In questo scenario di crisi socio-economica che stiamo attraversando, il futuro nelle sue trame si prospetta come qualcosa di profondamente diverso da quello che potevamo, sulla base della nostra esperienza ipotizzare prima di questa pandemia provocata dal coronavirus Covid 19.
Siamo giunti ad un punto di riflessione tale che ci ha fatto prendere coscienza del punto di rottura per cui ogni cosa non sarà più come fino ad oggi la conoscevamo.
Questo particolare momento storico, grazie allo sviluppo della rete e delle tecnologie ad essa legate, ha obbligato il mondo politico ed economico a cercare applicazioni tecnologiche in grado di supplire alle carenze di partecipazione sociale e non solo, riscoprendo o piuttosto riportando alla luce grandi temi come il telelavoro oggi smart working (lavoro intelligente) (?), formazione a distanza, e-learning proposto a tutte quelle categorie professionali, in particolare della pubblica amministrazione, la cui presenza non era ritenuta necessaria per la prosecuzione del processo produttivo.
Per far fronte al coronavirus, oggi il Governo è stato in grado di far comprendere a tutti i comparti e quindi agli operatori, compresi quelli della scuola che grazie alle sue misure eccezionali adottate, il Pese non era in vacanza, ma che le attività, seppur con grande difficoltà, continuano a procedere con l’uso della rete e di quelle tecniche tanto osteggiate nelle istituzioni educative tradizionali.
Scriveva nell’ormai lontano 2016 Mario Calabresi come nel mondo “ …da settimane, ogni giorno si discute di quanto la Rete sia cattiva e pericolosa. Si moltiplicano i fatti di cronaca in cui le responsabilità sono attribuite al web, ai social e alla diffusione della Rete. Denigrare il digitale è così di moda da apparire quasi scontato e fin troppo conformista…”
Ma i problemi esistono e le domande vanno coltivate: fa bene o male? Ci regala la libertà promessa o ci soffoca diminuendo interazioni e curiosità per ciò che sta fuori dal nostro orizzonte? Moltiplica la possibilità di costruirci identità non omologate o condiziona i nostri comportamenti?
Rispondere a queste domande è cosa relativamente facile, se si accetta, per esempio, la posizione di Richard Gingras pioniere dei media digitali fin dagli anni settanta e responsabile del settore news di Google: “La rete è neutra dipende da come la si usa e da quello che ognuno di noi gli mette dentro. Pensate all’acciaio: può servire a fabbricare armi per distruggere vite o a costruire ponti, ferrovie, ospedali e scuole. E’ responsabilità di ognuno di noi costruire un ambiente positivo.”.
Anche nella scuola, quindi, come nell’università questo virus ha obbligato la nascita di una riflessione sul come garantire ai nostri giovani la continuità scolastica, insegnamento universitario compreso, con la modalità più vicina a quella alla quale si era normalmente abituati, suffragando una teoria dell’apprendimento che, al dire di molti ricercatori, comincia ad essere obsoleta o ricercando modalità didattiche nuove in grado di far fronte alle nuove esigenze che il momento rendeva così acute.
Si è quindi sviluppato un grande dibattito sulla didattica in presenza e su quella a distanza che già ormai da qualche decennio cercava di imporsi nell’ambiente universitario, più come tema di ricerca e di sperimentazione psico-socio-pedagogica.
Cosa verrà fuori da questo dibattito resta tutto da vedere. Se c’è, comunque, una lezione da tirare dalla pandemia del Covid 19, è che l’insegnamento a distanza non può solamente essere considerato come una “buona opzione” per risolvere un problema immediato, sviluppata parallelamente al sistema educativo esistente, soprattutto prendendo coscienza che esiste una grande parte di adulti e lavoratori che sono una potenziale risorsa per il Paese se valorizzati o di adulti che sono a rischio, come gli over 40 espulsi dal mercato del lavoro che non hanno assolutamente prospettive se non sostenuti da adeguate azioni formative, orientative e di sviluppo ai quali va garantito il diritto allo studio facilitandone l’accesso agli studi universitari.
