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Vogliamo far ripartire l’innovazione nella Pa

Il cambio di passo per una nuova stagione dei servizi pubblici.
Con l’accordo del 30 novembre 2016, si pongono le condizioni per un modello di sviluppo centrato sull’innovazione organizzativa e la qualità del lavoro. Affermare in premessa che “I lavoratori sono il motore del buon funzionamento della pubblica amministrazione” può suonare come un’ovvietà, invece ne sintetizza l’aspetto più innovativo: quello di una discontinuità netta con gli strumenti e le impostazioni dell’ultimo decennio.

Si apre una stagione in cui il ruolo della contrattazione e dei suoi protagonisti, le parti sociali, tornano al centro della scena e a loro viene affidato il compito di attuare un processo di riforma, che è allo stesso tempo organizzativo e culturale. Spetterà, infatti, alla contrattazione progettare contenuti e strumenti delle azioni che, nei mesi e negli anni a venire, dovranno rendere concreta l’evoluzione delle pubbliche amministrazioni da burocrazie a infrastrutture intelligenti.

 

Nuove regole per nuovi contratti

A monte di questo accordo c’è una scelta che dà di per sé il senso di una svolta, con cui il settore pubblico dimostra di volersi mettere al passo con gli esempi migliori dell’economia privata. Quella cioè di non considerare un negoziato come un gioco a somma zero, in cui una parte guadagna ciò che l’altra concede, ma invece sforzarsi di definire insieme come devono funzionare le relazioni sindacali per generare valore condivisibile da tutti i portatori di interessi: governo, lavoratori pubblici, cittadini utenti. Rinnovare i contratti nazionali non è più questione di ‘conquista’ o ‘cedimento’, ma necessità organizzativa comune affinché questo processo possa innescarsi e produrre cambiamenti.

Riconoscere che il motore del buon funzionamento della PA sono le persone che ci lavorano è il presupposto che legittima la contrattazione, modalità per sua natura ‘interattiva’ e partecipata, che permette di distribuire attraverso tutto il sistema dei servizi l’energia di quel motore: motivazione, saperi e competenze professionali, esperienza, intelligenza, creatività, insomma tutto il capitale cognitivo di cui la PA dispone.

Finita l’epoca delle invasioni di campo legislative che rafforzavano il potere del datore di lavoro pubblico, riducendo in parallelo gli spazi della partecipazione sindacale, la contrattazione nazionale e integrativa torna ad essere riconosciuta come la via più propria – e anche la più efficace – per definire e gestire tutto ciò che attiene al lavoro: la disciplina dei rapporti e le relative tutele, ma anche quegli aspetti organizzativi da cui gli interventi normativi del 2008-2009 l’avevano estromessa. La gestione di materie come il finanziamento dei trattamenti economici accessori e i sistemi premiali torna alla responsabilità delle parti, per essere utilizzata come leva di miglioramento organizzativo e di valorizzazione delle professionalità.

 

 

Le competenze al centro del lavoro pubblico

Un punto qualificante è quello che impegna le parti a elaborare nuovi sistemi per la valutazione, che consentano di misurare l’apporto dei singoli all’organizzazione, non con un intento essenzialmente ‘disciplinare’, ma con l’obiettivo di individuare le disfunzioni organizzative e stimolare un processo di apprendimento continuo attraverso il quale un’organizzazione pubblica impara a mettere sempre meglio a frutto le risorse di cui dispone, e ad investire in maniera consapevole sul loro potenziamento; diventando così più performante e più rispondente ai bisogni sociali.

