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Una piccola grande esperienza

I 176.000 migranti accolti nel nostro Paese nel 2016, che hanno assorbito una spesa pubblica di 3,3 miliardi di Euro, rappresentano un sovraccarico di responsabilità civile ed economica che una vasta parte dei nostri concittadini considera non alla portata delle nostre possibilità. Tanto più se lo si condisce con forti dosi di intolleranza, sospetto, vero e proprio razzismo, alimentate da correnti di pensiero e politiche dilaganti in Europa e fuori.

Senza concedere nulla a tanta regressione culturale e civica, dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che un’accoglienza esclusivamente passiva, che, a fronte della messa a disposizione di un ricovero e di un piatto di cibo, impone l’ozio e l’emarginazione sociale, finisce per essere fonte di turbamento e, piaccia o meno, di rigetto.

Alla luce di queste considerazioni, riteniamo fondamentale che il Governo nazionale eserciti un’azione forte e determinata per ottenere che la corresponsabilizzazione di tutti i Paesi europei sia rigorosa e non revocabile indubbio, come lo sono gli obblighi di equilibrio della finanza pubblica. E attendiamo con interesse provvedimenti che rendano l’accoglienza dei migranti sul nostro territorio più distribuita e meno concentrata possibile, accompagnata da programmi di lavoro, anche parziali, che assicurino un minimo di reddito e insieme una giusta compensazione allo sforzo di accoglienza.

E’ su questo ultimo punto che casca l’asino, perché, a fronte dei tassi di disoccupazione che interessano i nostri connazionali, c’è il rischio di una sollevazione, soprattutto se a buttare benzina sul fuoco ci si mettono gli interessi elettoralistici di partiti vecchi e nuovi.

Il progetto ANÀBASI della Quanta (vedere report completo in allegato) ha tenuto conto di questa pericolosa prospettiva e si è posto come ispirazione di fondo di costruire un percorso di accoglienza attiva che partisse dalla certezza di poter occupare le persone selezionate, istruite e professionalizzate in comparti produttivi rigettati dagli italiani, anche da quelli che sopravvivono subendo il lavoro nero.

Nell’immediato abbiamo scelto la cantieristica navale, dove l’organizzazione del lavoro prevede una vasta presenza di ditte appaltatrici, che occupano già oggi all’incirca 9000 persone di ben 90 nazionalità. Si tratta di un fenomeno che dura da qualche decennio ed è acclarato che di personale italiano propenso a fare lavori di saldatura e molatura se ne trova ben poco.

Ci sono altri comparti dove le prestazioni di lavoro sono ad alto tasso di manualità, penso all’agricoltura, alla ristorazione, alla logistica, all’edilizia; quanti giovani connazionali sono propensi ad accettare quei posti di lavoro? A non considerarli solo una breve parentesi da chiudere al più presto?

Qualcuno potrebbe pensare che l’immigrato è accolto, perché accetta salari più bassi; talvolta accade, soprattutto nell’agricoltura, ma il problema in tale settore è quello del caporalato, dell’intermediazione illegale. Se interviene un’APL, il salario dell’immigrato deve essere esattamente quello previsto dai Contratti di lavoro e, quando ciò non accade, siamo al cospetto di un fenomeno d’illegalità e come tale va perseguito.

Il progetto Quanta è una piccola buona pratica che ha un obbligo morale alla base: accompagnare le persone, a prescindere dall’origine, dal colore della pelle, dalla religione, verso un approdo di lavoro, studiando le loro attitudini, valutando le esperienze pregresse, insegnando la nostra lingua, gli usi, i costumi, le regole civili e legali del nostro Paese, fornendo ogni supporto per l’acquisizione di una competenza professionale, assicurando continuità di sostegno anche a posizione di lavoro acquisita.

Che ce ne viene, si chiederanno le anime belle? Ce ne viene il margine, necessariamente basso, che le imprese utilizzatrici ci riconoscono per aver soddisfatto una loro esigenza di forza lavoro che non riuscivano a trovare o che rischiavano di trovare attraverso mediatori malavitosi.

Le Agenzia per il lavoro non sono ONLUS, ma hanno il senso della loro responsabilità sociale e possono ben conciliare i loro interessi economici con scelte che tengano nel debito conto le emergenze che l’Italia si trova ad affrontare, specialmente quando sono la conseguenza di fenomeni epocali incontenibili, figli del disordine economico e politico che interessa troppe aree del mondo non senza responsabilità remote e recenti di quei Paesi che ne furono un tempo il centro.

 (*) Vicepresidente istituzionale di Quanta Italia

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