Ma aldilà dei possibili risultati di questo dibattito, sappiamo che l’università è chiamata, ora come non mai, a rivestire ruoli altri, a ristrutturare la sua ragion d’essere, fors’anche a mutare il suo significato ultimo, in funzione, evidentemente, delle risposte da dare alle moderne società affollate di contraddizioni, affannate da necessità identitarie, lavorative, economiche, stordite dal sentimento di precarizzazione, private della speranza di un domani migliore.
Partendo dal presupposto che i continui cambiamenti che hanno interessato e interessano tutti i fenomeni organizzativi, coinvolgendo la cultura d’impresa e di management come le strategie, le strutture, la gestione delle risorse umane e la relativa conoscenza e abilità richiedono l’aggiornamento continuo degli strumenti di accesso e fruizione della formazione orientata al lavoro per facilitare i processi di apprendimento, sono proprio la globalizzazione dei mercati, e l’impiego e lo sviluppo di tecnologie informatiche e di rete che hanno fatto emergere l’esigenza di rivedere anche le strategie formative, finalizzandole alla ricerca di nuove metodologie didattiche e alla creazione di nuove figure professionali in grado di rispondere adeguatamente allo sviluppo dei settori produttivi e alle loro continue trasformazioni.
“E’ solo negli anni 2000 che in Italia si è cominciato a parlare con grande assiduità di innovazione tecnologica universitaria e a delineare da parte del MIUR il contesto politico-istituzionale di riferimento normativo con l’obiettivo di recuperare nei confronti degli altri paesi della comunità europea e non solo, il ritardo in campo tecnologico delle istituzioni di formazione superiore, a cominciare dalle università e per aumentare il livello di professionalità di tutti gli operatori, di configurare un nuovo sistema di istruzione superiore e di formazione alla luce dell’importanza assunta dall’educazione degli adulti, dalla formazione continua e permanente, dalla formazione professionale, dalla formazione a distanza, dalla questione dei risultati di accesso rapido e attinente al mercato del lavoro, dell’orientamento precoce e dell’orientamento della scelta universitaria…” (V. Valentini: Università in rete).
Creare quindi le condizioni per l’affermazione di un sistema modulare in cui anche le tecnologie possono rappresentare un importante strumento per favorire la sua realizzazione: modularità, integrazione con il mondo del lavoro, flessibilità, innovazione.
Secondo diversi autori questo approccio si sposa perfettamente con quella filosofia che tende ad introdurre l’impiego delle nuove tecnologie dell’educazione orientato alla realizzazione di ambienti interattivi, multimediali, ipermediali, modulari, riutilizzabili di cui l’e-learning, il t-learning e quant’altro d’innovativo, in questi giorni in materia di tecnologia didattica, non sono altro che un inevitabile conseguenza a supporto, ma che in futuro potrebbero rappresentare l’ossatura di quella che possiamo definire come metodologia didattica per la formazione continua e permanente.
Apprendere per sempre vuol dire avere la possibilità di essere sé stessi, di esercitarsi ad essere sé stessi insieme a quanto ci circonda. Questo, a livello di università, si traduce nella sua capacità di accogliere con grande coraggio e rendere suoi i temi e le sfide che il vivere quotidiano pongono. Un vivere quotidiano, quello nostro, caratterizzato da una complessità inimmaginabile, solo qualche decennio fa.
Le tecnologie di rete ci hanno fatto capire quanto sia privo di senso immaginare sistemi che funzionino con una logica a “centro”. Internet più di ogni altro artefatto umano, ci ha fatto capire che il “centro è ovunque” ossia ogni luogo può essere, a seconda dei casi, o diventare il momentaneo punto di riferimento, la partenza, l’arrivo.
PERCHE’ L’ISTRUZIONE A DISTANZA ?
E’ proprio questo particolare momento storico che stiamo vivendo che impone all’università di ripensare il suo modello organizzativo. Per secoli il meccanismo di riproduzione e di diffusione dei saperi è rimasto più o meno inalterato e con uno schema che, come sostiene l’economista Eli Noam, prevede una grande istituzione il cui polo di attrazione è composto da informazioni e da tecnici (docenti) in grado di elaborarle.
