La mia è una generazione fortunata. Figli del dopoguerra, abbiamo goduto dell’esito positivo dei dolori, delle fatiche e delle lotte dei nostri genitori. La pace e la libertà conquistate sul campo, dopo che la prima metà del secolo era trascorsa tra 2 guerre mondiali e dittature; il benessere diffuso, raggiunto dopo decenni di povertà e privazioni; la scuola e la sanità come diritto per tutti, dopo secoli di ignoranza e epidemie.
Negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, il processo di crescita economica e sociale fu impetuoso nei suoi avanzamenti, ma anche contraddittorio per le molte resistenze che ancora vi si frapponevano. Se il cambiamento prevalse sulla conservazione è dipeso anche per la tenace testimonianza di persone straordinarie che combattendo contro l’arretratezza, i pregiudizi, le convenienze, hanno consentito l’avverarsi di piccole grandi rivoluzioni del pensiero e delle opere che hanno cambiato la società.
Una di queste è don Milani, che da uno sperduto angolo del mondo (ma inserito in un contesto cattolico e sociale fiorentino che andava da Elia dalla Costa, La Pira, Balducci) ha saputo, con la sola forza della parole, ma resa credibile dalla coerenza della sua vita, offrire una nuova prospettiva di emancipazione e dignità; soprattutto per i “piccoli”, secondo l’accezione evangelica del termine.
Ecco che la nostra ulteriore fortuna è di aver avuto dei buoni maestri. Ogni epoca ha i suoi, buoni o cattivi. Per noi, in uno scenario di grande dinamismo culturale ed economico del Paese, è stato possibile affidarci soprattutto a quelli buoni.
Se penso al “non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro Paese” di Kennedy, penso alla mia formazione all’impegno civico e alla responsabilità.
Se penso al Concilio di Giovanni XXIII, penso alla mia formazione religiosa e umana; finalmente in sintonia con “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” dei nostri contemporanei.
Se penso a Paolo VI (che mentre sosteneva finanziariamente don Milani gli raccomandava “delicatamente” prudenza), penso al discernimento; virtù difficile quanto preziosa nella vita ancor più che nella fede.
Se penso a Palme penso alla mia formazione economica riformista. In un discorso del 1977, in esplicita, casuale, sintonia, anche nel linguaggio, con le tesi di don Milani, disse: “Usando lo stato come uno strumento, noi abbiamo ottenuto per i comuni lavoratori salariati lo stesso tipo di sicurezza e lo stesso tipo di servizi che i benestanti hanno sempre dato per scontati, per il fatto che possono pagarseli direttamente. Dunque, è una elementare questione di giustizia sociale”.
Ma, se penso a don Milani, penso all’altro come persona e alle opportunità alle quali ha diritto, espresse con una originale e definitiva interpretazione dell’uguaglianza: “non fare parti uguali tra diseguali…”. Penso alla discriminante determinata dalla educazione, dalla formazione, dalla conoscenza. Penso alla idea di solidarietà non come vicinanza, ma come condivisione… I care!
È in questo contesto che molti di noi sono cresciuti e si sono formati. Per me l’impegno nel Sindacato prima e nella politica poi è stata la conseguenza di una scelta di vita ispirata a quei valori.
Eppure l’incontro con don Milani non è stato semplice. La radicalità delle sue posizioni andava oltre le più aperte posizioni intellettuali, politiche e sociali. Il pensiero di don Lorenzo fu contrastato e addirittura condannato, ma alla fine costrinse tutti ad una revisione profonda della propria visione morale e sociale.
Ci costrinse ad interrogarci con affermazioni lapidarie e provocatorie, ma, al dunque, così evidenti da sembrare ovvie.
Se i grandi della storia hanno aperto orizzonti e ci hanno messo in cammino, don Milani ha tracciato le rotte e abbiamo accelerato il passo.
*Assessore al Bilancio del Comune di Napoli