Una valutazione che passa quindi da un approccio statico – prendere atto della scarsa performance di questo o quel lavoratore al fine di escluderlo in tutto o in parte dalle relative ricompense monetarie – ad uno ‘evolutivo’ il cui scopo è orientare lo sviluppo del singolo e delle sue risorse professionali e motivazionali in rapporto alla mission dell’organizzazione. Che è perciò funzionale all’emersione delle competenze inespresse e all’integrazione di quelle carenti o non più aggiornate. Al tempo stesso, mettendo l’accento sulla performance dell’organizzazione, obbliga quest’ultima a definire obiettivi di servizio che siano misurabili e trasparenti, e in questo modo abilita la verifica di qualità da parte della comunità che fruisce dei suoi servizi.

Una valutazione, anche, che concentra l’attenzione su un aspetto della produttività rimasto finora offuscato dietro l’argomento mediaticamente più spendibile della ‘caccia alla mela marcia’. Il fatto cioè che la progettazione, produzione ed erogazione dei servizi evoluti che cittadini e imprese di una società avanzata giustamente pretendono richiede di sviluppare le capacità di rete, le interazioni tra professionalità, l’intelligenza collettiva di quelle comunità di persone che sono le pubbliche amministrazioni.

La formazione dovrà diventare un capitolo centrale dei nuovi contratti collettivi e anche della pratica delle relazioni sindacali nei luoghi di lavoro, perché da un lato dovrà riqualificare professionalmente le singole persone e integrare le loro competenze, dall’altro favorire questa vera e propria ‘riqualificazione culturale’ delle amministrazioni da gerarchie a network.

Questa nuova impostazione richiederà un approccio diverso alla classificazione professionale, che dovrà mettere in risalto da un lato l’interdipendenza tra singola professionalità e modello organizzativo nel quale essa è inserita; dall’altro la necessità di riconcepire i profili professionali come percorsi aperti … adattarsi all’evoluzione dei mezzi tecnologici e dei bisogni sociali. E di trovare, per questi profili-percorsi, una misura adeguata di incentivazione anche economica.

 

Partecipazione e innovazione organizzativa: se a contare sono le professionalità

Per la via contrattuale dovranno prendere forma dei ‘patti’ per ridefinire l’organizzazione del lavoro pubblico, non in termini di prescrizioni astratte, ma di funzionalità rispetto ad un progetto produttivo.

I lavoratori pubblici, in quanto persone che quotidianamente agiscono sul campo la propria professionalità, possono essere molto di più che meri esecutori di una riorganizzazione impostata dall’alto: sono depositari di conoscenze utili ad orientare questo lavoro di ‘design organizzativo’, conoscenze che una pratica partecipativa delle relazioni sindacali a livello di ente può mettere efficacemente a sistema. Per questo è fondamentale che la partecipazione non resti un enunciato ma orienti realmente la ricerca di nuovi modelli organizzativi.

L’accordo rafforza il ruolo della rappresentanza come forma collaudata della partecipazione da recuperare e rilanciare, ma si impegna anche a sviluppare strumenti ulteriori di coinvolgimento dei lavoratori. Un’azione sindacale innovativa potrà articolarsi in questo spazio anche incentivando forme di partecipazione diretta, come strumento complementare accanto alla rappresentanza.

 

Passi in avanti nell’equiparazione pubblico privato: welfare aziendale e produttività

L’imperativo del recupero di produttività delle pubbliche amministrazioni rimane centrale; la novità è che non lo si declina più solo in termini di riduzione dei costi di gestione, bensì lo si mette in relazione con un’evoluzione del contesto di lavoro a 360 gradi. L’accordo parla infatti di misure, anch’esse da stabilire coinvolgendo le parti, che favoriscano il “miglioramento delle condizioni di lavoro”, integrando in un’unica cornice temi come l’eliminazione degli sprechi (ancora non superato, probabilmente proprio perché affrontato finora solo in relazione alla sua dimensione ‘contabile’) con la formazione continua, la conciliazione vita-lavoro, l’articolazione flessibile degli orari, il superamento del precariato non attraverso soluzioni tampone ma in maniera strutturale, commisurata ai fabbisogni presenti e previsti del servizio da offrire.