Tutto questo, però, avverte sempre Noam, è funzionale ad una società il cui bene informazione sia scarso, cosa che non può più dirsi della nostra. Ecco perché, ora come non mai, il mondo accademico si trova a dover operare una svolta, specie a livello didattico. Latente è infatti il rischio che si crei un vuoto tra la realtà, con i suoi processi in continua evoluzione e le strutture organizzative con i loro ruoli prefissati.
La trasmissione dei saperi, prima di Gutenberg, avveniva secondo una logica individuale. L’invenzione della stampa permise la strutturazione degli insegnamenti e la cultura fu sistematizzata in diverse discipline.
Si sviluppò la scuola (con i suoi orari, le sue classi, i suoi programmi ecc.). L’insegnamento divenne un mestiere e il libro lo strumento tecnologico di riferimento. Poco è cambiato da allora se non cercare, nel modo migliore da parte di alcuni, di utilizzare in quel contesto tutti quegli strumenti e metodologie di comunicazione che nella vita quotidiana di ciascuno di noi, cominciava a rappresentare la normalità.
Ma il quadro di riferimento normativo è sempre rimasto lo stesso.
Anche l’università non fa eccezione; per esempio la normativa oggi indica che per conseguire una laurea triennale è necessario erogare (e per lo studente, conseguire) 180 crediti e indica in modo preciso come questi 180 crediti debbono essere composti. Si chiede Tommaso Minerva, presidente della Siel (Società Italiana di e-Learning) “…. Non sarebbe più opportuno indicare quali sono le competenze e le conoscenze che lo studente deve possedere alla fine del percorso formativo? E lasciare autonomia alle Università che organizzino nel modo che ritengono più idoneo come organizzare metodologicamente il percorso per ottenere il risultato indicato? E valutare gli atenei per la qualità del prodotto ottenuto e non per la procedura che è stata adottata….?”
Ma chiediamoci, è ancora possibile mantenere un tale modello o è necessaria in primis una vera rivoluzione normativa?
Crediamo veramente che un professore, una lavagna (fosse anche luminosa), qualche libro possano soddisfare la richiesta attuale di conoscenze? Non occorre piuttosto mettere in relazione la didattica di un dato momento storico con le sue tecnologie di riferimento?
Come affermano Michael Resnick e Natalie Rusk, nel passato occorreva rendere gli studenti fluent, ovvero “capaci di fare molte cose con il linguaggio…. “. Ora invece occorre renderli technologically fluent, capaci dunque “di fare il maggior numero di cose possibili con gli strumenti della tecnologia per riuscire a passare dall’intuizione alla realizzazione concreta di un progetto…”.
Sostanzialmente, per fare questo, occorre pensare e combinare tra di loro linguaggi, concetti, metodologie e tecniche di apprendimento completamente nuovi. E la Rete oggi, a chi accetta di mettersi in discussione confrontandosi con i tempi, offre un’occasione eccezionale.
L’idea di costruire percorsi formativi basati su un nuovo modello pedagogico nasce proprio da questa serie di considerazioni.
Non più solo aula, ma un ambiente comunicativo in grado di assicurare uno scambio continuo di idee; non più solo le lezioni localizzate di un docente, ma una comunità di studiosi ed esperti (provenienti anche da altri istituti e perche no? Dal mondo del lavoro); non più solo libro, ma database, forum, archivi elettronici, webinar, Cd rom.
L’impegno di chi crede nell’istruzione a distanza, di chi accetta la sfida perché cosciente che i protagonisti degli atenei sono gli studenti, di chi, rispetta i diversi tempi di apprendimento che ognuno di loro ha; di chi è disposto a fare da guida, costruendo così un rapporto individuale è quello di cambiare l’università e farle giocare un doppio ruolo:
innanzitutto di università aperta fondata su concetti di collaborazione e cooperazione, dove “collaborazione” corrisponde ad una condivisione di saperi, mentre “cooperazione” si riferisce alla suddivisione dei compiti fra studenti. Oggigiorno, la più grande forza di ogni individuo risiede nella sua capacità di apprendere, ovvero di dominare e metabolizzare l’informazione, trasformandola in conoscenza e utilizzandola nel modo migliore e con efficacia.
