.
Le cooperative hanno avuto più delle altre imprese una maggiore stabilità e una minore diminuzione di fatturato, risultato d’esercizio e occupazione.
Tuttavia, la percentuale di cooperative che hanno aumentato gli investimenti si è ridotta. Buona, ma anch’essa in riduzione e inferiore a quella delle altre forme di impresa, risultava infine la propensione a introdurre innovazioni.
Questi risultati sono confermati da un confronto più puntuale tra cooperative, società a responsabilità limitata (srl) e società per azioni (spa) nella Figura 5 seguente: le cooperative hanno registrato una crescita complessiva del 24,7%, contro il 10,6% delle srl e a fronte di una crescita praticamente nulla (+0,7%) delle spa.
Nello stesso periodo i redditi da lavoro sono cresciuti nelle cooperative del 29,3% contro il 13,5% delle spa e del 23,1% delle srl.
Ne è conseguita per le cooperative una forte riduzione dei margini, decisamente superiore a quella delle altre forme di impresa. Ciononostante le cooperative hanno comunque aumentato il capitale investito e il patrimonio netto più delle spa, e meno delle srl.
Nel corso della crisi le cooperative hanno aumentato gli investimenti e il patrimonio più di spa e srl, anche se il loro livello di patrimonializzazione è rimasto inferiore a quello delle altre due forme di impresa, soprattutto perché impegnate nei settori ad alta intensità di lavoro. Infine le cooperative, in tutti gli anni del periodo, hanno distribuito a favore del fattore lavoro una percentuale del valore prodotto nettamente superiore a quella sia delle spa (83% contro 54% nel 2006) che delle srl (60% nel 2006) e in crescita fino all’87% del 2012.
Il Rapporto dimostra che in Italia la Cooperazione ha contribuito in modo importante alla formazione del PIL e all’occupazione, e ha reagito alla crisi in modo diverso dalle altre tipologie di impresa, presentando una dinamica anticongiunturale. Questo è in particolar modo un apporto legato alla peculiare forma proprietaria e di governance. Dice infatti il Rapporto: “Si conferma così che la funzione anticiclica delle cooperative è da attribuire soprattutto al loro essere imprese con obiettivi e strutture proprietarie che tendono a salvaguardare l’interesse dei soci e, più in generale, di utenti e lavoratori in quanto portatori di uno specifico bisogno, piuttosto che il capitale di rischio”.
Il Rapporto evidenza anche punti di debolezza del sistema cooperativo italiano: ad esempio, “la crisi ha determinato un netta e generalizzata contrazione del risultato di esercizio – superiore a quella delle altre forme di impresa – e inciso negativamente su patrimonializzazione e propensione all’investimento”.
Il Rapporto contiene alcuni capitoli dedicati alle cooperative industriali, al credito cooperativo e al mondo della cooperazione sociale. E’ presente infine una parte dedicata a quelle che possono essere definite le “nuove frontiere della cooperazione italiana”:
- –Workers buyout, cioè il fenomeno delle 252 imprese recuperate in forma cooperativa dai lavoratori negli ultimi 30 anni, per il 60% nel settore manifatturiero (60%). Molte hanno potenziato l’attività e aumentato l’occupazione, determinando un particolare motivo di studio, interesse, sviluppo.
- –Cooperative di comunità, nel Rapporto non vengono presentati dati sul fenomeno, ma le loro potenzialità risultano interessanti come contributo alla riflessione in corso nel movimento cooperativo.
- –Cooperative che gestiscono beni confiscati alle mafie, sono 448 le organizzazioni che in Italia hanno in gestione beni confiscati, per un valore di 362 milioni di euro di beni immobili. Di queste 123 sono cooperative sociali e hanno registrato nel 2013 più di 4.200 occupati. “Questo ambito cooperativo è – dice il Rapporto – interessante soprattutto per il suo ruolo di contrasto alla criminalità attraverso la creazione sia di ricchezza e di occupazione in territori ad elevata presenza criminale, che di capitale sociale”.
Tutto bene allora?
Si, ma con molti problemi da risolvere. Interi territori del Paese sono devastati dalla cooperazione spuria; altri da scandali e da inquinamenti con la criminalità organizzata; il rapporto politica e cooperazione come l’abbiamo conosciuto è saltato o compromesso; nascono come funghi sindacati di imprese e di lavoratori fasulli, patronati fasulli, sistemi di rappresentanza cooperativa, fuori dalle tre Centrali, finalizzati al solo dumping contrattuale; il sistema degli appalti al massimo ribasso e dei subappalti è da rivedere; il sistema della vigilanza è inesistente; troppi soci non sanno di esserlo; la supplenza sulle carenze del Welfare e la mancanza di risorse rischiano di ricadere sui soci e/o addetti, a volte sempre più in crisi, in “burnout” o sfruttati a volte da cooperative spurie o “padronali”.
Parlare di questi temi per risolverli è difendere l’immagine e il lavoro della vera cooperazione.