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Ucraina e Ponzio Pilato

La cosa che più  mi ha colpito della manifestazione di S. Giovanni del 5 marzo scorso, almeno dalle immagini delle riprese televisive e dalle fotografie, era l’assenza pressoché  totale di bandiere ucraine, il pullulare di striscioni contro la guerra e di cartelli con scritto “Né con Putin né con la Nato”.

Come dice P.Flores d’Arcais in un articolo su MicroMega chi oggi dice “No alla guerra!” è ipocrisia, “No alla guerra di Putin!” è pacifismo. L’immagine della piazza mi dava il senso di una grande ipocrisia in cui non si distingueva tra aggressore e aggredito, vedi la mancanza delle bandiere ucraine, e in cui forte era la tendenza, come del resto negli interventi dal palco “a capire” Putin rappresentata nei cartelli “Né con Putin né con la Nato”.

Di tutto si può ovviamente discutere ma c’è un fatto, oggi l’Ucraina è attaccata, le sue città sono bombardate dai carri armati, dagli aerei e dai missili russi, cosa c’è da capire e cosa c’entra la Nato. Oggi si deve manifestare contro la guerra di Putin, non si può dire, novelli Ponzio Pilato io non scelgo, né con Putin né con la NATO. perché l’aggressore è Putin e non la Nato. È un neutralismo che non riconosce il fatto che possa oltrepassare i confini di altre nazioni in assetto di guerra, é un neutralismo che abbandona l’Ucraina a un destino di sudditanza già deciso da Putin.

Immaginatevi Keynes, che nel 1919 abbandonò la delegazione inglese nella trattativa di Versailles perché critico contro le condizioni imposte alla Germania, E un  A.J.P. Taylor, che nel 1961 pubblicò un libro sulle cause della seconda guerra mondiale, discettare su Radio Londra nel 1939 dopo l’invasione tedesca della Polonia, del Belgio, della Francia sulle “ragioni” della Germania nazista.

Quel cartello ne ricorda un altro di infelice memoria, “Né con lo stato né con le BR” contro cui la CGIL di Luciano Lama, e tutto il sindacato unito, seppe schierarsi con grande fermezza senza cedere a nessun distinguo.

Molti hanno tirato in ballo l’allargamento della NATO all’Est come causa del conflitto. Difficile negare ai paesi baltici e alla Polonia la ricerca di una protezione militare nei confronti della Russia data la loro storia secolare nei confronti sia della Russia zarista che di quella sovietica, ma fino al 2014  questo allargamento non ha prodotto particolare reazioni da parte di Mosca. La reazione è avvenuta con la rivolta di Maidan, appunto nel 2014, che portò al rovesciamento del presidente filorusso Janukovyč e alla nascita in Ucraina di un governo non sottomesso, modello Bielorussia, a Mosca.

Lo spiega bene uno dei critici dell’allargamento della Nato, Kissinger in un articolo scritto dopo la rivolta di Maidan. Kissinger affronta il problema dal punto di vista del realismo dettato dalla forza delle potenze dominanti e suggerisce a Kiev, e alle nazioni occidentali, di adeguarsi alle richieste di Mosca perché la Russia non potrà mai accettare un’Ucraina libera di decidere il proprio destino. L’autodeterminazione dei popoli nel ragionamento di Kissinger ovviamente non trova spazio, ma del resto analogo fu il suo ragionamento rispetto al Cile di Allende. Non sorprende che Kissinger applichi lo stesso schema all’Ucraina, sorprende semmai che qualcuno lo usi per giustificare Putin.

Nei giorni precedenti l’attacco Macron e Scholz in visito a Mosca hanno dato ampie assicurazioni a Putin sul fatto che l’Ucraina non sarebbe entrata nella NATO e vi erano ampi spazi per trattare sulle questioni poste da Mosca, ma questo non è bastato perché questo non era l’obiettivo di Mosca, l’obiettivo reale era il controllo di Kiev.

