Ogni volta che muore un Papa, l’intera comunità ecclesiale e mondiale si commuove, poiché vede in lui la conferma della fede cristiana e il principio di unità tra le varie chiese locali. Si possono fare molte interpretazioni della vita e delle azioni di un Pontefice. Ne farò una a partire dal Brasile (dall’America Latina), sicuramente parziale e incompleta.
È importante constatare che in Europa vive solo il 23,18% dei cattolici e in America Latina il 62%, il resto in Africa e Asia. La Chiesa Cattolica è una Chiesa del Secondo e Terzo Mondo. I futuri Papi verranno probabilmente da queste Chiese, piene di vitalità e con nuovi stili di incarnazione del messaggio cristiano nelle culture non occidentali.
Con riferimento a Benedetto XVI, è opportuno distinguere il teologo Joseph Ratzinger e il Pontefice Benedetto XVI.
Il teologo Joseph Alois Ratzinger è un tipico intellettuale e teologo mitteleuropeo, brillante ed erudito. Non è un creatore, ma un eccellente esponente della teologia ufficiale. Questo è emerso chiaramente nei vari dialoghi pubblici che ha avuto con atei e agnostici.
Non ha introdotto nuove visioni, ma ha dato un altro linguaggio a quelle già tradizionali, fondate specialmente in Sant’Agostino e San Bonaventura. Forse qualcosa di nuovo è la sua proposta della Chiesa come un piccolo gruppo fedelissimo e santo come “rappresentanza” del tutto. Per lui non era importante il numero dei fedeli. Era sufficiente il piccolo gruppo altamente spirituale che sostituisce tutti gli altri. Accade così che all’interno di questo gruppo di puri e santi ci fossero pedofili e persone coinvolte in scandali finanziari, che ha demoralizzato la sua comprensione della Rappresentanza.
Un’altra posizione singolare, oggetto di una polemica interminabile con me, ma che ha avuto risonanza nella Chiesa, è stata l’interpretazione che “la Chiesa cattolica è l’unica Chiesa di Cristo”. Le discussioni conciliari e lo spirito ecumenico hanno cambiato “è” in “sussiste”. In questo modo si è aperto un cammino affinché la Chiesa di Cristo “sussistesse” in altre Chiese. Ratzinger ha sempre affermato che questa modifica era solo un altro sinonimo di “è”, che la meticolosa ricerca degli atti teologici del Concilio non ha confermato. Ma ha continuato a sostenere la sua tesi. Inoltre, ha affermato che le altre Chiese non sono chiese, ma possiedono solo elementi ecclesiali.
È arrivato ad affermare, più volte, che questa mia posizione si era diffusa tra i teologi come qualcosa di comune, il che aveva portato a nuove critiche da parte del Papa. Tuttavia, egli restò isolato, poiché aveva causato grande delusione nelle altre Chiese cristiane, come quella luterana, la battista, la presbiteriana e altre, chiudendo le porte al dialogo ecumenico.
Intese la Chiesa come una sorta di castello fortificato contro gli errori della modernità, ponendo come principale riferimento l’ortodossia della fede, sempre legata alla verità (il suo tonus firmus). Nonostante il suo carattere personale sobrio e cortese, si dimostrò come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, estremamente duro e implacabile.
Un centinaio di teologhe e teologi, delle/dei più eminenti, furono condannate/i sia con la perdita della cattedra, sia con il divieto di insegnare e scrivere teologia o, come nel mio caso, con il “silenzio ossequioso”. Cosi come eminenti teologi europei: Hans Küng, Edward Schillebeeck, Jacques Dupuis, B. Haering, J. M. Castillo tra gli altri. In America Latina, il fondatore della Teologia della Liberazione, il peruviano Gustavo Gutiérrez, la teologa Ivone Gebara furono censurati, nonché l’autore di queste righe. Altri furono colpiti negli Stati Uniti d’America come Charles Curran e R. Haight. Persino a un teologo già defunto dell’India, padre Anthony de Mello, furono proibiti i suoi libri, così come a un altro indiano, Belasurya.
Le/i teologhe/teologici dell’America Latina, deluse/i, non hanno mai smesso di chiedersi il perché era stata proibita la collana “Teologia e Liberazione”, in 53 volumi, coinvolgendo decine di teologi e teologhe (ne sono stati pubblicati circa 25 tomi), che aveva lo scopo di sussidiare i seminari, le comunità ecclesiali di base e i gruppi cristiani impegnati con i diritti umani. Era la prima volta che una grande opera teologica veniva prodotta, fuori dall’Europa, con risonanza mondiale. Ma fu presto abortita. Il teologo Joseph Ratzinger si è mostrato nemico degli amici dei poveri. Questo sarà ricordato negativamente nella storia della teologia.
Sono molti i teologi che affermano che egli era preso da un’ossessione per il marxismo, sebbene avesse fallito in Unione Sovietica. Ha pubblicato un documento sulla teologia della liberazione, Libertatis nuntius (1984), pieno di ammonimenti, ma senza una condanna esplicita. Un altro documento successivo, Libertatis conscientia (1986), ne evidenzia gli elementi positivi, ma con troppe restrizioni.
Possiamo dire che egli non ha mai compreso la centralità di questa teologia: l’«opzione per i poveri contro la povertà e per la liberazione». Faceva dei poveri i protagonisti della loro liberazione e non semplici destinatari di carità e paternalismo. Questa era la visione tradizionale e del Papa Benedetto XVI. Sospettava che ci fosse il marxismo all’interno di questo protagonismo della forza storica dei poveri.
Benedetto XVI come Pontefice inaugurò il “Ritorno alla Grande Disciplina”, con una chiara tendenza riparatrice e conservatrice, fino a reintrodurre la messa in latino e con le spalle al popolo. Ha destato stranezza generale nella stessa Chiesa quando, nel 2000, ha pubblicato il documento “Dominus Jesus”. Qui riafferma l’antica dottrina medievale e superata dal Concilio Vaticano II, secondo la quale “fuori della Chiesa Cattolica non c’è salvezza”. I non cristiani correvano un grave rischio. Di nuovo, ha negato la qualifica di “chiesa” alle altre Chiese, cosa che ha provocato l’irritazione generale. Sarebbero solo comunità ecclesiali. Con tutta la sua astuzia ha polemizzato con i musulmani, con gli evangelici, con le donne e contro il Vaticano II insieme al gruppo fondamentalista.
Il suo modo di guidare la Chiesa non era carismatico come quello di Giovanni Paolo II. Orientava più per l’ortodossia e per il vigile zelo delle verità della fede, che per l’apertura al mondo e per la tenerezza verso e con il popolo cristiano, come fa Papa Francesco.
È stato un rappresentante legittimo della vecchia cristianità europea con i suoi fasti e il suo potere politico-religioso. Nella prospettiva della nuova fase di mondializzazione, la cultura europea, ricca in tutti i campi, si è chiusa in clausura. Raramente si è dimostrata aperta ad altre culture come quelle antiche dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Non si è mai liberata di una certa arroganza di essere la migliore e in nome di questa ha colonizzato il mondo intero, una tendenza non ancora del tutto superata.
Nonostante i suoi limiti, ma per le sue virtù personali e per l’umiltà di aver rinunciato, in ragione dei limiti delle sue forze, all’ufficio pontificio, si annovererà sicuramente tra i beati.
*teologo brasiliano. (traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)