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Un ” wake up call ” per tutti


Il rapporto Draghi è un grido di allarme sul futuro dell’Europa, privo di fatalismi ma che non nasconde niente dei rischi che incombono sui nostri paesi e delle difficoltà di uscire dalla inerzia decisionale che ci impedisce di reagire.

Per scuoterci da questa inerzia le proposte sono coraggiose fino al punto di essere temerarie. Ci lasciano senza respiro per le sfide che propongono, alla nuova commissione e Parlamento, agli Stati membri e alla società civile dei nostri paesi, cioè a tutti noi.
C’è chi ha rilevato che non è realistico aspettarsi che sia applicabile in toto. Ma sarebbe grave che non suonasse come un wake up call per tutti, cioè per uscire dall’ ordinaria amministrazione e affrontare le sfide.

Come era prevedibile un punto centrale del rapporto segnala l’ urgenza per la Europa di  “tackle the innovation gap“, cioè recuperare il grave divario europeo rispetto ai grandi competitors del mondo nella capacità di stare sulla frontiera della innovazione. Da qui tutti gli handicap che derivano in minori prospettive di crescita e di benessere e i rischi di declino irreversibile.
Questo richiamo non è solo alla innovazione tecnica e scientifica, ma anche alla innovazione sociale, perché Draghi non dimentica che la accelerazione delle tecnologie intelligenti deve essere accompagnata da una altrettanto forte attenzione alla coesione e inclusione sociale.
I difficili obiettivi della transizione digitale e soprattutto di quella ecologica non possono raggiungersi senza una adeguata pianificazione (usa proprio questa parola) di politiche industriali veramente innovative e pienamente europee.

Le scelte delle priorità dovranno essere chiare e rigorose, tanto più per la enorme mole di risorse finanziarie che dovranno essere messe in campo.

Quello di Draghi non è un appello tecnocratico alle forze di mercato, come qualcuno poteva aspettarsi, non solo per l’attenzione alle ricadute sociali delle transizioni e alla necessità di proteggere le persone e le aziende colpite, ma perché il rapporto assegna un ruolo importante alle istituzioni pubbliche di regolazione, con un appello a semplificarla, e perché fa appello a una massiccia mobilitazione di energie sia pubbliche sia private, non solo finanziarie, su questi obiettivi.

Il rapporto non nasconde, come nessuno di noi, le difficoltà politiche e istituzionali dei percorsi da attivare, ora aggravate dalle divisioni anche fra i paesi fondatori dell’Unione.
Non a caso evita di affrontare il problema della revisione dei trattati e indica soluzioni più limitate come il ricorso alle cooperazioni rafforzate fra Stati su temi specifici e la estensione del voto a maggioranza nelle decisioni strategiche , ma senza dimenticare l’orizzonte di una Europa federale.

Va anche ricordato che esistono già strumenti per decisioni eccezionali come l’ art. 122 del trattato utile a fronteggiare situazioni di crisi, come fu il caso durante la pandemia. La gravità delle emergenze segnalate dal rapporto ne risolleciterebbe l’ uso.

La criticità del quadro politico, oltre a quello geopolitico richiede in ogni caso una mobilitazione non solo istituzionale, ma anche civile e sociale.

La necessità di un forte patto sociale è riconosciuta anche nel rapporto, come in vari contesti nazionali e dal CESE. 

Intese sociali mirate sono necessarie in particolare per sostenere l’azione pubblica nelle innovazioni sociali necessarie, a cominciare dall’ adeguamento degli istituti del welfare per coprire vecchi e nuovi bisogni sociali, lasciati scoperti dalla velocità del cambiamento.
La esperienza della concertazione sociale Italiana ricordata da Morese deve estendersi a livello europeo se vuole essere efficace, e deve trovare una interlocuzione effettiva nella nuova Commissione.

Si tratterà di vedere se le parti sociali europee saranno più unite dei governi nazionali e più consapevoli della drammaticità delle sfide che ci aspettano.

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