Il sapere del presente millennio non sarà più esclusivamente basato sulla memorizzazione di informazioni e non si limiterà più al saper leggere, scrivere e far di conto: esso corrisponderà sempre più alla capacità di identificare e trovare soluzioni a situazioni problematiche.
In secondo luogo di università specialistica per coloro che intendono proseguire gli studi teorici, specializzandosi e dedicandosi alla Ricerca in grado di produrre modelli e di utilizzare concetti appartenenti a diverse discipline.
L’introduzione delle nuove tecnologie informatiche nella formazione non sono un servizio per specificare o abbreviare percorsi formativi, ma un’occasione necessaria per disegnare una logica della formazione in termini sia di contenuti sia di metodologie e strumenti e, particolarmente, per costruire un nuovo modo di pensare e di organizzare i saperi e soprattutto le modalità dell’apprendimento.
È ormai condivisa l’idea che esse, in specie da quando coincidenti con le tecnologie di rete, producano cambiamenti non banali nel modo di comunicare e di operare delle persone e delle organizzazioni. E proprio grazie alle possibilità aperte in termini di trattamento delle informazioni, non si può fare a meno di considerare il loro riverberare anche nel processo di apprendimento.
L’utilizzo delle tecnologie nella formazione e l’applicazione di metodologie didattiche quale l’e-learning, o, se si preferisce, l’apprendimento in rete, rappresentano una trasformazione culturale e organizzativa nonché un costante incentivo al cambiamento dell’attività formativa stessa senza comunque dimenticare che l’apprendimento è un processo non elettronico, ma psichico, complesso e costitutivo del soggetto che, incorporando conoscenze, attraverso esperienze contestualizzate e socializzate, modifica capacità, comportamenti, competenze.
Confrontarsi con le tecnologie innesca, in senso ampio, nuova conoscenza. Quando poi si riesce ad agganciare a tale evento – per così dire, fisiologico – una certa progettualità pedagogica si generano occasioni di apprendimento e dunque processi formativi innovativi.
Dobbiamo però distinguere due categorie di modelli che utilizzano tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella didattica dei processi formativi, e vale a dire:
- modelli che non aggiungono nulla d’innovativo dal punto di vista didattico e che si basano su un uso “freddo della rete” (accesso a informazione, scambio interpersonale di messaggistica o materiali didattici) calato spesso in processi di tipo tradizionale;
- modelli di apprendimento e di gestione “del processo” formativo che introducono mutamenti di un certo rilievo nel modo di fare didattica, assumendo un ruolo di apprendimento vicariante. L’e-learning può essere considerato probabilmente la massima espressione perché non rappresenta solamente un nuovo modo di educare, quanto piuttosto un modo nuovo di creare contenuti da comunicare e da scambiare. Ciò a condizione che l’e-learning, come espressione di apprendimento mediatizzato, non sia considerato come il vecchio learning preceduto da una “e”, cioè la vecchia didattica con l’aggiunta di uno strumento che permette di esercitarla in remoto. Se fosse questo non sarebbe innovazione, ma solamente una riorganizzazione del sistema di apprendimento tradizionale. Un conto è diventare padroni di una tecnica, per sofisticata che sia, un altro è diventare promotori di modalità nuove di guardare e interpretare il mondo.
Occorre quindi distinguere fra questi due modelli che entrano in modo significativo nella meccanica dell’apprendimento (tecnologia e-learning come bene rinveniente), da quelli che invece mettono semplicemente a disposizione del processo di insegnamento/apprendimento tradizionale strutture e possibilità di tipo nuovo (tecnologia come valore aggiunto).
Da tutto ciò deriva l’esigenza di prevedere e istituzionalizzare una molteplicità flessibile di metodologie didattiche che facilitino e supportino i percorsi volti a permettere l’accesso per un numero elevato di studenti alle attività di primo livello (lauree triennali, corsi di formazione e di aggiornamento professionale continuo…), anche al fine di poter far fronte alle esigenze economiche necessarie agli atenei per sviluppare una vera e continua innovazione didattica.
*Paolo Frignani, già Ordinario di Pedagogia Sperimentale e Tecnologie dell’Istruzione e dell’Apprendimento, Prorettore alla didattica a distanza – Università degli Studi di Ferrara