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Verso un piano nazionale di inserimento al lavoro

Lo straordinario flusso di ingressi non programmati di migranti, collegato agli sbarchi nel Mediterraneo, ha messo sotto pressione la capacità del nostro Paese di gestire l’accoglienza di queste persone e sta ponendo seri interrogativi sulla possibilità di offrire a questi profughi una realistica possibilità di integrazione nel contesto italiano.

Pesano su quest’ultimo versante le difficoltà dell’andamento dell’economia e del mercato del lavoro, oltre all’oggettiva difficoltà della spesa pubblica nel conciliare gli oneri dedicati all’accoglienza di minori migranti non programmati, con i fabbisogni di intervento sociale più generali.

E’ doveroso riconoscere che il nostro Paese, con l’eccezione della gestione straordinaria dell’emergenza Nord-Africa nel 2011-12 affidata alla Protezione Civile, non si è mai posto seriamente l’esigenza di affrontare strutturalmente, e in via ordinaria, il tema dell’accoglienza e dell’integrazione dei profughi.

Siamo una Nazione che, in tema di accoglienza di immigrati, ha una storia molto recente e, comparata con altri Paesi U.E., l’incidenza dei richiedenti protezione internazionale sull’insieme dei flussi di ingresso è sempre stata molto ridotta.

L’enorme flusso degli sbarchi del 2014 ci coglie impreparati sotto tutti i punti di vista: culturale, politico istituzionale, organizzativo.

In questo ambito l’assenza di un programma organico e strutturale dedicato alla integrazione socio-lavorativa dei rifugiati è certamente figlia delle carenze del sistema di accoglienza ma è anche legata a ritardi di approccio e alla scarsa considerazione che abbiamo dedicato nel passato al tema delle politiche attive del lavoro.

In particolare, per gli immigrati, queste ultime sono state ritenute persino superflue, data la rilevante crescita della presenza di lavoratori stranieri registrate negli anni 2000, trascinata da una domanda di lavoro dedicata che si è rivelata superiore all’offerta disponibile nel territorio italiano.

L’attenzione delle Istituzioni è stata prioritariamente rivolta ad adeguare il quadro normativo per la regolazione dei flussi d’ingresso e alle politiche dell’integrazione con forti connotati assistenziali, affidando il tema dell’inserimento lavorativo dei migranti alle dinamiche spontanee del mercato del lavoro.

Questo approccio ha particolarmente penalizzato gli interventi rivolti alle persone rifugiate, prive per natura di quelle relazioni informali che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel territorio. Gli investimenti dedicati all’accoglienza e all’integrazione dei richiedenti e dei titolari di protezione, soprattutto quelli derivanti da Fondi europei, sono stati consistenti soprattutto sui programmi di formazione dedicati alla lingua e alla formazione professionale, ma estranei alle dinamiche del mercato del lavoro reale e pertanto poco incisivi.  Con il risultato di aggravare i costi di accoglienza legati ai tempi di permanenza dei migranti nei centri di accoglienza.

Un programma nazionale dedicato all’inserimento socio-lavorativo dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale, diventa pertanto una condizione indispensabile per rendere sostenibile i livelli di accoglienza di queste persone.

Un piano nazionale che si ponga un realistico obiettivo di rispondere all’attuale fabbisogno di inserimento almeno dei titolari di protezione internazionale (attualmente 25ML ma destinati a raddoppiare in tempi rapidi) richiede tre precondizioni:

 

1)Di valutare la sostenibilità dell’inserimento di queste persone nel nostro mercato del lavoro attualmente caratterizzato da un notevole numero di persone non qualificate in cerca di lavoro;

2)La capacità di far cooperare le istituzioni centrali e periferiche che hanno competenze in materia di accoglienza dei profughi e di politica attiva del lavoro;

3)La capacità di far convergere le risorse disponibili su programmi efficaci di inserimento socio-lavorativo rigorosamente collegati con le dinamiche del nostro mercato del lavoro.

 

La possibilità di assorbire almeno 50000 minori migranti nel nostro mercato del lavoro si scontra con le problematiche occupazionali note. Ma vanno considerate anche altre dinamiche.

Ogni anno vengono attivati circa 1,4MLN di nuovi rapporti di lavoro (e quasi altrettanti ne vengono interrotti per esaurimento del rapporto, per mobilità spontanea o per licenziamento) e la domanda di lavoro rivolta agli immigrati ha prodotto una occupazione aggiuntiva anche durante i periodi più critici della crisi economica tra gli anni che vanno dal 2008 al 2014. Pertanto sussistono concretamente i margini per poter soddisfare gradualmente l’esigenza di inserire una quota di profughi nel mercato del lavoro.

Sul tema di coordinamento delle competenze sulle politiche, in particolare per collegare le iniziative rivolte all’ accoglienza con quelle dedicate all’inserimento lavorativo, in attuazione dell’orientamento assunto nella Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali nel luglio 2014, è stata introdotta una innovazione legislativa che prevede la redazione di un organico piano nazionale per l’inserimento socio-lavorativo delle persone titolari e dei richiedenti protezione internazionale.

Questo programma è in fase di redazione sotto la Regia della Direzione nazionale dell’Immigrazione e delle Politiche per l’integrazione del Ministero del Lavoro, che ha assunto anche il compito di Autorità delegata per gli interventi rivolti alla integrazione dei migranti previsti dal nuovo Fondo europeo (FAMI).

Queste novità consentiranno di fare, e per la prima volta su scala nazionale, una programmazione integrata delle risorse europee dedicati all’accoglienza e all’integrazione dei migranti con quelle dedicate alle politiche attive del lavoro (FSE).

In prima istanza queste programmazione farà leva per i prossimi 6 anni su 110MLN di Euro a livello nazionale, e almeno altrettanti di risorse derivanti dal Fondo sociale europeo (POPR) di competenza delle regioni.

Il nuovo programma nazionale sarà basato su 4 pilastri:

  • La costruzione di una banca dati che consenta di rilevare le caratteristiche, e le competenze, delle persone con la messa a disposizione delle informazioni verso le imprese e gli intermediari al fine di intercettare e orientare l’incontro domanda-offerta di lavoro;
  • La presa in carico di questi soggetti da parte di soggetti accreditati, selezionati con gare pubbliche e la conseguente predisposizione di progetti personalizzati di inserimento socio-lavorativo;
  • La messa a disposizione dalle persone prese in carico di una dote personale da erogare in funzione delle attività di orientamento, formazione e inserimento lavorativo;
  • La codificazione di un sistema di diritti e doveri in capo alle persone prese in carico che preveda anche sanzioni verso i comportamenti non virtuosi.

Date le condizioni di partenza, e le criticità che si sono nel frattempo acuite nel sistema di accoglienza dei profughi e nel dibattito istituzionale e nell’opinione pubblica, il programma nazionale dovrà inevitabilmente affrontare una fase di sperimentazione mirata a testare l’efficacia degli interventi.

Ma il perseguimento di questo obiettivo, e cioè l’inserimento socio-lavorativo dei profughi, è ormai una delle condizioni indispensabili per attrezzare il nostro Paese a far fronte ad una immigrazione non programmata che nei prossimi anni si manifesterà ancora su livelli elevati.

 (*) Direttore generale dell`Immigrazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

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