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Un sostegno alla produttività più vera

La data è quella del 29 aprile, il luogo è Pisa. Si celebreranno i 30 anni di Internet, ma soprattutto si darà il via alla gara pubblica per i claster C e D (sono quelli a scarsa o nulla redditività per gli operatori) del Piano del Governo per la banda ultra larga. Lo ha annunciato il Presidente del Consiglio Renzi il 7 aprile, presentando il piano dell’Enel con partners privati (Vodafone e Wind) per la digitalizzazione, in quattro anni, di 224 città (le prime cinque, Bari, Cagliari, Catania, Perugia, Venezia da maggio prossimo). Si potrà navigare, entro il 2020, su tutto il territorio nazionale ad almeno 30 megabit e per la metà anche a 100 megabit.

Siamo in ritardo, rispetto al resto d’Europa e si vuole recuperare con rapidità. Anche perché è noto che negli Stati Uniti si sono dati come nuova frontiera il raggiungimento e la diffusione di 1 gigabit al secondo (10 volte più veloce del 100 megabit). E per confermare questa volontà, sono state calate due carte: un pacchetto d’investimenti di 4,9 miliardi (2,2 per le aree che non sono d’interesse di mercato) e vauchers per incentivare la domanda (dal valore ancora da definire). 

C’è da augurarsi che vada tutto per il verso giusto, che per la fretta non si facciano i gattini ciechi, per cui possano fioccare ricorsi e interventi della UE o della magistratura a frenare il cronoprogramma. Il fatto che Telecom, che pure era partita in quarta, sia ancora distratta dai cambiamenti proprietari (come sono distanti gli anni dei “capitani coraggiosi”, tempo che ha avviato un processo di incertezze sistemiche per questa azienda che non vede ancora la fine!) non garantisce un clima di stabilità e comportamenti cooperanti. 

Eppure, di certo, c’è che la convenienza per i cittadini è palese. La banda ultra larga farà accelerare le applicazioni delle smart cities, la diffusione della telemedicina, il proliferare dell’utilizzo dei video 3D, la facilitazione delle comunicazioni. La domanda privata sarà sicuramente condizionata dai costi che gli operatori imporranno, sia pure in regime competitivo e sotto il controllo dell’ Autorità della concorrenza. Ma che essa abbia fame di questa innovazione è fuori di dubbio e soltanto le convenienze dei grandi gestori, accompagnate dalle fragilità delle scelte politiche, hanno impedito agli italiani di disporre di ciò che tedeschi e francesi già utilizzano da tempo.

Questa infrastruttura è ancora più decisiva per il sistema produttivo. Manifattura e terziario, a partire dal turismo, potranno trarre importanti vantaggi. Imprenditori e sindacati hanno sempre lamentato che tra i fattori della bassa produttività del sistema Italia ci fosse questa carenza di modernità digitale. Si può aggiungere che, anche per questa carenza, la “cattiva” flessibilità ha avuto buon gioco. In assenza di interventi che alzassero la soglia della produttività di sistema (dalla legalità alla gestione della giustizia, dall’efficienza della pubblica amministrazione alla buona utilizzazione dell’informatica nel settore pubblico), la flessibilità a tutti i costi è stata ricercata e praticata a piene mani. E tutto ciò nell’illusione di trarre un vantaggio  che si è dimostrato di fiato corto, creando più problemi di quanti ne risolveva. La banda ultra larga si configura, quindi, come una spinta a ricercare nella innovazione tecnologica e nella ricerca applicata le ragioni più solide per dare forza competitiva al sistema Italia.

La consapevolezza della sua importanza, non può essere offuscata da preoccupazioni occupazionali. E’ un’infrastruttura che indubbiamente favorirà interventi capital intensive. Ma nello stesso tempo, valorizzerà il lavoro sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Sarà richiesto dalle imprese un lavoro sempre più professionalizzato e quindi con un tasso di fidelizzazione sempre più elevato. La pratica dell’usa e getta non si addice a chi investe molto nelle tecnologie dell’industria 4.0; per i lavoratori si profila più stabilità. Ma anche dal punto di vista quantitativo, stracciarsi le vesti non serve. Semmai si aprirà la discussione se gli incrementi di produttività dovranno essere destinati a salario o a riduzioni del tempo di lavoro per garantire l’occupazione. 

Ma questa è tematica che riguarderà una fase da venire. Per ora, contiamo sull’impegno di tutti perché dalle buone intenzioni e dai primi passi, si proceda con sollecitudine e cooperazione. 

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