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La gig economy alla prova della giurisprudenza del lavoro

Si chiamano platform workers e sono i lavoratori che offrono il proprio lavoro attraverso le piattaforme digitali. Finalmente, da quando la magistratura del lavoro ha dovuto affrontare questioni innovative utilizzando il vecchio strumentario lavoristico, anche in Italia si parla di tutele per coloro che prestano lavoro attraverso la piattaforma digitale. 

Il Tribunale di Torino (sentenza n. 778/2018), ancora un volta dopo il caso dei pony expressdegli anni ’80, e conformandosi all’orientamento prevalente, sancisce in modo condivisibile, che le tutele lavoristiche tradizionali pensate per il lavoratore subordinato della fabbrica fordista e limitate a una visione conflittuale del lavoro, non sono adatte a essere estese ai nuovi modi di lavorare dei ciclo-fattorini: e non lo sono neppure le nuove regole introdotte dal Jobs Actper combattere l’abuso delle collaborazioni autonome (art. 2, c. 1, d.lgs. n. 81/2015). 

Quest’ultima norma estende la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche (soltanto) con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Secondo il Tribunale di Torino, chi come i  ciclo fattorini, negozia con il committente sia il luogo sia il tempo di lavoro ma può in qualsiasi momento rifiutare di eseguire ordini specifici inviati a mezzo di una app non è un lavoratore subordinato. 

Se la determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non è imposta unilateralmente dall’azienda che si limita a pubblicare gli slotcon i turni di lavoro; se il lavoratore è libero di dare o no la disponibilità per uno dei turni indicati; e se quest’ultimo dopo l’inserimento in un turno è libero di presentarsi o no a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva (c.d. no show) e di revocare la propria disponibilità (funzione swap) siamo nell’area del lavoro coordinato e non di quello subordinato.

Dove per coordinazione, deve intendersi l’attività di lavoro svolta nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, sempre che il collaboratore organizzi autonomamente l’attività lavorativa (art. 409, n. 3 c.p.c. come modificato dalla l. n. 81/2017, c.d. Jobs Actdei lavoratori autonomi).

Nella scorsa legislatura il Senatore Ichino come primo firmatario, consapevole dei radicali cambiamenti recati dalla digitalizzazione, presentò un DDL dedicato proprio ai platform workers,recante tutele lavoristiche capaci di avviare un processo di adeguamento dell’ordinamento alle loro esigenze di protezione. Il DDL n. 2934/2017, caduto nel vuoto di un fine legislatura inconcludente, mira a creare i presupposti per l’attivazione almeno di alcune garanzie minime contro la vulnerabilità di una categoria di lavoratori il cui numero è destinato a crescere e stabilisce un livello minimo di diritti, procedimenti e garanzie che equilibrano o compensano la situazione di vulnerabilità di persone che lavorano indipendentemente dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro. Sarebbe opportuno che il nuovo Parlamento riprendesse in mano il progetto di legge e desse risposte legislative in tempi rapidi a una platea di lavoratori destinata a infittirsi.

Fa bene Pietro Ichino a riproporre la nozione di dipendenza economica come criterio per la definizione del campo di applicazione del diritto del lavoro, scelta che era stata fatta propria dalla legge Fornero, poi abbandonata nel 2015 (I diritti del lavoro nella gig economy, www.lavoce.info.it). Ma nel quadro della legge oggi vigente è corretta la decisione del giudice del Tribunale di Torino che esclude la subordinazione dei ciclo-fattorini in quanto liberi di decidere di volta in volta se presentarsi al lavoro e se rispondere a ciascuna singola chiamata: essi non possono dunque considerarsi né eterodiretti – secondo la tradizionale nozione di assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro – né etero organizzati – secondo la nozione introdotta dal legislatore con il Jobs Act. Sarebbe stata dunque una forzatura considerare questi lavoratori come collaboratori assoggettati a etero organizzazione.

La questione delle tutele applicabili a questi lavoratori resta dunque aperta. Essa può essere risolta in due modi: con una legge che reintroduca un salario orario minimo, tutele previdenziali e antiinfortunistiche allo stesso modo del lavoro accessorio, inopinatamente abolito, e ora crollato ai minimi storici a causa delle drastiche restrizioni introdotte dalla nuova disciplina del lavoro occasionale (art. 54 bisdella legge n. 96/2017 di conversione del D.L. n. 50/2017); oppure attraverso la contrattazione collettiva che potrebbe dare vita a un sistema di protezione originale e adeguato a questa nuova forma di organizzazione del lavoro.

Anche nei Paesi più avanzati su questo terreno, come Gran Bretagna e Francia, si riconosce la necessità che questo segmento della forza-lavoro, indipendentemente dalla qualificazione della prestazione lavorativa come subordinata o autonoma, fruisca quanto meno di una protezione essenziale costituita, innanzitutto, dal diritto alla parità di trattamento e non discriminazione, inoltre dal diritto di coalizione e di autotutela collettiva, a un trattamento retributivo non inferiore a uno standard minimo, alla formazione professionale continua, a servizi efficaci di assistenza nel mercato del lavoro nelle transizioni occupazionali, nonché alle assicurazioni pensionistica, antiinfortunistica e per il caso di malattia.

Dopo la sentenza di Torino, anche in Italia si moltiplicano i tentativi a livello territoriale di animare un dibattito politico-sindacale per sollecitare risposte e tutele per i lavoratori della gig economyche ne sono privi.

Dopo laCarta dei diritti dei lavoratori digitalidel comune di Bologna, si registrano due iniziative legislative a livello regionale in Emilia Romagna e nel Lazio.

Il messaggio è chiaro: lanciare al legislatore nazionale la sfida di organizzare un lavoro di qualità con proiezione nel futuro che, superato il dualismo tradizionale subordinazione/autonomia, parli un linguaggio nuovo fatto non solo di algoritmi ma da un sistema cooperativo che tenga conto anche delle esigenze dei consumatori. 

 

 (*) Professore di diritto del lavoro, Università Sapienza, Roma

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