Misure che possono e devono rappresentare anche gli strumenti per affrontare “situazioni di disaffezione e demotivazione, nonché contrastare fenomeni anomali di assenteismo”. Riconoscendo perciò nuovamente il fatto che questi sono soprattutto indice di ‘patologie organizzative’ a cui si può dare risposta attraverso una maggiore attenzione, oltre che all’efficienza dei processi, al benessere lavorativo delle persone.

In questa logica, l’accordo impegna il governo ad introdurre gradualmente anche nel settore pubblico forme di welfare contrattuale integrativo, in primis previdenza complementare e fiscalità di vantaggio sulla parte di retribuzione legata alla produttività. Inoltre, punta ad aprire anche nel pubblico, a livello aziendale, spazi di sperimentazione analoghi a quelli che hanno consentito nel privato di maturare esperienze innovative, in cui i benefici disponibili vengono modulati per via negoziale tenendo conto di bisogni, necessità e situazioni di vita delle persone.

In un’ottica ancora più avanzata, potrebbero prospettarsi anche per gli enti pubblici soluzioni di welfare aziendale in cui una parte della retribuzione variabile è integrata con servizi interni offerti al dipendente, costituendo una sorta di ‘terzo pilastro’ che integra lo stipendio base e i sistemi di incentivazione tradizionali.

 

Più voce ai lavoratori nella riforma

La presenza attiva dei lavoratori pubblici come contitolari responsabili del percorso delle riforme trova spazio ad entrambi i livelli. Quello nazionale, attraverso la costituzione di un Osservatorio che non dovrà ovviamente limitarsi a raccogliere informazioni, ma verificare in concreto gli effetti qualitativi e quantitativi delle riforme stesse, dove funzionano e dove invece tradiscono le attese, capirne le cause e proporre interventi correttivi ove necessari.

Nelle singole amministrazioni, invece, i contratti collettivi definiranno iniziative a coinvolgere i lavoratori nella realizzazione di processi di semplificazione e trasparenza. Mentre la sopravvenuta scadenza della delega lascia congelata la riforma della dirigenza, per i lavoratori pubblici si apre un percorso partecipativo che ne riposta al centro bisogni, attese e soprattutto capacità di cambiamento.

 

La strada verso una Pa 4.0

Quella a cui l’accordo dà finalmente spazio è una concezione della pubblica amministrazione non più statica, fatta per replicare sé stessa mantenendo inalterate le proprie strutture, bensì dinamica e abilitata a coltivare la resilienza ai cambiamenti. Ed è questa, non la semplice sostituzione del cartaceo al digitale, la direttrice evolutiva che porta verso una ‘PA 4.0’, cioè una PA capace di rispondere innovando alla domanda di qualità dei servizi.

In questo quadro, si possono concepire e sperimentare anche forme inedite di attivazione del suo capitale cognitivo, ad esempio incentivando la formazione di team di lavoro che siano più autonomi nell’organizzare e gestire il proprio lavoro, a fronte naturalmente di una responsabilizzazione in rapporto al risultato; creando sinergie operative tra diversi enti sotto forma di gruppi di progetto trasversali e interdisciplinari, per affrontare in maniera efficace quelle sfide sociali complesse che esorbitano dalle competenze del singolo ente; o sperimentare la progettazione collaborativa per far emergere soluzioni dal basso, dall’esperienza e dalla creatività di chi svolge un servizio e di chi lo riceve.

Ma è solo ridando spazio alla contrattazione che si possono creare le condizioni affinché i posti di lavoro diventino incubatori di innovazione, costruendo sulle competenze e sulle professionalità delle persone. Un sindacato innovatore, da parte sua, deve assumersi ora ancor più consapevolmente il compito di proporre una progettualità nuova per in cui la realizzazione di nuovi servizi diventi un atto di co-creazione di valore pubblico.

 (*) Segretario Generale Cisl Fp

 

 

 

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