“Rinunciare alla resistenza militare, la resistenza deve essere civile”; “Non si può rispondere alla guerra con la guerra, no all’invio di armi all’Ucraina”; ” Deve intervenire l’ONU, bisogna convincere Kiev ad accettare un compromesso”. Questi gli slogan dei pacifisti nelle varie manifestazioni, nei talk show e sui giornali.

Sono sorprendenti e di difficile comprensione specie pensando a qualche organizzazione che li fa propri. Come fa ad esempio l’ANPI dicendo no all’invio di armi all’Ucraina o a dire rinunciare alla resistenza militare. I partigiani attendevano con ansia i rifornimenti di armi da parte degli alleati e inviterei i dirigenti dell’Associazione a rileggersi nelle varie storie sulla Resistenza la reazione, soprattutto della base partigiana, al proclama del generale Alexander del novembre 1944 visto come un invito a tornare a casa dopo le battaglie dell’estate.

Rinunciare alla resistenza militare contro un’invasione è criticare nella storia dell’umanità la resistenza dei greci contro i persiani, dei galli, degli iberi, dei britanni e di tanti altri popoli contro i romani (dove fanno il deserto lo chiamano pace, diceva Tacito dei romani). Significa criticare tutte le guerre di liberazione dei popoli dagli imperi europei, tutte le guerre di indipendenza, tutte le guerre di resistenza contro il nazifascismo. 

Quante di queste guerre sono state rese possibili dalla fornitura di armi da parte di altri paesi? 

Non inviare armi all’Ucraina di fronte all’attacco russo significa abbandonarla alla mercé dell’aggressore. E’ come se vedessimo una persona aggredita per strada da un gruppo di delinquenti e ci voltassimo da un’altra parte. Che significano in questo caso, di fronte alle bombe che cadono, ai carri armati che avanzano, le parole “neutralità attiva”? 

Certo bisogna chiedere a tutti di dialogare, alle Istituzioni internazionali di intervenire, ma è difficile dimenticare che la risoluzione di condanna dell’intervento russo presentata al Consiglio di Sicurezza Onu è stata bocciata per il veto russo pur avendo avuto 11 voti a favore e tre astenuti su 15 componenti il Consiglio. Chi invoca l’intervento dell’ONU dovrebbe ricordarsi del potere di veto che Russia ( e Cina) hanno nel Consiglio di sicurezza, anche se nell’Assemblea Generale convocata successivamente la risoluzione di condanna per l’aggressione russa ha avuto 141 voti a favore, 5 contrari, 35 astenuti. Ma solo le risoluzioni del Consiglio sono giuridicamente vincolanti, quelle dell’Assemblea non lo sono anche se hanno un valore politico. La Russia, come si è visto, se ne è altamente disinteressata, continuando e intensificando i suoi attacchi.

Bisogna convincere l’Ucraina al compromesso, ma quale compromesso? Lo si è visto anche nei colloqui in Turchia; secondo Mosca l’unica cosa che può porre termine alle operazioni è la piena accettazione di tutte le richieste russe. Se questa è  posizione di Putin qual è lo spazio di trattativa per l’Ucraina al di fuori di una resa incondizionata?

E’ questo che dovremmo chiedere a Kiev di arrendersi ai russi, di accettare, tutte le loro condizioni, che non si limitano all’indipendenza delle repubbliche del Donbass e al riconoscimento dell’annessione della Crimea da parte della Russia ma che come minimo riguardano il mutamento del governo di Kiev? Che altro significato dare alla richiesta di denazificazione del governo ucraino.

Che ipocrisia è chiedere di trattare, trattare, trattare, quando solo una parte è disposta alla trattativa mentre l’altra vuole solo la resa della controparte. Si è più onesti a dirlo, gli ucraini rinuncino alla loro libertà e si arrendano in cambio della vita. Questo in realtà chiede loro chi si dichiara contrario all’invio di armi e afferma che bisogna spingere Kiev al compromesso.  

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